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Insegnare scienze

Oggi ancora più di ieri, la formazione degli insegnanti è una priorità irrinunciabile per tradurre l’azione didattica in termini di competenze, per questo abbiamo ritenuto utile proporre una riflessione di Paolo Guidoni sull’insegnare scienze.

L’Autore, che per molti anni ha portato avanti un lavoro di ricerca su come si fa a provocare, suscitare, stabilizzare una crescita di cultura scientifica di base, individua quattro tipi di competenze necessarie per concertare e integrare risorse umane e culturali.

 

Quante cose ci ha insegnato e quante ancora poteva insegnarci, non possiamo dimenticarlo.

 


Prima scienza
 

 Insegnare scienze (1)

 

Paolo Guidoni

 

Insegnare

 

Da sempre ogni società umana è caratterizzata da modi e forme diversificati e specifici di insegnare, cioè di raccordare le realtà e le potenzialità di ogni nuovo umano che nasce alle realtà e alle potenzialità del mondo in cui viene a trovarsi immerso. Si tratta di mettere in relazione, di indirizzare a sviluppi reciprocamente risonanti le tre fondamentali tipologie di potenzialità a priori destinate a “mettere in forma” ogni nuovo nato:

- le potenzialità individuali secondo specie, acquisite biologicamente come eredità evolutiva;

- le potenzialità sociali secondo cultura, in tutte le loro configurazioni di significato;

- le potenzialità esperienziali secondo ambiente, in tutte le loro manifestazioni naturali o artificiali.

Le diverse potenzialità sono per necessità evolutiva profondamente correlate e intrecciate tra loro. Correlazioni e intrecci, ovviamente filtrati, modulati e indirizzati non solo dall’insegnare finalizzato, ma anche dai casi dellavita, danno comunque luogo a “forme” umane individuali sempre profondamente distinte e differenziate. Se “va bene” reciprocamente integrate in una comune costruzione sociale.(1)

  

semi di girasole  

Da un po’ di tempo insegnare ha cominciato a cambiare un po’ di significato: da forma di comunicazione che va in una sola direzione – chi sa, spiega o fa vedere a chi non sa, poi accertandosi che abbia “appreso” – si sta culturalmente trasformando in una forma “dialettica” di relazione: per cui si considera compito essenziale dell’insegnamento non solo trasmettere contenuti e abilità culturali, ma anche inter-agire con chi impara, in modo che questi si appropri dei loro significati, rendendoli disponibili a un uso il più possibile autonomo e creativo. Ma perché insegnare possa avere un senso di questo tipo, bisogna cominciare col capire come si fa a capire: per quali strade, con quali connessioni, gli eventi e le loro spiegazioni, le evidenze dell’esperienza e le loro rappresentazioni culturali si possono via via organizzare in strutture significative per l’individuo e per la società.

In ogni caso l’insegnamento, “buono” o “cattivo” che sia, modifica le persone che imparano. Ogni sapere, come ogni modo di sapere, rende diversi e ogni cambiamento delle conoscenze influenza sia ciò che si potrà imparare in seguito, sia, a volte, i modi stessi in cui capire diventa possibile. In un certo senso però, anche insegnare rende diversi. In particolare, per esempio, insegnare scienza rende più consapevoli della complessità dei fatti e della difficoltà della loro comprensione; mette in evidenza come quello che si cerca di spiegare a tutti prenda ogni volta, e in ciascuno, una forma diversa: le tante forme di quello che i ragazzi capiscono o non capiscono. E mentre si costruisce conoscenza negli altri, ci si accorge che anche le proprie conoscenze si trasformano e cambiano: nello spiegare e nello spiegarsi le cose, nel cercare i modi che incidono più profondamente sulla formazione di chi apprende. E si impara che quello che sembra evidente non è evidente per tutti, che ogni nuova informazione si trasforma entrando a far parte dei diversi patrimoni individuali, che ogni padronanza di nuovi significati è condizionata da precedenti esperienze, che la comunicazione e il linguaggio sono spesso ambigui, che le interpretazioni dei fatti non sempre sono coerentemente organizzate, né si trovano facilmente parole adatte a esprimerle (2).

