Spunti per la didattica delle Scienze Naturali
Un po’ tutti noi insegnanti abbiamo l’abitudine di mettere da parte articoli letti ed apprezzati per condividerli con qualche collega. Magari non abbiamo trovato qualcosa di davvero nuovo, ma soltanto una conferma al nostro modo di procedere oppure considerazioni che ci mettono in discussione. La raccolta inizia con articoli di Autori diversi trovati in qualche rivista, i più recenti in rete, che vengono proposti senza un ordine particolare, ma con la speranza che riescano ancora a dare al lettore degli stimoli nuovi e incoraggianti per insegnare le Scienze Naturali.
Riflettere sul lavoro d’aula è sempre occasione di crescita personale e professionale: è lo scopo di questa rubrica aperta ai contributi dei lettori.
Maria Castelli
L'esperienza è solo il primo passo - "Maria Arcà - Bambini e animali Anna Aiolfi - Ospiti in classe Maria Castelli - Insegnare biologia nella scuola secondaria Lucia Stelli - Scienze naturali: c’è un futuro per il loro insegnamento? Raffaello Corsi - Povertà educativa - La comprensione del testo: un processo complesso e sottovalutato Lucrezia Pedrali - Tra Matematica e Fisica una prospettiva interdisciplinare - Insegnare per far capire - Insegnare scienze Paolo Guidoni - Si può fare educazione scientifica alla scuola dell’infanzia Silvia Caravita - Ascoltare Maria Castelli - Sussidiari ed esperienze didattiche di tipo pratico A. Gambini, A. Pezzotti, A. Broglia- Apprezzare la bellezza della natura delle erbacce Claudio Longo - Raccontare la Scienza 1 Claudio Longo - Alcuni aspetti dell’insegnamento dell’ecologia nella scuola dell’obbligo Claudio Longo - Raccontare la Scienza 2 Claudio Longo - Prima ingegnera aerospaziale in italia Amalia Ercoli Finzi - C'è qualcuno che sa leggere Franco Lorenzoni Un pianeta a portata di mano Roberto Argano - Il diario spaziale Guido Andruetto - Come imparare dalla natura Susan Klausen - Il mestiere di insegnare Fiorenzo Alfieri - Ritrovare il tempo Penny Ritscher - Buona scuola per immersione Massimiano Bucchi - La scuola del fare insegna la scienza Massimiano Bucchi - Esperimenti, prove pratiche, attività sperimentali: quali significati? Laura Ferretti Torricelli - Esploratori che chiamiamo bambini Telmo Pievani - Pensieri sulla formazione scientifica di base Cristina Duranti - Cercare vere risposte a vere domande Maria Arcà, Paolo Mazzoli - Le domande dell’insegnante Maria Castelli - Conchiglie per cominciare Lucia Stelli e Maria Castelli - Percorsi di NATURALMENTE -
“L'esperienza è solo il primo passo”
Maria Arcà
Premessa
L’articolo riporta l’intervento conclusivo di un incontro residenziale avvenuto nel maggio 2022 a San Panfilo d’Ocre, tra insegnanti uniti da anni di lavoro condiviso, al termine di due giorni di discussioni, esperienze, confronti e serate conviviali (foto locandina). Qui, con l’aiuto e la preziosa partecipazione di amici scienziati, sono state esplorate le possibilità e le modalità con cui il pensiero scientifico riesce ad immaginare l’invisibile, costruendo modelli di pensiero astratto a partire da esperienze e osservazioni di realtà.
Le discussioni si sono sviluppate intorno a “Cosa importa davvero capire a scuola”, come gestire “La conversazione nel laboratorio scientifico”, come comprendere “La complessità delle strutture biologiche”. Grande importanza è riservata al significato delle esperienze in classe.
Il convegno è stato organizzato da Sara Paleri, Francesco D’alessandro e Maria Arcà, con il supporto del Dirigente scolastico Antonio Lattanzi, coordinato dagli insegnanti e da quelli che da anni hanno seguito queste modalità di formazione.
Ricordiamo e ringraziamo ancora:
Andres Acher, Anna Aiolfi, Roberto Argano, Emiliano Degiorgi, Annastella Gambini, Pino Macino, Michela Mayer, Nuccia Maldera, Paolo Mazzoli, Donatella Merlo.
Le esperienze di lavoro sono descritte nella locandina inviata ai partecipanti.
Le linee guida del Convegno
Maria Arcà, Francesco D’Alessandro, Sara Paleri
In questi momenti di lavoro e di incontro….
•Vorremmo fare scienze senza cadere nella tentazione di semplificare la complessità del mondo, senza tessere attorno alla realtà una ragnatela fatta solo di nomi e formule.
•Vorremmo ancora meravigliarci della vita imparando a guardarla nella sua complessa fragilità, nell’intreccio dei suoi funzionamenti.
•Vorremmo imparare ad appassionarci a vere sfide di conoscenza, misurandoci con gli aspetti del mondo e guardando il loro continuo divenire con attenzione e rispetto.
•Vorremmo sviluppare il nostro pensare per modelli. Perché non pensiamo solo ciò che vediamo ma stabiliamo relazioni tra i fenomeni, relazioni che non si vedono eppure fondano le strutture portanti del nostro capire
•Vorremmo un linguaggio che non si stanchi di cercare il significato di ciò che si dice, che si costruisca come strumento per dialogare sul pensiero, sempre in cerca di spiegazioni, sempre mettendo in crisi soluzioni apparentemente convincenti.
•Vorremmo imparare a percorrere lunghi e coerenti sentieri della conoscenza con i nostri ragazzi, accompagnandoli alla scoperta di sempre nuovi punti di vista sul reale attraverso riflessioni minuziose e accorte, attente a cogliere “indizi”.
•Per questo proponiamo ai partecipanti, nel rispetto delle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, un modo di fare scienze a scuola che sviluppi l’attenzione alle relazioni invisibili che connettono le strutture di pensiero e i fatti di realtà.
•Lavoreremo quindi in piccoli gruppi su attività concrete che si riferiscono ad alcuni concetti chiave della fisica, della chimica, della biologia, con la guida di un tutor e la collaborazione di tutti
•Ospiti di un territorio che è tornato a scommettere sul suo futuro, di nuovo vicini, potremo finalmente riallacciare i fili di tante e diverse ricerche, di esperienze lontane che tornano a ri-conoscersi e a sentirsi unite da una stessa etica di conoscenza. (continua)
Anna Aiolfi
Nell'articolo sono presentate esperienze e indagini sul mondo animale condotte nella scuola dell'infanzia. Risulta evidente che quando si lavora con e sugli animali con i bambini piccoli l'insegnante rappresenta un modello potente di come porsi, di cosa cercare e guardare, di come averne cura.
Quando Maria Arcà mi ha chiesto di parlare al seminario di Ocre di bambini e animali ho dovuto fare delle scelte, perché le porte d’ingresso a questo argomento sono tantissime e ognuno di noi ha accessi che ama particolarmente. Quindi vi racconterò le mie scelte, quello che normalmente amavo fare con i bambini di scuola dell’infanzia quando capitava di parlare di animali, anche di quelli poco conosciuti o evitati perché considerati fastidiosi.
Se io fossi
Un gioco molto coinvolgente era quello del “se io fossi”, per esempio… una medusa, un’anatra, un elefante. Quando si faceva questo gioco, difficilmente i bambini si immedesimavano in animali tipo gatto o cane, ma sceglievano animali particolari conosciuti da libri o filmati. Facendo finta di essere un altro, modellavano il loro corpo umano pensando a ciò che a loro mancava ma che l’animale doveva avere, per sopravvivere nel suo ambiente di vita.
Ludovica – Se io fossi un polpo avrei tre tentacoli che come le braccia prendono le cose, così prendo tante cose che con le braccia ne prendo solo due. Sarei sempre dentro all’acqua perché se esco muoio e non avrei i vestiti perché sennò si bagnano, allora la pelle è liscia e il polpo è nudo, i vestiti li mettiamo solo noi uomini. Se io fossi un’anatra avrei due ali con le piume e il pelo più morbido che la scalda dal freddo, avrei le zampe piccole così come la mia mano aperta. Ha il becco per prendere i pesci e per prendere le cose da mangiare. Per fare il polpo ci siamo messi in due così abbiamo fatto i tentacoli che sono tanti.
Succedeva anche di capovolgere il gioco e chiedere: che cosa ha l’animale, per esempio un’anatra, che anche noi abbiamo?
