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Pensieri sulla formazione scientifica di base

 

bambini seguono una esperienza in classe

Pensieri sulla formazione scientifica di base 

 

Cristina Duranti

 

Abstract:  La scuola italiana ha bisogno, a partire dalla scuola dell’infanzia, di un radicale rinnovamento dell’insegnamento scientifico attraverso una “seria” formazione dei docenti.

Le indicazioni ministeriali sono spesso disattese e nella società è scarsamente rintracciabile quell’atteggiamento critico e antidogmatico che è il più profondo valore formativo dell'insegnamento scientifico. Le molte riflessioni presenti nell’articolo portano a riconoscere che le scienze rappresentano uno dei cardini culturali della nostra società. Pertanto l'acquisizione di competenze scientifiche, tecnologiche e linguistiche è determinante per il futuro della democrazia, anche in termini di sviluppo sostenibile  e qualità della vita.

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Nella mia lunga carriera di docente di chimica e nella successiva esperienza di Dirigente scolastica di Istituto Comprensivo ho capito che la possibilità di incidere davvero sulla formazione dei giovani dipende in misura decisiva da quello che un bambino apprende nel I ciclo. É lì che si decide in larga parte il futuro scolastico di un individuo; la cultura scientifica degli italiani continua ad essere inadeguata rispetto alle necessità e non c’è una via di uscita rapida: si tratta di proporre apprendimento delle scienze quanto più precocemente possibile in modo da renderne più profondo e significativo l'imprinting.

 

 

Scienze per la cittadinanza attiva

 

Ho visto tante ragazze e tanti ragazzi del primo anno del II ciclo annaspare durante un semplice esperimento, sentirsi disorientati alla richiesta di descrivere un fatto, una situazione, un ambiente o anche semplicemente una piantina spontanea che cresce nell’aiuola. E li ho trovati anche poveri di abilità di calcolo mentale, spesso senza essere in grado di usare correttamente una calcolatrice, con competenze linguistiche limitate e difficoltà di attenzione e di concentrazione.  Non tutti ma molti sì.

L'approccio laboratoriale è ancora una conquista da consolidare e non un punto di partenza: gli studenti sono abituati a memorizzare e a svolgere esercizi stereotipati privi di un contesto di senso motivante; per alcuni di loro concentrarsi su un piccolo esperimento descrivendone le fasi e ragionando sulle osservazioni è un salto quantico notevole e stressante rispetto alla tranquilla abitudine ad “imparare” verità fornite più o meno come dogmi.

La prospettiva ambiziosa è di adoperarsi a diffondere un approccio non dogmatico, attivo e interdisciplinare all'insegnamento delle scienze; e per superare il diffuso analfabetismo scientifico del cittadino si deve partire dalla prima infanzia.

Al riguardo il  Documento del MIUR “ Indicazioni nazionali e nuovi scenari”[1] uscito nel 2018  recita “Nella scuola dell’infanzia non si tratta di organizzare e “insegnare” precocemente contenuti di conoscenza o linguaggi/abilità, perché i campi di esperienza vanno piuttosto visti come contesti culturali e pratici che “amplificano” l’esperienza dei bambini grazie al loro incontro con immagini, parole, sottolineature e “rilanci” promossi dall’intervento dell’insegnante.” 

È importante quel “precocemente” che sta ad indicare che non c’è da anticipare contenuti e concetti come se l’insegnamento scientifico potesse prescindere dall’età degli alunni e ritenere che tutto vada bene a tutti. Al contrario, si punterà ad “amplificare” la fisiologica esperienza di vita del bambino dando “all’età quel che l’età richiede”.

Già le “Indicazioni nazionali” del 2012[2] proponevano questo approccio quando affermavano che “La gradualità e non dogmaticità dell’insegnamento favorirà negli alunni la fiducia nelle loro possibilità di capire sempre quello che si studia, con i propri mezzi e al proprio livello.”

L’evidente mancanza di conoscenze scientifiche di base da parte della popolazione italiana, la diffusa incapacità critica di distinguere ciò che è scienza da ciò che è narrazione priva di sostegno scientifico si è manifestata dolorosamente durante la pandemia di Covid-19.

La disinformazione della popolazione, con la conseguente incapacità di contrastare la diffusione di notizie infondate, ha condotto in taluni casi a scelte personali dannose per sé e per la collettività, al diffondersi di atteggiamenti e comportamenti ingiustificati e aggressivi e addirittura a proposte politiche scientificamente infondate. Sostanzialmente, cosa si chiedeva alla Scienza? Certezze. Anche chi ha avuto fiducia negli scienziati si figurava la scienza come una macchina che produce verità incontrovertibili. Se questo atteggiamento è comprensibile sul piano psicologico non lo è affatto sul piano culturale; perché la cultura scientifica è per lo più percepita come non necessaria, come qualcosa da delegare agli scienziati e sostanzialmente non collegata alla propria vita quotidiana? Perché la cultura scientifica non è percepita come un valore ma come un insieme di tecnicismi aridi e astrusi?

 

Valenza formativa dell’educazione scientifica

Annali della pubblica istruzione  

Perché sembra quasi un diritto ignorare anche le più elementari nozioni matematiche? Per esempio l’andamento di una curva esponenziale, cosa che sarebbe stata utilissima durante la pandemia? Quante scelte controproducenti sono state fatte perché “la curva cresce ancora lentamente” e invece  era evidente un andamento esponenziale?

Insomma, chi legge le “Indicazioni nazionali del I ciclo di istruzione” del 2012 scopre che già alla fine del primo ciclo un ragazzo dovrebbe avere le abilità e le competenze essenziali per comprendere il comportamento di un virus e la sua diffusione nelle popolazioni umane. E se ciò non è avvenuto significa che c’è da riconsiderare attentamente quale sia la reale e attuale pratica didattica nelle nostre scuole.