 

Le conoscenze dei ragazzi

 

Insegnare scienza diventa allora una sistematica interazione culturale, che impone un continuo riscontro del capire-capirsi fra persone diverse, una continua progettazione e preparazione del capire stesso. E bisogna saper immaginare quali sono le difficoltà profonde che i ragazzi incontrano nell’organizzare coerentemente il proprio pensiero, e che implicitamente generano molti cattivi apprendimenti.

Se insegnare non è facile, capire è difficile: anche perché non esiste un unico modo giusto di conoscere il mondo. Ognuno, di volta in volta, ne prova tentativamente di diversi, capaci di mettere in evidenza particolari aspetti della realtà, finché, in una comprensione più ampia, vari modi si intrecciano e si integrano in ricostruzioni più coerenti, più efficacemente finalizzate a uno scopo, comunque sempre suscettibili di essere migliorate. E sempre, in ogni capire, confluiscono approcci analitici e sintetici, per analogia o per inferenza, per continuità o per discretizzazione, per organizzazione numerica o per organizzazione spaziale, spesso difficili da specificare e da gestire: soprattutto davanti a proposte di insegnamento che tendono a cambiare progressivamente i modi di capire, e quindi a rimettere in questione le complesse reti di significato finora costruite.

 

La conoscenza dei fatti

 

D’altra parte per insegnare scienza è necessaria una buona conoscenza dei fatti di realtà: bisogna saperli guardare-vedere nelle forme concrete del loro svolgersi “naturale”, e nelle loro potenzialità di ricostruzione astratta; bisogna portare i ragazzi a guardarli-vederli allo stesso modo e a padroneggiare gli strumenti formali adatti ad interpretarli secondo la cultura adulta. Allo stesso tempo bisogna selezionare, dalla complessità del reale, quello che meglio si presta didatticamente per avviare chi impara ad una autonomia di conoscenza, alpiacere di capire, alla soddisfazione di fare un lavoro intelligente e produttivo, motivante e gratificante insieme. Si devono così scegliere fatti “emblematici” che permettano cioè di capirne altri ad essi simili, che siano di sostegno per la schematizzazione e la interpretazione di altre situazioni, che si prestino ad aprire problemi e interessi su cui si possa lavorare e discutere “trasferendoli” in classe. Per insegnare scienze si scelgono allora fatti “naturali” adatti ad essere trasformati in fatti “artificiali”, in qualche modo riproducibili controllabili in laboratorio, in esperimenti, in attività concrete: perché i ragazzi si cimentino con le regole del mondo anche attraverso le difficoltà delle “vere ricostruzioni artificiali”, anche attraverso la complessa relazione che lega ogni schematizzazione ai fenomeni rispetto a cui deve risultare significativa.

 

Il curriculum

 