“…la pelle, la pancia, gli occhi, il naso, le orecchie, ha la lingua, ma i denti no perché lei mangia con il becco”.
In questo modo si condivideva l’idea che ci sono aspetti e funzioni che appartengono a tutti i viventi, come
spiega Pietro:
“Io dico che alcune cose le abbiamo tutti tipo la bocca per mangiare o le orecchie per sentire solo che sonodiverse per la forma forse perché facciamo cose diverse.” (continua)
Attività laboratoriali con i viventi alla Primaria
Maria Castelli
La lettura dell’interessante articolo di Anna Aiolfi “Bambini e animali”, che così bene esemplifica per la scuola dell’infanzia il senso e i modi del laboratorio di scienze delineati da Maria Arca’ nel numero precedente della rivista, mi ha suscitato il desiderio di proseguire il discorso con la scuola primaria (1). Sì, il senso e i modi fanno la differenza, non tanto i temi scelti, che più o meno entrano già nelle programmazioni, come Arcà osserva pensando alla Biologia:“ I bambini devono poter pensare e parlare a proposito di quello che vedono. Le esperienze aiutano i bambini a farsi un’idea di quello vedono e, reciprocamente, le loro idee (espresse attraverso le discussioni) suggeriscono nuove osservazioni. Tutto ciò in un lungo processo ciclico durante il quale si può “tornare a guardare” cose già viste e “tornare a parlare” di cose di cui si è già discusso.” (2) Come alla scuola dell’infanzia, le proposte alla classe prendono il via sia dall’ occasionalità che dalla progettazione annuale. Svolgere attività suggerite dall’iniziativa dei bambini, innanzitutto con l’obiettivo di lasciar entrare in classe ciò che accende la curiosità e fa sorgere domande nel quotidiano, fa maturare negli alunni l'idea che ci sta a cuore il loro desiderio di conoscere e che accogliamo volentieri quanto ci propongono di condividere. Negli anni, sono arrivati a scuola reperti già noti, o che potevano attendere di essere inseriti in un contesto più ampio e altri che valevano da soli una e anche più lezioni con momenti preziosi per tutti. (continua)
Insegnare biologia nella scuola secondaria di primo grado
Lucia Stelli
La mia lunga esperienza di insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado e il mio ruolo di curatrice della rubrica “Fare scuola” nella rivista Naturalmente Scienza1, costituiscono le premesse per ripercorrere con un certo distacco e in modo critico il mio percorso professionale. Ciò che però più mi motiva a esporre i problemi e le scelte didattiche che negli anni ho affrontato è la possibilità che il mio racconto possa essere di qualche utilità a chi comincia a insegnare adesso. È questa per me anche un’occasione per esaltare il contributo formativo dell’educazione scientifica, purtroppo troppo spesso confinata in spazi orari esigui. Qui mi limiterò a parlare di biologia, sia perché ho una predilezione per il mondo dei viventi, sia perché mai come adesso la specie umana ha bisogno di conoscersi e rapportarsi ai problemi che le si prospettano.
I problemi di fondo
Nel ripensare ai tanti problemi che investono l’insegnamento delle scienze nella scuola secondaria di primo grado, mi soffermerò solo sulle decisioni che hanno contribuito a determinare i miei cambiamenti di rotta, quelle che mi hanno fatto pensare di aver fatto le scelte giuste. Parto dall’inizio, dal numero di ore della cattedra di Matematica e Scienze , di norma 6 per classe, poche per l’enorme quantità di temi da trattare. Con che cosa e come riempirle? È stato subito chiaro che avrei dovuto fare i conti con le mie carenze culturali. Ero infatti consapevole che la mia laurea in Biologia mi avrebbe supportato solo in parte e che anche solo pensando ai viventi, con i quali peraltro avevo un po’ di familiarità, la vastità dei temi da affrontare era scoraggiante.
La ricerca di percorsi di formazione si imponeva, ma se mi sentivo in difficoltà con la biologia, figuriamoci con la matematica! E così quest’ultima finiva quasi sempre per avere il sopravvento. Inoltre i vari corsi disattendevano spesso le aspettative che vi riponevo, avrei avuto bisogno di orientamenti ‘semplici’ invece di esempi “alti” , proposte “normali” invece che “speciali”, ma poiché così non era, il tirocinio l’ho fatto prevalentemente sui miei sbagli. Il primo, è stato quello di affidarsi totalmente al libro di scienze.
I manuali scolastici
Qui si apre un capitolo spinoso perché i testi di scienze dovrebbero avere come interlocutori privilegiati i ragazzi ma sono invece scritti per gli insegnanti. D’altra parte le case editrici puntano sulle adozioni e sono solo interessate a capire che cosa motiva le scelte dei docenti. Ecco che, nell’intento di accontentare tutti, i testi finiscono per avere un taglio enciclopedico, relegando in secondo piano l’aspetto linguistico e quello sperimentale. Il linguaggio utilizzato è quello dell’adulto e ovviamente comunica all’adulto, il discente viene inevitabilmente bypassato; non potendo, da bambino, parlare come un adulto nella maggior parte dei casi impara a mente. E poi descrivere i problemi non è la stessa cosa che esplorarli e analizzarli insieme agli alunni. Le risposte vanno cercate e non è detto che siano subito quelle giuste, vanno argomentate, discusse, condivise. Oggi che abbiamo un mare magnum di informazioni a portata di clic, a maggior ragione, insegnare il pensiero critico è una priorità.
La nascita degli Istituti Comprensivi ha per me rappresentato un punto di svolta fondamentale perché mi ha motivato a diventare una figura di riferimento delle materie scientifiche e in questo ruolo ho potuto porre attenzione all’aspetto sequenziale dei concetti e a quello trasversale, uscendo in questo modo dall’isolamento della cattedra orario. Mi sono resa conto che non è possibile ad esempio far distinguere, comparare, classificare se non si costruiscono i processi di osservazione e descrizione. La scommessa è stata quindi armonizzare, riprendere, anticipare e/o approfondire alcuni saperi essenziali quali saper manipolare, osservare, confrontare, mettere in ordine e classificare, riconoscere l’appartenenza a un insieme. Ricercare e instaurare alleanze con altri docenti è stato anche un modo per dedicare più spazio alle scienze allargandone i confini. (continua)
Scienze Naturali: c’è un futuro per il loro insegnamento?
Raffaello Corsi
Qual è oggi lo stato di salute dell’insegnamento delle Scienze Naturali nella scuola media di secondo grado? La riduzione, in molti indirizzi di studio, del monte orario della disciplina mette a rischio la possibilità di insegnare le Scienze attraverso la pratica laboratoriale che è importante affinché l’apprendimento sia significativo e durevole. Nell’articolo si cerca perciò di suggerire alcune strategie per realizzare semplici e possibili attività sperimentali, sia in orario curricolare che extracurricolare, attraverso l’attivazione di progetti e percorsi di ricerca e di cittadinanza attiva.
All’origine una buona intenzione…
C’era una volta, negli anni ’60-’80 del secolo scorso, la Scuola nella quale si insegnavano le SCIENZE SPERIMENTALI; o almeno così si chiamava quella materia che veniva impartita nella nuova Scuola Media Unificata, dopo la riforma del 1962 1. Con questa dizione si indicava una disciplina alla base della quale era posto lo “sperimentalismo scientifico” ovvero la didattica attraverso l’operatività, anche semplice, ma continua e come metodo di lavoro standard perl’apprendimento dello studente.
“Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco” è una massima di Confucio che tutti gli insegnanti conoscono. Ma è anche un’impostazione didattica che veniva in qualche modo recuperata nelle idee attiviste/strumentaliste di John Dewey, nella pedagogia montessoriana e ripresa ed amplificata in quegli anni ’70-’80, anche con le idee sull’”apprendimento significativo” di David Ausubel 2: egli vedeva infatti nella necessità di innestare nuove esperienze ed emozioni sulle conoscenze pregresse che uno già possiede, l’unica possibilità affinché un apprendimento diventi significativo e duraturo.
Da questa ondata di idee furono influenzate in qualche modo anche le riforme dei programmi scolastici degli anni ’80 del secolo scorso, soprattutto riguardo all’insegnamento delle discipline scientifiche: la riforma dei programmi della Scuola Media del 1979 3, la riforma dei Programmi della Scuola Elementare del 1985 4 (con relativo Piano pluriennale di aggiornamento dei docenti) ma anche i programmi delle sperimentazioni del Progetto elaborato dalla Commissione Brocca del 1988 (con l’istituzione dei Liceo Tecnologici e Scientifico-Tecnologici) 5, vedevano una notevole valorizzazione dell’insegnamento delle Scienze Naturali, Chimica e Geografia (la classe A060); basti pensare, a titolo di esempio, che anche in istituti ad indirizzo prevalentemente umanistico, come il Liceo Linguistico venivano comunque assegnate all'insegnamento di Scienze Naturali, Chimica e Scienze della Terra 12 ore settimanali per ciascun corso 6 (e, nel Liceo Socio-Psico-Pedagogico, si arrivava a 13 ore settimanali per corso).
