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Un pianeta a portata di mano

 

 

terra

Un pianeta a portata di mano    


Roberto Argano Università "La Sapienza", Roma

 

 

Insegnare ai bambini la storia naturale degli animali è, evidentemente, la cosa più semplice di questo mondo: "Andiamo a cercare la tana dell'istrice". Arco e faretra, e si va. Per strada, ci si meraviglia del giallo del rigogolo che saetta tra gli alberi, delle uova azzurre in un nido di merlo, delle galle sferiche dei cinipidi delle querce, si gioca col saettone sorpreso a crogiolarsi al sole, si insegue una fienarola tra l'erba. Insomma le solite cose di quando si va in giro senza la tensione della caccia. Per il ragazzo è un gioco, ma la natura gli entra piano piano nell'anima, i silenzi cominciano lentamente ad accordarsi con i brusii, un vago sbatter d'ali di farfalla segna un momento nel calendario, quello in cui una certa pianta è fiorita e il cinghiale va in amore. I ritmi, le armonie, i colori, le forme, si armonizzeranno nel complesso dialogo tra lui e la natura, tra la natura e lui.  

 

Qui Houston, mi sentite?

l ragazzi sono particolarmente portati a imparare queste cose, si immergono con voluttà in questo brodo di sensazioni, avventura, scoperta, paura, che sono le cose del mondo. Bisogna solo portarli con sé, ogni tanto, toccargli la spalla per fermarli, che la lepre non scappi prima, accostargli la testa al braccio, che segua esattamente la direzione dell'indice verso quella macchia marrone confusa tra le foglie prima che il capriolo salti via diventando evidente, ma perduto. Certo, è più comodo mollarlo davanti a un monitor a giocare allo sterminatore di alieni, mentre noi ci suicidiamo nei supermercati. Si dice in giro che quella notte di luglio del 1969 passata ad aspettare il primo passo dell'uomo sulla Luna (ma un grande balzo per l'umanità) sia stata una bufala planetaria. Libri e articoli, noti in genere per tradizione orale, parlano di studi televisivi opportunamente attrezzati in un deserto americano in cui vennero girate quelle scene, vendute poi, con enormi introiti, come autentiche alle televisioni di tutto il mondo. Lo scherzo di Orwell al contrario: l'invasione della Luna! Nel momento in cui scrivo si parla della conquista di Marte e, se anche in questo caso si tratta di un film preregistrato, sembra un film comico. Un robot dell'ente spaziale europeo ha ammarato spiaccicandosi in una frittatona di alta tecnologia, mentre i robottini americani pare abbiano smesso di lavorare per noia, non trovando niente di rilevante. Che cosa cercano sul pianeta rosso? Vita, magari animali. Sarebbe più economico, salutare e affascinante, cercarli in campagna, o al mare. È un gioco che si può fare anche sul pianeta Terra, a scuola, quello di cercare forme di vita.

 

Gli strumenti della nonna

Provo a suggerire una vecchia ricetta della nonna. Servono le stesse strumentazioni che usano a Houston, ma di gran lunga più economiche. Intanto niente cose virtuali. La grafica computerizzata raggiunge ormai effetti di gran lunga superiori alla fotografia, sicuramente più convincenti. Ormai tra i dinosauri che si accoppiano o si aggrediscono e i ghepardi che volano nella savana non esiste più una differenza sostanziale. Per un bambino, facile all'estasi da colore, essere imbottito di immagini di natura virtuale allontana dalla realtà naturale quanto i divieti a suon di scapaccioni di toccare un lombrico.

Poi, come a Houston, serve un equipaggio: un training lungo e pesante, da eroi. Dobbiamo esercitarci a manipolare piccole creature come larve di mosche e collemboli, a prendere un geofilo con due dita, un acaro con un pennellino, un coleotterino con una pinzetta. Dobbiamo imparare a distinguere, almeno a questo grossolano livello, vari tipi di organismi, impararne le caratteristiche essenziali di storia naturale. Troppo diffìcile? L'alternativa è restare su Marte, asettico e televisivo come un appartamento.

E i bambini? Sono già pronti.

Serve un pianeta. Cercarne uno nel nero cosmico dell'asfalto che ricopre tutto può essere difficile. Si spendono molti soldi per i computer, per il linoleum delle palestre. Si potrebbe avere una palestra ecologica, un angolino di terra inutilizzato, abbandonato, magari con una vasca, in cui uno scampolo di natura possa sopravvivere come dio vuole. Capisco che è troppo. Un boschetto in una qualche villa signorile? Un'aiuola poco curata dei giardini pubblici? Fate voi.

Poi servono gli strumenti per prelevare i campioni, come dicono i giornali che parlano delle attività delle piccole macchine automatiche che si muovono nei crateri del pianeta rosso. Una paletta può bastare e una busta di plastica si può avere con poco.

Preleviamo una piccola zolla e torniamo alla base. Esame di laboratorio dei campioni. Servono un imbuto di plastica, una reticella a maglie fini di plastica o di metallo, un barattolo di vetro. Si mette l'imbuto nel barattolo che deve essere sufficientemente alto in modo che l'imbuto non tocchi il fondo. Si mette la retina sulla bocca dell'imbuto e, sulla retina, il campione di zolla. Tutto qui? No, un po' d'acqua sul fondo del barattolo. Lasciamo tutto in aula e andiamo a casa.

 

L'edaphon, questo sconosciuto

Nel frattempo gli animalini che vivono nel suolo, la fauna edafica, con il progressivo prosciugarsi della terra cercano rifugio nella profondità del suolo, trovano la retina e precipitano nell'imbuto. Al mattino dopo, al massimo due-tre giorni dopo, cominciamo a vederli che galleggiano o annaspano sulla superficie dell'acqua, sul fondo del barattolo. Abbiamo usato così un "estrattore Berlese" per la fauna edafica. Uno dei pochi meriti della globalizzazione è che in ogni angolo di strada, in ogni mercatino rionale, si trova un signore che vende piccole ed economicissime lenti contafili che ingrandiscono venti volte. Gli organismi del suolo sono per lo più di piccole dimensioni, una lente aiuta. La fauna edafica, l'edaphon, un universo. Le foreste tropicali e temperate, le savane e le pampas, i campi fioriti e i coltivi, la vita sulle terre emerse insomma, dipende dallo stato di degrado, da quel molteplice universo di creature animali e vegetali che costituiscono l'edaphon. L'edaphon è come l'oceano o le grandi piane africane, c'è chi aggredisce e chi è aggredito, chi insegue e chi è inseguito, chi pascola tranquillamente e chi vive in perenne agguato, e tutti si cercano e si evitano, si amano, fanno figli, hanno una lunga esperienza evolutiva alle spalle che si perde nella notte dei dinosauri, rispondono alle regole dell'ecologia secondo modelli universali, sono belli e sono brutti, si dividono per specie e le specie per popolazioni. Facciamoli disegnare enormi, per capire chi è la gazzella e chi è il leone, diamo il coloro a chi non ce l'ha, scopriamo le ignote eleganze, la rete di relazioni che tiene insieme il tutto. Sapevate già che cos'è un berlese? Prendiamo il plancton da una vasca, è lo stesso. Costruiamo un terrario, con i lombrichi che hanno affondato nella terra intere città, o con lucciole e chiocciole per bearci dell'infinita crudeltà di cui si serve la natura per far passare l'energia catturata dal sole da un livello della rete alimentare al successivo. Prendiamo l'arco e la faretra e portiamoci in casa la natura, se non ce n’è più fuori.