La conoscenza del mondo prende lentamente forma organizzandosi nei diversi “capire” individuali e attraverso sempre nuove esperienze continuamente cambia forma, per accogliere e comprendere nuovi aspetti di realtà. La strada da percorrere è abitualmente indicata dal curriculum didattico che, rivolgendosi di anno in anno a diversi aspetti del reale, propone vari argomenti in un programma strutturato. D’altra parte la traduzione del curricolo in insegnamento richiede di volta in volta un profondo ripensamento sulle attività suggerite: per vederne le potenzialità e i collegamenti, interni e esterni, nella situazione concreta; per strutturare la didattica in maniera né chiusa né ripetitiva. La riflessione sui contenuti curricolari propone quindi ogni volta all’insegnante la necessaria scelta di un proprio piano di lavoro ed è importante saper guardare come in trasparenza ai diversi argomenti per immaginarne le trame e gli sviluppi, la ricchezza o i limiti. L’educazione scientifica di base ha assunto nel corso degli anni un ruolo sempre più centrale nella progettazione e nella pratica educativa. Ci si rende sempre più conto, infatti, di quanto la capacità di mobilitare, coordinare e sviluppare le dimensioni cognitive e emotive-motivazionali necessarie alla comprensione dei fatti naturali di ogni tipo costituisca, da un lato, una componenteculturale autonoma e insostituibile; da un altro, un potente e continuo stimolo e supporto alla costruzione di conoscenza individuale come supporto all’autonomia; e, infine, un urgente obiettivo sociale nel rendere le persone più capaci di gestire operativamente, piuttosto che subire, a complessità e variabilità del mondo reale. Realizzare un investimento educativo a lungo termine(progettato e programmato su scala di anni),approfondito (privilegiando alcuni argomenti, su cui capire anche cosa vuol dire capire), fortemente integrato (non si possono banalmente “applicare” competenze linguistiche, o matematiche, ad argomenti di scienze, né viceversa; conoscenze fenomenologiche diverse, conoscenze disciplinari e conoscenze formali possono solo formarsi, e precisarsi, in stretta interazione reciproca) continua ad essere l’indicazione più necessaria. Di fatto, l’educazione scientifica di base è da tempo caratterizzata da una notevole quantità di sforzi sul piano sia della sperimentazione autonoma(da parte di insegnanti, singoli o a gruppi) sia della ricerca, per lo più appoggiata a piccoli gruppi di universitari. Molti di questi sforzi possono essere accomunati dalla ricchezza dei risultati ottenuti; dalla loro sostanziale episodicità (temporale, spaziale, di argomento); dalla mancanza di efficace comunicazione e scambio (aggiornamenti, incontri e convegni, di ogni tipo, non sono risultati adatti né sufficienti ad innescare processi di sviluppo coerente); da una sistematica ostilità da parte della struttura burocratico-organizzativa(scolastica e universitaria), che spesso e a lungo si è rifiutata sia di sostenere adeguatamente tali sforzi (selezionandoli, indirizzandoli, finanziandoli),sia di diffonderne le acquisizioni, e utilizzarne le indicazioni. Contemporaneamente, si è venuta sempre più esplicitando la consapevolezza della difficoltà ed enormità di quel compito di “aggiornamento – riconversione” di buona parte degli insegnanti, che sempre più appare come la principale strozzatura a monte di qualunque reale cambiamento (3).

 

Aspetti-dimensioni dell’insegnamento

 

Quattro aspetti-dimensioni dell’insegnamento la cui integrazione sembra indispensabile perché si possa insegnare e si possa imparare con significato appaiono così irrinunciabili:

 

Competenza pedagogica differenziata

È necessario non solo saper “stare” con i ragazzi o, più banalmente, saperli “tenere” ma anche imparare a farlo in modi che siano adatti a definire e chiarire cosa si sta facendo, e perché, e come lo si può fare, insieme. Non può esistere una pedagogia (né una programmazione, né una valutazione...) indifferenziata. Servono modi di gestire l’interazione fra le persone, e fra le persone le cose e la cultura, adatti agli obiettivi che di volta in volta ci si propone di conseguire. Non si può ‘fare’ la biologia come la fisica, la fisica come la matematica, le scienze come la grammatica, e così via; non si può gestire allo stesso modo con i ragazzi un argomento da iniziare o un argomento da approfondire.

 

Competenza disciplinare differenziata e integrata

È necessario, per costruire nei ragazzi atteggiamenti positivi riguardo alla conoscenza del mondo (alle scienze), che l’insegnante abbia, e soprattutto sia disponibile ad acquisire “in proprio”, una conoscenza del mondo riguardo agli argomenti trattati che abbia spessore e significato culturale, anche al di là delle immediate utilizzazioni in classe. Questo non implica soltanto conoscenza di schemi disciplinari garantiti da un manuale (spesso incapaci di presa su come di fatto “vanno le cose”), né soltanto padronanza di schemi di attività, garantiti da successo sul piano della motivazione (spesso incapaci di far vedere cosa c’è di generale “dietro” le sequenze di fatti e operazioni), né infine soltanto analisi statistica di test oggettivi (al posto di attività, discussioni, interpretazioni). 

si impara sul campo  

Significa porsi in posizione di mediazione attiva, sostanzialmente unitaria nei modi e negli scopi per tutta la scuola di base, fra come vanno le cose, come le pensa e le vede il ragazzo, come le ristruttura operativamente e concettualmente

la cultura adulta (4).