E poi…un decremento continuo
In tutte le ultime riforme scolastiche che si sono susseguite e che hanno investito gli indirizzi della Secondaria di Secondo grado – a partire dalla Riforma Moratti-Bertagna del 2003 – le Scienze Sperimentali sono state invece sempre fortemente penalizzate. Nel tentativo di dare un assetto di riforma a quello che era effettivamente un eccesso di complessità e proliferazione degli indirizzi e dei corsi di studio all'interno della scuola media superiore, si sono realizzati esclusivamente tagli di tipo economico.
Non staremo qui a fare un confronto tra le tabelle orarie dei vecchi indirizzi di studio della Sperimentazione Brocca, rispetto a quelli delle successive riforme Moratti, Gelmini e Giannini-Renzi (quelli della “buona scuola”); ma ciò che appare subito agli occhi come costante è il regolare, continuo e inesorabile declino dell’insegnamento delle Scienze Naturali nel nostro sistema scolastico secondario. Una complessiva diminuzione del quadro orario delle cattedre di Scienze Naturali che ha investito la maggior parte degli indirizzi di studio. Ad esempio, per il Liceo Linguistico, ciò ha comportato passare da 12 ore settimanali per corso a 10 ore per corso; per il liceo delle Scienze Umane (ex Socio-Pedagogico) si è passati da 13 ore per corso/settimana a 10 ore per corso/settimana (un calo del 23%). E così via... Negli Istituti Tecnici, dove prima delle riforme si avevano 3 ore settimanali di Scienze nelle classi del primo biennio (quindi 6 ore/corso), si èpassati a 2 ore settimanali (quindi 4 ore/corso), con una riduzione del 33% del monte orario; e così pure, in molti dei nuovi Licei - come quello Economico-sociale, il liceo Musicale e Coreutico, sino al previsto liceo del “Made in Italy” - l’insegnamento delle Scienze Naturali rimane residuale, solamente ai primi due anni del I° Biennio, per 2 ore settimanali (4 ore settimanali/corso). Questo rappresenta sicuramente un problema per i docenti, per i quali significa insegnare non più in 6 classi, ma avere ben 9 classi per formare l’orario della propria cattedra; ma ciò che risulta piùdanneggiata è la possibilità di insegnare queste stesse materie attraverso l’approccio sperimentale, che è epistemologicamente fondamentale per assicurare una qualità dell’apprendimento-insegnamento scientifico che sia significativo. (continua)
Alice Barsanti
M. Chiara Levorato
Che cos'è la povertà educativa
Si parla di povertà educativa nei minori quando è compromesso il diritto ad apprendere, a crescere sviluppando capacità e competenze, a scoprire e coltivare le proprie aspirazioni e talenti. Parliamo di una condizione in cui ciò che manca sono diritti più ampi e al tempo stesso più basilari rispetto alla mera opportunità di usufruire dell’istruzione formale, che in teoria è accessibile a tutti. Generalmente la povertà educativa riguarda bambine1 e adolescenti che vivono in contesti sociali svantaggiati, caratterizzati da disagio familiare e precarietà occupazionale. È più frequente nelle famiglie monogenitoriali e/o con prole numerosa e/o monoreddito o con reddito da lavoro povero. È più diffusa nelle periferie dei grandi agglomerati urbani, nelle zone rurali più isolate e, in Italia, al Sud e nelle Isole. I minori con povertà educativa provengono spesso da famiglie con svantaggio economico: in Italia il 12,5% dei minori di 18 anni si trova in stato di povertà assoluta e a loro volta hanno una probabilità più elevata di diventare degli adulti con una scarsa formazione professionale avendo in seguito minori opportunità di trovare un lavoro ben retribuito. È difficile nella vita delle persone e delle famiglie sganciare le condizioni economiche da quelle che riguardano il contesto sociale e famigliare nel quale si nasce e si trascorrono i primi anni di vita. Non è così in tutti i paesi: ci sono paesi ad alta vocazione egualitaria, come i paesi scandinavi, in cui l’erogazione di servizi e di welfare tende a mitigare gli effetti negativi dello svantaggio economico, mentre ci sono paesi in cui l’ascensore sociale non funziona e le condizioni economiche della famiglia in cui si nasce pongono seri ostacoli alla crescita culturale e sociale dell’individuo. Tali ostacoli, che hanno origine dall’interazione di fattori economici, sociali ed educativi, hanno come prima conseguenza l’abbandono precoce di un percorso scolastico poco soddisfacente, l’incapacità di avere relazioni adeguate con i pari e con le diverse agenzie educative e formative, la difficoltà, o disinteresse, a fruire di offerte culturali disponibili nel territorio.
Il costrutto di povertà educativa appare nel corso degli anni ’90 nei documenti di organizzazioni non governative (in particolare Save the Children e Con i bambini) che hanno contribuito e offerto la base scientifica e progettuale per l’istituzione nel 2016 del “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile”. È un fenomeno di natura multidimensionale in quanto coinvolge non solo la condizione economica, ma anche aspetti sociali e culturali che influenzano negativamente la crescita del minore. La povertà educativa non va identificata con la povertà economica e materiale, poiché si associa ad una costellazione di fattori che influiscono in modo diverso se presenti isolatamente o con altri.
Prendiamo, ad esempio, due casi che si collocano nel continuum della dimensione della povertà educativa: una bambina che vive in Italia, straniera di prima generazione, ossia nata all’estero da genitori stranieri, è fortemente a rischio di povertà educativa per ragioni molteplici: economiche, linguistiche, culturali; la sorella più piccola nasce in Italia, è una immigrata di seconda generazione e può avere povertà educativa in misura minore e qualitativamente diversa perché ha frequentato un asilo nido o una scuola dell’infanzia, perché la famiglia di origine si è parzialmente integrata nella cultura ospitante e vive una condizione economica meno precaria. Le ragioni per cui due figlie della stessa famiglia possono avere povertà educativa in modi e misure diverse sono difficilmente quantificabili. Però la differenza esiste ed è tangibile. Una riprova ne è il fatto che l’abbandono scolastico, che è l’esito più manifesto ed evidente della povertà educativa, incide maggiormente nelle minori straniere di prima generazione che in quelle di seconda generazione, a conferma dell’importanza del contesto in cui si cresce e delle opportunità di cui si dispone fin dai primi anni di vita.
Per dirla con le parole di Marta Nussbaum e Amartia Sen2, le due sorelle che abbiamo immaginato potrebbero sviluppare livelli diversi di funzionamento, intendendo con questo l’insieme delle cose che si è in grado di fare o di essere nella conduzione della propria vita: le qualità personali che si possono esprimere, le azioni e i percorsi che si possono intraprendere, i progetti di vita che si possono immaginare. Ovviamente il livello di funzionamento è culturalmente determinato, oltre che economicamente determinato: nella nostra società, il livello di funzionamento richiesto include molte abilità, competenze, capacità di adattamento; gli apprendimenti sono molteplici e devono avvenire durante tutto l’arco della vita, come è richiesto dallo sviluppo scientifico e tecnologico e dalla complessità dell’organizzazione sociale.
La comprensione del testo: un processo complesso e sottovalutato
Alcune premesse
“[…] l’educazione linguistica non è confinata nell’ambito della lingua come materia. La formazione nella/e lingua/e di scolarizzazione è necessaria in tutte le altre materie, che talvolta sono considerate, a torto, come materie ‘non linguistiche’ (mentre si tratta in effetti di materie con ‘contenuto non linguistico’). Le materie come la biologia, la storia, la matematica, l’educazione fisica ecc. richiedono delle capacità di comunicazione diversificate, quali ad esempio: leggere e comprendere testi informativi, la cui struttura varia spesso secondo la disciplina, ascoltare spiegazioni date dall’insegnante su argomenti complessi, rispondere a domande orali o scritte, presentare i risultati di una ricerca o di uno studio, partecipare a dibattiti su temi precisi.” (1)
La citazione afferma in modo diretto ed esplicito che nulla si può apprendere senza la mediazione linguistica e che la competenza linguistica relativa a ciascuna disciplina è parte integrante della disciplina stessa. La prima e più ovvia osservazione è che l’educazione linguistica non costituisce un oggetto formale di indagine di una specifica disciplina e quindi il richiamo alle comuni responsabilità nei confronti della lingua non suona come un generico appello alla buona volontà dei docenti, ma è la richiesta di specifico coinvolgimento di ciascuno nel perseguimento delle diverse abilità linguistiche.
L’insegnante di italiano ha responsabilità specifiche esclusivamente rispetto ad alcuni aspetti della competenza linguistica quali l’apprendimento delle abilità di letto-scrittura, l’individuazione e l’analisi delle tipologie testuali, l’apprendimento di tecniche di scrittura di testi, la riflessione linguistica, lo studio della letteratura.
Di grande rilevanza sono gli esiti conseguiti dagli alunni dei vari ordini e gradi di scuola sottoposti alle prove INVALSI (anno 2023) e riportate nel rapporto di sintesi reperibile sul sito (2). Sommariamente i dati forniscono le seguenti indicazioni:
II primaria
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In Italiano circa il 69% (era il 72% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate
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In Matematica circa il 64% (era il 70% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate
V primaria
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In Italiano circa il 74% (era l’80% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate
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In Matematica circa il 63% (era il 66% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate
Scuola Secondaria Primo Grado
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In Italiano circa il 62% (era il 61% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate
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In Matematica circa il 56% (era il 56% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate
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In Inglese-reading livello A2 80% (era il 78 nel 2022);
Inglese-listening livello A2 62% (era il 59% nel 2022)
Scuola Secondaria Secondo Grado
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In Italiano circa il 51% (era il 52% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate
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In Matematica circa il 50% (stesso risultato nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate
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In Inglese-reading livello B2 54% (era il 52% nel 2022);
In Inglese-listening livello B2 41% (era il 38% nel 2022).
La lettura completa del rapporto permette di decostruire e comprendere i dati sopra riportati, ad esempio, fa risaltare con grande chiarezza l’ampio divario territoriale che contraddistingue dolorosamente la condizione della scuola nel nostro paese. Il rapporto evidenzia comunque una situazione che dovrebbe interrogare l’intero sistema scolastico e i decisori della politica scolastica. Le cause che determinano esiti non brillanti nel percorso scolastico di numerosi allievi sono molteplici e interessano vari ambiti, a partire dalla condizione familiare di provenienza per cui, secondo un rapporto Ocse del 2022 “crescere in condizioni di svantaggio socio-economico ha effetti duraturi sulla vita dei bambini. I bambini provenienti da famiglie svantaggiate spesso rimangono indietro in molte aree del benessere e dello sviluppo, con effetti che continuano a limitare le loro opportunità e i loro risultati – compresi quelli relativi alla salute e al mercato del lavoro – anche molto tempo dopo il raggiungimento dell’età adulta”.
Una ulteriore riflessione preliminare si riferisce alla necessità di porre attenzione alla questione della motivazione. Anche in questo caso, recenti studi sul cervello suggeriscono che apprendiamo e memorizziamo meglio le conoscenze quando esse ci emozionano, cioè ci coinvolgono in qualche modo. (3) Riconoscere e legittimare le ragioni emozionali non significa aprire lo spazio per l’ennesima educazione - quella emotiva/affettiva- da collocarsi tristemente accanto alle altre che ormai saturano e traboccano dai PTOF. Al contrario, si tratta di considerare l’idea che nella scuola non ci sono soltanto menti da istruire, bensì corpi incarnati con il loro portato di differenze, di istanze, di bisogni e di storie e che proprio il riconoscimento delle incarnazioni di ciascuno consente di costruire la classe come gruppo - comunità. Riconoscere le incarnazioni significa anche pensare agli alunni come portatori di storie di vita che si manifestano fisicamente attraverso il corpo, il quale, quindi, non può essere relegato o pensato come legittimo solo nelle attività definite corporee o motorie. Il corpo è cognizione e affetti sempre, la componente emotiva non è residuale e interferisce costantemente nei processi di apprendimento. Anche l’insegnante, anzi, soprattutto l’insegnante, deve essere consapevole della sua dimensione emotiva e del peso che essa assume nella relazione con gli alunni e con la sua disciplina di insegnamento. Aldilà delle intenzioni e della pretesa di distinguere l’educazione dall’istruzione, le emozioni, i valori, i sentimenti, gli affetti si intrecciano con le conoscenze, le abilità, le competenze ed entrano direttamente nel processo di insegnamento/apprendimento e ne condizionano gli esiti. Non si tratta di enfatizzare uno psicologismo confuso e generico, ma di ammettere il bisogno di ripensare alla scuola e alla sua forma a partire dal riconoscimento del proprio sentire. Perché di senso si tratta, sia per chi insegna sia per chi apprende.
Isolando dalla complessità sopra evidenziata un singolo aspetto, fra le cause che contribuiscono alle fatiche di un percorso di apprendimento, come peraltro evidenziato dagli esiti delle prove Invalsi, vi è la difficoltà di comprensione di un testo scritto. (continua)
Tra Matematica e Fisica una prospettiva interdisciplinare
Maria Arcà - Emiliano Degiorgi
Incontro di formazione rivolto a insegnanti di scuola secondaria di primo e secondo grado
AIRDM-UMICIIM L’insegnamento della matematica tra ricerca didattica e prassi scolastica
Elaborazione dell’ intervento
Vi ringraziamo molto dell’invito. Io ci tenevo a partecipare anche perché, per mia esperienza professionale, non sono una matematica e mi incuriosiva entrare in un contesto diverso. Per questo, insieme a Emiliano Degiorgi, fisico e insegnante di scuola secondaria di primo grado, abbiamo cercato di capire come la matematica si mette in relazione con le altre discipline, ma anche come le tante discipline utilizzano necessariamente la matematica nella loro dimensione quantitativa, provando a metterci nei panni dei ragazzi che a scuola avviano la loro formazione matematica e scientifica. Non tanto dal punto di vista della quantità di conoscenze che riescono ad accumulare e sperabilmente a elaborare, ma dal punto di vista dei loro modi di guardare il mondo: come si costruiscono quei modelli mentali che sono così importanti per la costruzione di un pensiero scientifico? Cosa aspettarsi dalla matematica? Come l'insegnante riesce a capire quello che i ragazzi non capiscono, raccordando tra loro i vari problemi connessi al linguaggio, alle rappresentazioni scientifiche, alla vita abituale? Ci sembra che questo punto non venga particolarmente curato, né sia particolarmente presente nella letteratura e nei libri a cui i ragazzi fanno riferimento nel loro studio. Io ho lavorato moltissimi anni con il maestro Manzi e per lui era fondamentale “imparare a pensare”, il suo obiettivo era come insegnare ai ragazzi a pensare. Ci sembra che questo sia un compito che la scuola sta invece trascurando. È stato detto in una quantità di seminari come la parcellizzazione in unità didattiche all'interno di una stessa disciplina porti al nozionismo, e tutti abbiamo esperienza di come sul sussidiario un argomento sia presentato in una coppia di pagine e poi, a seguire, spesso si trovi un argomento non collegato o addirittura completamente diverso. Così, attraverso i libri di testo, la scuola di oggi presenta un sapere costruito attraverso i nomi delle cose più che attraverso le relazioni tra aspetti di un fenomeno da interpretare. Basta pensare all’elenco delle nomenclature biologiche che dovrebbero garantire la conoscenza del funzionamento del corpo umano, o ai nomi delle proprietà delle operazioni nelle prime classi di primaria, spesso non compresi dai ragazzi proprio a livello linguistico. (continua)
Paolo Guidoni
Per circa metà della mia vita attiva sono stato un fisico delle particelle elementari, e l’altra metà l’ho trascorsa, sempre rimanendo in un Dipartimento di Fisica e insegnando fisica, a cercare di capire come fanno le persone, grandi e piccole, a capire e a non capire, in particolare scienze e matematica. Ormai ho passato migliaia di ore in classe, dalle scuole d’infanzia alle elementari, medie, secondarie, cercando di seguire anche per molti anni consecutivi quello che succede. Vorrei cercare di fare fra noi, in quanto umani, un discorso fra umani: umani gli insegnanti che insegnano, umani i ricercatori-mediatori del museo, ma soprattutto umani quelli che oggi non ci sono, gli allievi, dai tre ai ventiquattro anni. Si tratta infatti di intendersi bene su cosa succede a un umano quando interagisce cognitivamente con la realtà e con altri umani. Inoltre, vorrei fare un discorso astratto, cioè indipendente da contesti specifici, perché a volte è necessario. E l’unico modo di cominciare un discorso astratto è con un esempio concreto. (continua)
Paolo Guidoni
Insegnare
Da sempre ogni società umana è caratterizzata da modi e forme diversificati e specifici di insegnare, cioè di raccordare le realtà e le potenzialità di ogni nuovo umano che nasce alle realtà e alle potenzialità del mondo in cui viene a trovarsi immerso. Si tratta di mettere in relazione, di indirizzare a sviluppi reciprocamente risonanti le tre fondamentali tipologie di potenzialità a priori destinate a “mettere in forma” ogni nuovo nato:
- le potenzialità individuali secondo specie, acquisite biologicamente come eredità evolutiva;
- le potenzialità sociali secondo cultura, in tutte le loro configurazioni di significato;
- le potenzialità esperienziali secondo ambiente, in tutte le loro manifestazioni naturali o artificiali.