 

Competenza di programmazione e strutturazione dell’intervento didattico e dell’attività di classe 

Sulla base di quanto detto nei punti precedenti, i percorsi di crescita di conoscenza attraverso l’interazione adulto-ragazzo-mondo dei fatti-mondo delle spiegazioni devono materializzarsi in strutture e sequenze di cose da dire, da far succedere, da vedere... da ricordare. Anche in questo caso, se vengono suggeriti vari modi possibili di organizzare l’iter didattico, resta ineliminabile la responsabilità dell’insegnante nel progettare, sulla base delle condizioni oggettive in cui si trova, cosa e come fare per realizzare il percorso suggerito; nell’aggiustare continuamente il progetto sulla base di quello che, di fatto, in classe succede, e quindi (questo è il nodo cruciale) può succedere.

 

Competenza di “ascolto” in senso lato nei confronti dei ragazzi 

La ricerca, e l’esperienza, indicano questo aspetto come determinante per l’esito dell’intervento didattico. È infatti indispensabile per l’insegnante sapere quali sono le perplessità, i dubbi, le sicurezze evocate dall’argomento intorno a cui si lavora; sapere cosa i ragazzi pensano e sanno ciascuno a suo modo e come essi cambiano o non cambiano il loro sapere nel corso del tempo. Ed è altrettanto indispensabile per i ragazzi poter constatare (ascoltare... vedere...) che i compagni non “sanno” esattamente le stesse cose, e che la discussione e il cambiamento a partire dalle diversità sono possibili, e utili – per tutti e per ciascuno.

 

Per concludere, provvisoriamente

 

anche nel cortile della scuola  

Forse vale la pena di sottolineare ancora che, come già accennato all’inizio, scopo e risultato cruciale di ogni insegnare dovrebbe consistere nella appropriazione da parte di chi cresce di un modo risonante di essere umano: cioè nella consapevolezza cognitiva, operativa, emotiva… che le risorse di specie e di cultura, le risorse di natura e di “artificio”, possono essere personalmente integrate in forme dinamiche di risonanza efficace, dotate di significato e quindi di ‘potere’ individuale e sociale. Forme, in particolare, che permettendo a ciascuno di diventare (di fatto) quello che è (potenzialmente) gli permettono di essere contento e motivato nell’accorgersi che questa via di sviluppo è possibile e “redditizia”, e quindi può costituire un filo di continuità e di orientamenti intorno a cui organizzare, insieme ad altri, il proprio unico e irreversibile modo di vivere.

 

Crescono, intanto, i movimenti anti-scienza e si impone un cambio di rotta. «Dobbiamo parlare con le persone. E dobbiamo sforzarci di insegnare la scienza nelle scuole, seguendo la ricetta francese de "La main à la pâte". Facciamo mettere le mani in pasta ai bambini, già all'asilo, coinvolgendoli in esperimenti per capire la realtà. Abbiamo una responsabilità non solo nel fare scienza. Ma nel comunicarla. Se le cose accadono, non possiamo dire che non sia anche colpa nostra». (5)

 

 

Note

(1)     Dalla presentazione di Osservare i viventi, edizioni ETS (in corso di stampa),edizione ampliata e aggiornata di Organismi viventi di Arcà, Mazzoli, Sucapane.

(2)     Dehaene S, Imparare. Il talento del cervello, la sfida delle macchine, Milano, Raffaello Cortina Editore,2019

(3)     Alfieri F, Arcà M, Guidoni P, Il senso di fare scienze, Torino, ed. IRRSAE Piemonte, Torino, Bollati Boringhieri, 1995e 2001; Alfieri F, Arcà M, Guidoni P (a cura di) I modi di fare scienze, ed. IRRSAE Piemonte, Torino, Bollati Boringhieri, 2000.

(4)      Piano ISS, Insegnare scienze sperimentali, documentazione al sito: https:// www.lfns.it/PianoISS/

(5)      A Trieste la prima lezione pubblica del fisico della complessità: "dobbiamo comunicare meglio" Parisi: "La scienza è un fuoco che illumina"