Le diverse potenzialità sono per necessità evolutiva profondamente correlate e intrecciate tra loro. Correlazioni e intrecci, ovviamente filtrati, modulati e indirizzati non solo dall’insegnare finalizzato, ma anche dai casi dellavita, danno comunque luogo a “forme” umane individuali sempre profondamente distinte e differenziate. Se “va bene” reciprocamente integrate in una comune costruzione sociale.(continua)
Si può fare educazione scientifica alla scuola dell’infanzia
Silvia Caravita
Le ricerche sullo sviluppo cognitivo in età evolutiva e sui processi di apprendimento dimostrano che la scuola dell’infanzia è il momento giusto per incominciare. E questo può essere ben argomentato, come per esempio in un articolo della rivista dell’Institut National de Recherche Pédagogique francese (Ledrapier, 2010).
Nella pedagogia è ormai indiscussa l’idea che la conoscenza si costruisce attraverso un processo in cui ognuno deve essere protagonista attivo e non soltanto recettore.(1)
Per questo nella didattica è diffusa, specialmente nei primi anni di scolarizzazione, la pratica di fare esperienze con i bambini, di rivivere insieme la manipolazione di oggetti e materiali e la percezione di fenomeni comuni, per dare senso a scoperte, discutere le osservazioni e le idee che ne derivano. Non è corretto però identificare solamente questo con l’educazione scientifica. Ci sono punti di contatto tra il fare/pensare/dire degli scienziati e il fare/pensare/dire dei bambini, ma questi vanno fatti emergere attraverso una deliberata mediazione didattica. L’attività di scoperta ha bisogno di essere sostenuta dall’insegnante con varie azioni:
- selezionare, collegare molteplici esperienze attorno a fenomenologie, in modo che nei bambini si possa consolidare un nucleo di riferimenti empirici comuni;
- accorgersi delle “sorprese” dei bambini per farle diventare motori di ricerca, in modo da valorizzare e stimolare soprattutto la capacità di farsi delle domande su ciò che si sperimenta del mondo (non di cercare soluzioni a problemi posti da altri). (continua)
Modi e strumenti del fare scienze alla scuola primaria
Per “Andare a prenderli là dove sono, e trovare una strada per accompagnarli dove li vogliamo condurre” (Wittgenstein)
Maria Castelli
Nella ricerca
Da tempo, la ricerca didattica ha validato la valorizzazione delle esperienze e delle conoscenze degli alunni, a partire dalle quali l’insegnante promuove acquisizioni nuove e significative. Le “Indicazioni nazionali per il curricolo”, nella parte introduttiva vincolante per i docenti, definiscono l’ambiente di apprendimento della scuola primaria, sottolineando alcuni principi metodologici che contraddistinguono un’efficace azione formativa. “Nel processo di apprendimento l'alunno porta una grande ricchezza di esperienze e conoscenze acquisite fuori dalla scuola e attraverso i diversi media oggi disponibili a tutti, mette in gioco aspettative ed emozioni, si presenta con una dotazione di informazioni, abilità, modalità di apprendere che l'azione didattica dovrà opportunamente richiamare, esplorare, problematizzare. In questo modo l'allievo riesce a dare senso a quello che va imparando.” (1) (continua)
Sussidiari ed esperienze didattiche di tipo pratico: due modi contrapposti con cui affrontare a scuola la complessità dei temi ambientali
S.lt.E. - Società Italiana di Ecologia Congresso nazionale, Parma 1-3 settembre 2007
Annastella Gambini, Antonella Pezzotti, Alfredo Broglia
Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” - Università degli Studi di Milano-Bicocca, Piazza dell’Ateneo Nuovo 1, Milano 20126, Italia
Temi riguardanti l’ecologia e le scienze ambientali sono inseriti nella programmazione didattica di tutti i livelli di scuola e sono pertanto trattati dall’editoria scolastica. Abbiamo analizzato, in oltre venti libri di testo per la scuola primaria, le modalità con cui si affrontano alcune tematiche ambientali. In particolare, risulta trattata in modo molto riduttivo la complessità degli ecosistemi: questi spesso sono presentati come un elenco di organismi legati da relazioni troppo scarse e semplificate, quasi esclusivamente di tipo alimentare. Abbiamo distribuito a un gruppo di insegnanti di scuola primaria alcune domande per indagare le conoscenze di alcuni basilari concetti di ecologia, tra cui quello di ecosistema.
Opportunità ed esperienze per l’educazione ambientale
Apprezzare la bellezza della natura delle erbacce
Claudio Longo
Quali sono gli argomenti che ricorrono più spesso nei discorsi degli ambientalisti?
Direi gli organismi transgenici, il nucleare, il riscaldamento del cli¬ma, l’inquinamento atmosferico, la scarsità d’acqua, la morte delle foreste, le fonti energetiche alternative... Molto meno la bellezza della natura e quando capita è di striscio, quasi ci si vergognasse di menzionarla essendo in fondo poco importante... tanto non ne va della nostra pelle.
La bellezza è un valore scomodo, difficile.
Due modi opposti di vederla che provo a riassumere in due citazioni.
La prima è del grande Dostoevskij:
"La bellezza salverà il mondo "
La seconda è un proverbio:
"Tutti i gusti son gusti"
O il suo equivalente latino:
"De gustibus non est disputandum "
Immagino queste due opposte frasi incarnate in due personaggi.
La prima: un vecchio saggio con uno sguardo che sembra andare al di là delle apparenze delle cose.
La seconda: un anziano distinto signore che ha fatto un buon liceo, che introduce la sua citazione latina con un colpetto di tosse per attirare l’attenzione...
Per togliere ogni equivoco dichiaro subito che sono un appassionato sostenitore di Dostoevskij. Ma per un istante vorrei fermarmi sull’affermazione opposta.
Dice l’anziano distinto signore: «La rovina dell’ambiente è un dato oggettivo. Si può dimostrare con misure precise che gli ecosistemi si riempiono di veleni. La bellezza invece è un fatto soggettivo. Chi trova bella una cosa, chi un’altra. E sappiamo che nelle diverse civiltà i canoni di bellezza sono stati molto diversi...» ecc. ecc. ecc. Effettivamente i "gusti" estetici possono essere diversi - non solo per l’arte, anche per la bellezza della natura. Un tempo, per esempio, quando non si usavano ancora i lunghi viaggi andava di moda la contrapposizione mare/montagna.
Ma negli ultimi decenni c’è stata una colossale evoluzione nella percezione del bello in natura. Ormai sono in tanti a riconoscere che la natura è sempre bella - dappertutto, in tutti i suoi aspetti, anche quelli che fanno paura, anche quelli che possono sembrare desolati... È bello il bosco ma è bello anche il deserto, è bello un folto impenetrabile di mangrovie, è bella perfino una tundra artica battuta da un vento feroce che turbina pungenti cristalli di neve. Probabilmente questo allargamento della percezione del bello è dovuto ai soliti "media" e per molti rimane a un livello estremamente superficiale - eppure lo considero un progresso. (continua)
Materiali per un nuovo curricolo di scienze
Raccontare la Scienza
Claudio Longo (docente di Botanica Università di Milano)
Per tradizione, Storia, storie e Scienza sembrano cose non molto compatibili. Nell’idea delle persone colte, la Storia è una cosa dignitosa e le storie invece sono spregevoli. Se si tratta della Storia della Scienza, allora va bene, ci sono i temi classici: Galileo, Pasteur…...
Quando però la Storia diventa più raccontata, allora perde di considerazione, ed è proprio in quell’istante invece che le cose riescono a prenderti di più. Pensiamo alle cose più grandi della tradizione dell’occidente: sono delle storie.
Quando racconto storie in università, non ho per niente davanti a me l’immagine dell’aula universitaria, ho un’immagine che forse non esiste, ma forse esiste in qualche momento remoto.
Immaginate un villaggio, una cittadina del Marocco, magari in montagna, d’inverno. Non c’è grande illuminazione, ma un enorme cielo stellato, magari nella piazza è acceso un fuoco e davanti al fuoco c’è un raccontatore di storie che è un vecchio signore barbuto e poi tutti in giro, c’è tutto il villaggio. E queste storie vengono un po’ raccontate, recitate, cantate, gestite, sceneggiate. [continua]
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Alcuni aspetti dell’insegnamento dell’ecologia nella scuola dell’obbligo
A proposito di famigliarità con la natura
Da Quaderni IRRSAE, n. 23, Milano
Claudio Longo
L’argomento “ecologia” può avere un vantaggio rispetto ad altri argomenti scientifici che vengono insegnati a scuola: la chiarezza degli obiettivi. Gli obiettivi sono diventati un’ossessione. Prima di iniziare qualunque argomento bisogna sempre dettagliare gli obiettivi da raggiungere e spesso si spaccano capelli per distinguere obiettivi da metodi. Per quanto riguarda l’educazione scientifica tutta intera l’obiettivo che spesso viene indicato è quello di “formare una mentalità scientifica” o qualche altra espressione molto vaga di questo tipo. Per l’insegnamento dell’ecologia possiamo invece immaginare un obiettivo molto più pratico.
In un periodo di crisi ecologica galoppante, l’ambiente si rovina di giorno in giorno, sotto i nostri occhi. Per bloccare questa rovina ci vogliono rimedi urgenti, ma per far guarire l’ambiente ci vogliono rimedi radicali e quindi più lenti. Il primo di questi rimedi a lungo termine è la formazione di una coscienza ecologica nelle giovani generazioni. “Coscienza ecologica” è un termine, credo, più preciso che “mentalità scientifica”. Esso implica sia conoscenza razionale che partecipazione a livello emotivo. Bisogna conoscere i problemi dell’ambiente in termini scientifici, ma allo stesso tempo sentire, a livello quasi viscerale che questi problemi sono gravi. Un danno alla salute dell’ambiente dovrebbe essere vissuto emotivamente come un danno alla nostra salute personale. In Germania questa “coscienza ecologica” si sta formando: la morte dei boschi è vissuta come una tragedia nazionale.
La coscienza ecologica si forma essenzialmente in famiglia, ma il contributo della scuola può essere molto importante. é logico che l’educazione famigliare sarà determinante per l’aspetto emotivo mentre quella scolastica potrà influire maggiormente su quello razionale, senza però escludere l’altro approccio. (continua)
Materiali per un nuovo curricolo di scienze
Claudio Longo (docente di Botanica Università di Milano)
Sono del parere che si debba programmare in modo non troppo rigido, che non ci si debba preoccupare troppo di quello che si farà domani. Quello che possiamo chiamare un po’ pomposamente SAPERE è come un tappeto: si comincia a tirare un filo e poi viene via tutto. Voglio dire che si può cominciare da qualunque parte e tirar dentro tutto il possibile che non ti aspetteresti. Questo vale per le conoscenze e anche per le abilità: saper fare ragionamenti ipotetico- deduttivi, saper osservare, saper registrare ciò che si vede, saper fare previsioni, saper misurare… Va benissimo analizzare e scomporre tutte le abilità; oggi si tende moltissimo a rendere espliciti obiettivi e abilità, ma forse è il caso di non prendere troppo sul serio questa cosa.
E’ un po’ come se si pretendesse di capire come si riconosce una persona...
Tutta la scuola dell’obbligo insegna a stare nel mondo. Allora occorre far andare d’accordo
gli OCCHI – saper vedere e più in generale adoperare i cinque sensi,
il CUORE – provare emozioni,
la TESTA – saper ragionare.
Nella scuola elementare sono importanti soprattutto i primi due, perché occorre immaginare la strada successiva che man mano sale verso le superiori e verso l’università: resta alla fine soltanto la testa. Occorre incominciare alle elementari a gettare le basi di tutto, sapendo che continuando negli studi i primi due aspetti si perdono. [continua]
Amalia Ercoli Finzi, Prima ingegnera aerospaziale in italia: “sono brave, bisogna incoraggiarle”
intervistata da Cristina Nadotti de "la Repubblica"
“Alle bambine regalate le bambole e il meccano così io sono diventata la signora delle comete”
Due minuti al telefono e di Amalia Ercoli-Finzi ci s’innamora. A 80 anni la prima ingegnera aerospaziale in Italia, la direttricedel progetto Rosetta per lo studio delle comete, ha il piglio travolgente di una giovane donna che cavalca il futuro.«Fa bene il Politecnico a sensibilizzare le ragazze alla scelta consapevole di corsi di studio in scienza, tecnologia, ingegneria ematematica — dice Ercoli-Finzi — ma purtroppo non è un problema soltanto italiano. Le donne vanno ancora incoraggiate ovunque». Intervista completa
Roberto Argano Università "La Sapienza", Roma
Insegnare ai bambini la storia naturale degli animali è, evidentemente, la cosa più semplice di questo mondo: "Andiamo a cercare la tana dell'istrice". Arco e faretra, e si va. Per strada, ci si meraviglia del giallo del rigogolo che saetta tra gli alberi, delle uova azzurre in un nido di merlo, delle galle sferiche dei cinipidi delle querce, si gioca col saettone sorpreso a crogiolarsi al sole, si insegue una fienarola tra l'erba. Insomma le solite cose di quando si va in giro senza la tensione della caccia. Per il ragazzo è un gioco, ma la natura gli entra piano piano nell'anima, i silenzi cominciano lentamente ad accordarsi con i brusii, un vago sbatter d'ali di farfalla segna un momento nel calendario, quello in cui una certa pianta è fiorita e il cinghiale va in amore. I ritmi, le armonie, i colori, le forme, si armonizzeranno nel complesso dialogo tra lui e la natura, tra la natura e lui. [continua]
Voglio la Luna! (da disegnare)
- Franco Lorenzoni 31 gennaio 2017 maestro, collaboratore del "Sole 24 ore"
«Mamma… lua… Ecco la lua, mamma».
Bambine e bambini amano nominare la luna fin da piccolissimi, quando i suoni dei nomi sono ancora incerti. Amano nominarla quando la riconoscono nell’oscurità della notte e anche quando la ritrovano stupiti di giorno, bianca tra i celesti del cielo. Nel loro dito puntato in alto mescolano emozione e conoscenza, unite dallo stupore di un riconoscimento. Del resto l’atto del nominare non può avvenire senza un riconoscimento e forse, almeno da piccoli, neppure senza una qualche riconoscenza.
Quando abbiamo letto la settimana scorsa, in quarta elementare, che gli antichi egizi avevano calcolato la durata dell’anno in 365 giorni, ho chiesto ai bambini come avessero fatto secondo loro gli scribi a calcolare quel numero. «Segnando ogni giorno una stanghetta», ha detto Lorenzo. «Già, ma come hanno fatto a fermarsi di contare e a capire che un anno era passato?» - ha domandato Alessandro. «Forse contando le stagioni», ha ipotizzato Alessia, aggiungendo pensierosa: «Però come facevano, se era deserto?». [continua]
Guido Andruetto, collaboratore de la Repubblica (articolo del 22/1/2017 introvabile in internet)
Perché la divulgazione scientifica è così importante? E come farla apprezzare ai più piccoli? Lo spiega Lucy Hawking che insieme al padre Stephen, il più celebre fisico dopo Einstein, ha messo a punto un programma di astrofisica e astronomia adottato dalle scuole inglesi.
Un diario per apprendisti astronauti, supportato da una piattaforma multimediale accessibile gratuitamente per seguire lezioni di astrofisica e astronomia. Il “Principia Space Diary” è il nuovo programma di formazione adottato dalle scuole inglesi che prenderà il via il 30 gennaio. Promosso da Curved House Kids, Queen Mary University of London, UK Space Agency ed Esa, si basa sui contributi fra gli altri di Lucy Hawking, giornalista e scrittrice, e di suo padre, l’astrofisico Stephen Hawking, con cui ha già firmato cinque libri per bambini e ragazzi — la saga di George e Annie (l’ultimo, “I cercatori dell’universo”, è pubblicato in Italia da Mondadori) — dove, con rigore scientifico e semplicità nell’esposizione, si presentano le più recenti scoperte della scienza sull’universo, spiegandone i misteri e divertendo i lettori.
Poco più di una settimana fa Lucy ha festeggiato nella sua casa a Londra il compleanno del papà, e insieme hanno completato i testi delle loro lezioni che saranno oggetto di studio per ottantamila studenti di millecinquecento scuole del Regno Unito.
Abbiamo conversato con la figlia dello scienziato, cosmologo e grande studioso dei buchi neri, per capire come deve cambiare la divulgazione scientifica quando si rivolge ai più giovani. [continua]
Penny Ritscher Pedagogista
C'era una volta l'ozio fecondo nella vita dei bambini. "Si giocava con niente." "Il tempo non bastava mai." "Era subito sera." Sono commenti che emergono spesso quando gli adulti di una certa età riflettono su come giocavano all'aperto da bambini. Che significa "si giocava con niente"? Che cosa era quel "niente"? Sassolini, un gesso, una corda, fili d'erba, le foglie delle pannocchie di mais, miscugli di terra e acqua... Era "niente" nel senso che era a costo zero, senza la mediazione del mercato. Era niente anche nel senso che i materiali non erano giocattoli pre-strutturati (il fango era calcina da muratori o pappina per la bambola, secondo il copione del momento...). La ricchezza del gioco dipendeva dalla ricchezza dell'inventiva di chi giocava (meglio se tra compagni) e non dal prezzo dei materiali. Che significa "il tempo non bastava mai"? I progetti si susseguivano in continua evoluzione, da cosa nasceva cosa, non c'era mai un punto fermo. Non si sarebbe mai smesso, solo che "era subito sera" e si doveva interrompere per rientrare in casa. Erano tempi lunghi e "vuoti", cioè non organizzati se non da se stessi. C'era confidenza con il "vuoto", era "pieno", pieno delle proprie capacità di giocare con niente. Pieno anche di momenti "morti", di soste, di noia, dai quali poteva scaturire qualche nuovo progetto. [continua]
Come imparare dalla Natura
Susan Klausen Pedagogista
La nostra società crea delle opportunità per scoprire la natura e utilizzarla come contesto per lo sport o il relax, per capire il passato tramite le risorse degli ambienti naturali e molto altro. I bambini di oggi vedono e ascoltano in tv tante informazioni legate alla natura: i leoni e i delfini entrano nel nostro salotto, vediamo terremoti, alluvioni... Ma se vogliamo creare un'interazione tramite la natura e gli esseri umani deve essere per la nostra volontà e deve anche cominciare con i bambini.
Crediamo che per capire il mondo bisogna capire la natura e per capirla bisogna essere attivi e fare qualcosa. Per questo è tanto importante che i bambini abbiano la possibilità di sporcarsi le mani, sentire gli odori nella natura, ascoltare i suoi suoni, esplorare il senso di muoversi con autonomia, imparare ciò che la natura fa per noi e ciò che possiamo fare noi per essa. Qual è il tema di apprendimento per i bambini e come legare la natura e la vita all'aperto a questo? [continua]
Fiorenzo Alfieri
Questo intervento ha avuto una gestione curiosa. L’avevo già scritto, quando un sesto senso mi ha spinto a leggere un libro che avevo portato con me in montagna, di cui avevo sentito molto parlare e che non avevo ancora preso in mano: “Togliamo il disturbo” di Paola Mastrocola. Sono contento di averlo fatto. Ho letteralmente divorato quel libro perché è a suo modo coraggioso, passionale e molto molto spiritoso. Poi mi sono rimesso al computer e ho riscritto quasi completamente il mio intervento. Quindi ciò che ascolterete è una specie di pane lievitato dalla Mastrocola. Chi ha letto il suo libro sa che a parere dell’autrice la scuola di oggi e in particolare il liceo scientifico, ordine di scuola nel quale insegna, sono sfasati rispetto al mondo esterno e quindi circa l’ottanta per cento degli allievi li vive come una forzatura, come qualcosa che non appartiene alla loro vita, spesso come una tortura. L’autrice non ritiene che questa situazione dipenda dagli insegnanti, la cui professionalità non è mai messa in discussione in tutto il corso del libro. [continua]
Il Sole 24 ore, 15 febbraio 2015
di Franco Lorenzoni
Ci sono insegnanti che da decenni, anche in situazioni assai difficili, propongono metodologie attive chepartono da un ascolto attento dei ragazzi e praticano la conversazione euristica, come terreno privilegiato.Risorse umane per questo tipo di formazione ci sono, perché in gran parte si trovano già nelle scuole, se sifosse in grado di valorizzare e diffondere la didattica che è capace di promuovere il confronto e sostareattorno domande aperte.L'obiezione che ascolto, quando mi capita di discutere con gruppi di docenti sul metodo, è che non c'è iltempo per ascoltare i ragazzi perché il programma è vasto, le ore sono poche e le classi sono tropponumerose. Queste obiezioni nascondono a volte pigrizia mentale e scarsa volontà di mettersi in gioco,sollevando tuttavia una questione rilevante, che è quella del tempo lungo necessario all' ascolto e alconfronto, alla pratica individuale e collettiva del ragionamento.Personalmente ritengo che dovremmo proporre meno contenuti e svolgerli con cura e profondità, perché ilgrande nemico di ogni crescita culturale sta nella semplificazione. Finora l'autonomia scolastica è stata benpoco utilizzata nelle sue potenzialità, perché dotata di fondi miseri, più volte ridotti. [continua]
La scuola del fare insegna la scienza
L'esperienza concreta nell'insegnamento quadruplica la possibilità che gli studenti poi optino per facoltà scientifiche
di Massimiano Bucchi
Datemi un laboratorio e vi solleverò l'interesse per la scienza! Si potrebbe sintetizzare così, parafrasando ilcelebre detto attribuito ad Archimede, uno dei risultati più significativi della più ampia indagine mai condottasul rapporto tra studenti, scienza e tecnologia in Italia: quasi 3 500 ragazzi del secondo anno delle scuolesuperiori intervistati su tutto il territorio nazionale nell'ambito di uno studio condotto dal centro ObservaScience in Society, i cui risultati sono contenuti nel nuovo Annuario Scienza Tecnologia e Società 2015, acura di Giuseppe Pellegrini e Barbara Saracino (Il Mulino). [continua]
ESPERIMENTI, PROVE PRATICHE, ATTIVITA’ SPERIMENTALI: QUALI SIGNIFICATI?
Laura Ferretti Torricelli
Il dizionario ci informa che sperimentare è sinonimo di provare e che tutto ciò che èsperimentale è fondato sull’esperimento o sull’esperienza.Esperimento ed esperienza sono usati in questa definizione come sinonimi, ma in molteoccasioni i due vocaboli assumono significati – o almeno sfumature – diversi. E’ il caso didiscuterne.
SPERIMENTARE: QUANDO, COME, PERCHE’ QUANDO….
1. …nel corso di una qualsiasi attività si produce un fatto insolito - qualcosa che nonva secondo le previsioni e siamo quindi costretti a formulare ipotesi per rispondere adomande sul tipo di: “Che cosa è successo?”, “Perché non funziona?”, “Dove è l’errore?” ealtre simili.
2. …vogliamo introdurre variazioni rispetto al consueto svolgimento dell’attività. Cichiediamo: “Che cosa è succederà se…” e azzardiamo qualche previsione…
Siamo tutti sperimentatori (specialmente in cucina…).
In ogni caso le risposte alle nostre domande sono cercate sperimentalmente, individuandole variabili del sistema e provando la stessa situazione a confronto con le variazioni da noi apportate. Se riusciamo nell’intento di trovare le risposte, l’esperienza potrà esserci utile in futuro. Se, invece, le nostre domande restano senza risposte, il problema aperto potrebbe in altre occasioni fornire inaspettate risposte, dimostrandosi addirittura più utile del problema risolto al primo tentativo. [continua]
Esploratori che chiamiamo bambini
Telmo Pievani
La chiamano hands-on, perché si fa con le mani in pasta, interagendo con l'oggetto di studio, perché finisce per essere un'attività molto alla mano, per i bimbi e per gli insegnanti che si divertono con loro. È una modalità partecipativa di avvicinamento alla scienza, attraverso la condivisione di esperienze di laboratorio, di giochi e improvvisazioni ben congegnate. Riscuote fra i piccoli e le loro famiglie un indubbio successo, e il nostro paese oggi non ha nulla da invidiare agli altri in questo campo. Anzi, l'Italia ospita non soltanto i festival della scienza più seguiti d'Europa, ma anche esperienze di avanguardia che attraggono osservatori da tutto il mondo. L'ipotesi di partenza è interessante: i cuccioli curiosi di Homo sapiens sono ricercatori nati, cacciatori di regolarità, di invarianti, di simmetrie e di connessioni. Non avrebbe molto senso trattarli come contenitori passivi da riempire. Sono portatori di evidenze scientifiche. È suggestivo come talvolta - nei laboratori didattici in cui viene chiesto ai bambini di scambiare impressioni per iscritto sulla loro esperienza in corso - emergano scampoli di conversazione, schemi e disegni, emozioni, speculazioni, ipotesi conflittuali e appunti frammentari che assomigliano molto ai toni e ai contenuti delle scritture private e dei taccuini di ricerca di alcuni grandi scienziati. Come se nel processo di scoperta di questi membri assai particolari della nostra specie, bambini e scienziati, baluginassero tratti universali della creatività umana all'opera. [continua]
Pensieri sulla formazione scientifica di base
Cristina Duranti
Abstract: La scuola italiana ha bisogno, a partire dalla scuola dell’infanzia, di un radicale rinnovamento dell’insegnamento scientifico attraverso una “seria” formazione dei docenti.
Le indicazioni ministeriali sono spesso disattese e nella società è scarsamente rintracciabile quell’atteggiamento critico e antidogmatico che è il più profondo valore formativo dell'insegnamento scientifico. Le molte riflessioni presenti nell’articolo portano a riconoscere che le scienze rappresentano uno dei cardini culturali della nostra società. Pertanto l'acquisizione di competenze scientifiche, tecnologiche e linguistiche è determinante per il futuro della democrazia, anche in termini di sviluppo sostenibile e qualità della vita. (continua)
Cercare vere risposte a vere domande
Maria Arcà, Paolo Mazzoli
Perché un elastico si allunga?
Consideriamo per un momento questa breve domanda. E poniamocene subito anche un’altra: a che livello scolastico è giusto cercare una risposta?
Nella scuola dell’infanzia, nella scuola primaria, nella scuola secondaria o nell’università? Proviamo a scorrere tutte queste possibilità.
Nella scuola dell’infanzia
Tutti gli specialisti parlano di “età dei mille perché” (fra i tre e i sei anni) e danno consigli su come reagire quando si è bombardati da domande del tipo:
Papà, perché sogniamo? Oppure:
Maestra, perché la carta bagnata diventa morbida e si rompe subito?
Possiamo addirittura considerare questo livello di età come il periodo in cui il bambino ha un rapporto con il mondo reale più stretto e coinvolgente, dal punto di vista cognitivo, nel senso che sono gli anni in cui vengono messi in forma i modelli base della sua conoscenza del mondo. L’età dei perché rappresenta probabilmente la facciata esterna di un periodo critico per la mente del bambino, nel quale si stabiliscono fondamentali categorie di pensiero che costituiranno il supporto delle sue conoscenze future. Le proposte di guardare insieme, di fare insieme, di dare parole alle proprie opinioni rappresentano tentativi di capire “a misura” di chi pone le domande, spesso ben lontani dalle spiegazioni saccenti e strutturate che forse qualche adulto sarebbe interessato a dare.
D’altronde si tratta pur sempre della scuola dei piccoli, che non scrivono e non leggono, e hanno da poco imparato a parlare (attenzione però, che significa “imparare a parlare”?); ma è bene ricordare che spesso le domande dei bambini nascondono malamente il loro desiderio di dare, per primi, una risposta che li interessa. (continua)
Maria Castelli
Le buone domande sono aperte, mirate e comprensibili, seguite da un ascolto attento delle risposte. Dovrebbero essere poche, perché il discorrere dell’insegnante è emblematico: un esempio del modo di “stare sulle cose” che i bambini acquisiranno come atteggiamento naturale a prestare attenzione.
Come per tutti gli aspetti dell’insegnare, non ci si improvvisa. A porre buone domande si impara ascoltando le risposte dei bambini e riflettendo sul proprio modo di fare lezione: nell’articolo, alcuni esempi.
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“Cercare vere risposte a vere domande” pubblicato in FARE SCUOLA sul numero 3 della rivista 1 entrava nel merito delle domande autentiche e piene di curiosità che bambini e ragazzi pongono in contesti favorevoli, esprimendo il desiderio di capire e di imparare. Le domande degli alunni devono però trovare riscontro nell’autenticità delle domande che l’insegnante rivolge loro per guidarli a definire, circoscrivere, analizzare i problemi prima di affrontarli insieme, assumendo il ruolo di mediatore fra la disciplina e le conoscenze degli alunni.
Riflettendo sull’insegnamento della biologia nella scuola primaria, Maria Arcà scrive: “È molto importante la scelta delle domande iniziali da porre ai ragazzi, che dovrebbero essere estremamente chiare ed aperte. Eccone alcune:
“che cos’è?”
“come pensate che sia fatto dentro?”
“come sarà domani?”
“come sarà tra un mese?” ...
[...] Partendo da queste domande i bambini sanno esattamente di che cosa debbono parlare, e man mano che la discussione procede, si potranno porre domande più precise e specifiche che fanno riferimento alle cose che sono state dette e viste. In questo modo si può creare un buon “contesto per pensare” a proposito di qualcosa di concreto. […] Questa attività di discussione a tema potrebbe diventare il filone metodologico portante per tutto il curriculum di scienze biologiche: il contesto “ufficiale” nel quale si elaborano le idee, si mettono in comune modelli mentali e spiegazioni, si concorda su alcuni punti fermi validi per tutti, si sintetizzano cose dette durante un certo periodo di lavoro. L’insegnante, lungi dall’essere assente o neutrale, esercita la sua azione di guida proponendo sempre nuove osservazioni e nuovi approfondimenti, spingendo i ragazzi a verificare la coerenza e la sensatezza di quello che dicono, con domande e richieste di chiarimenti ma nello stesso tempo deve avere la disponibilità (e la pazienza) di seguire fino nei minimi dettagli quello che i bambini cercano di dire, mettendo in discussione anche le cose che lui stesso, come adulto, sa, o crede di sapere, se in un certo contesto di discorso esse si rivelano incapaci di spiegare quello che i bambini stanno cercando di capire.” 2 (continua)
Lucia Stelli e Maria Castelli
Le quattro competenze descritte da Paolo Guidoni (*) costituiscono un traguardo impegnativo per gli insegnanti di tutti gli ordini scolastici; un traguardo da raggiungere attraverso iniziative di formazione istituzionali in ingresso e in servizio (da sempre tutt’altro che garantite) e la riflessione sul proprio lavoro in classe.
È importante considerarle tutte insieme, dal momento che la competenza disciplinare, neppure tanto integrata, né implementata negli anni, è ritenuta ancora da molti insegnanti la sola irrinunciabile. Il primo passo è dunque prendere consapevolezza di tutti questi aspetti-dimensioni, il secondo è misurarsi con essi e cercare di integrarli, il terzo incominciare a metterli in gioco. (continua)
Gli articoli di Silvia Caravita per NATURALMENTE
Educazione ad un futuro sostenibile Un programma di lavoro per insegnanti e ricercatori;
Da ambiente-luogo ad ambiente-intreccio Lo sviluppo di un modo di guardare sistemico in ragazzi di scuola elementare.
(richiedere la raccolta in pdf)
Gli articoli di Maria Arcà per NATURALMENTE
Insegnare Biologia La rappresentazione scientifica della realtà: esperienze ed esperimenti nella scuola di base (prima e seconda parte);
Le scienze a scuola: un confronto con la natura delle cose Competenze scientifiche e competenze ambientali;
Le scienze come modi di guardare (parte prima); L’indagine sulle competenze ambientali (parte seconda)
La scienza insegnata e le banalità dell’ovvio; Ricerca didattica e insegnamento.
(richiedere la raccolta in pdf)
Paolo Guidoni
Progetto PLS – Università degli Studi Milano-Bicocca, Corso di aggiornamento in didattica delle Scienze: Energia e tecnologie di produzione energetica. “... ma l’energia si produce?” Energia – Energie: un approccio fenomenologico per sviluppare, differenziare, connettere, mettere in forma … alcune idee-base forti e flessibili.
Milano, 4-11-11 Paolo Guidoni – Dipartimento Di Scienze Fisiche – Università di Napoli Federico II (richiedere la raccolta in pdf)