Oggi come ieri, è necessaria la consapevolezza che le scienze rappresentano uno dei cardini culturali della nostra società in rapida evoluzione e che la formazione dei futuri cittadini si sviluppa in un presente, e ancor più di un futuro, nel quale l'acquisizione delle competenze scientifiche e tecnologiche di base è determinante non solo per il successo personale di ciascuno ma per lo stesso futuro della Nazione in termini di sviluppo economico sostenibile e qualità della vita. É il cosiddetto  “capitale umano”, quello che fa la differenza.

La pandemia ha accentuato tutte le differenze e tutte le criticità ma sono ormai molti anni che la formazione dei nostri giovani mostra deficienze più serie di quelle di altri paesi dell'area OCSE; certo le eccellenze non mancano, ma il deficit culturale scientifico dei ragazzi italiani, evidenziato dagli esiti delle indagini internazionali ma anche dalle stesse prove INVALSI, mostra come i risultati dell'area scientifico-matematica rimangano ampiamente inferiori alle attese.

Questo deficit può essere colmato solo intervenendo sui livelli scolari più bassi con attività scientificamente e pedagogicamente fondate volte a rafforzare la naturale curiosità del bambino e a coltivarne la motivazione allo studio come strumento critico di conoscenza della realtà.   Per inciso, vale la pena di sottolineare che esiste anche un serio problema di genere: purtroppo ancor oggi la maggior parte delle ragazze, pur conseguendo risultati scolastici più brillanti dei loro coetanei maschi, non eccellono nell'area scientifica e segnatamente nelle scienze matematiche.

Nonostante i molti esperimenti di ricerca didattica che si sono succeduti dalla negli ultimi 50 anni  in seguito alla Legge n.1859 del 31 dicembre 1962 di riforma della Scuola media, il salto di qualità tuttora da compiere è quello di superare il prevalente approccio frontale e trasmissivo all'insegnamento scientifico per passare alla laboratorialità cioè partire da attività e osservazioni sperimentali per fare della classe un atelier d'idee, congetture, tentativi di razionalizzazione di fenomeni ed eventi.

Interessanti al proposito le “Indicazioni nazionali e nuovi scenari” del 2018 “In ambito scientifico, è fondamentale dotare gli allievi delle abilità di rilevare fenomeni; porre domande; costruire ipotesi; osservare, sperimentare e raccogliere dati; formulare ipotesi conclusive e verificarle. Ciò è indispensabile per la costruzione del pensiero logico e critico e per la capacità di leggere la realtà in modo razionale, senza pregiudizi, dogmatismi e false credenze. Per il conseguimento di questi obiettivi è indispensabile una didattica delle scienze basata sulla sperimentazione, l’indagine, la riflessione, la contestualizzazione nell’esperienza, l’utilizzo costante della discussione e dell’argomentazione. “

Praticare concretamente la centralità dell'alunno significa trasformare la curiosità del bambino in “indagine” sulla realtà naturale,  agevolando l'appropriarsi di procedure razionali di osservazione e di interpretazione della realtà naturale, coltivando  la descrizione di quanto osservato con più di un linguaggio (disegno, verbalizzazione orale e scritta, produzione di documenti elettronici), favorendo la conoscenza del sé e dei propri interessi, abituando alla condivisione dei significati e  all'appropriazione di un linguaggio scientifico adeguato alla fascia scolare e via via più preciso e raffinato. 

Molti fattori, dai tagli di organico alle scuole alle scelte schizofreniche sulla formazione e selezione iniziale dei docenti, hanno congiurato a non far migliorare l'insegnamento scientifico ancorato alla memorizzazione di teorie, concetti e modelli astratti che fanno apparire le scienze sperimentali come un insieme di verità assolute da accettare acriticamente. Un approccio sostanzialmente passivo che veicola un'idea di scienza paradossalmente dogmatica anziché porre in enfasi il tortuoso cammino della ricerca scientifica fatto di affermazioni provvisorie continuamente passate al vaglio della verifica sperimentale e della continua ricerca di nuove teorie per risolvere nuovi problemi e proporre nuove interpretazioni dei fenomeni naturali.

Si tratta, al contrario, di far percepire il carattere “economico” della scienza per la quale anche l'insuccesso è un risultato e di smascherare la concezione secondo cui è la scienza è un apparato produttore di certezze. Quante volte si abusa l'espressione “certezza scientifica”? Sta, invece, nell'atteggiamento critico e antidogmatico il più profondo valore formativo dell'insegnamento scientifico: questa è la sfida che la scuola deve ancora raccogliere fino in fondo nella certezza che le strumentalità scientifiche di base sono irrinunciabili per la formazione del cittadino non solo per accedere alla formazione permanente ma anche per formarsi le proprie opinioni sulle grandi scelte etiche del nostro tempo (salute, bioetica, ecosostenibilità, pari opportunità e via dicendo). L'accesso alla cultura scientifica è un fatto di democrazia sostanziale.

 

Laboratorio e laboratorialità

 

Ancora dalle “Indicazioni nazionali” del 2012[3] “In matematica, come nelle altre discipline scientifiche, è elemento fondamentale il laboratorio, inteso sia come luogo fisico sia come momento in cui l’alunno è attivo, formula le proprie ipotesi e ne controlla le conseguenze, progetta e sperimenta, discute e argomenta le proprie scelte, impara a raccogliere dati, negozia e costruisce significati, porta a conclusioni temporanee e a nuove aperture la costruzione delle conoscenze personali e collettive.” 

In questa prospettiva è necessario anche sgombrare il campo dagli esperimenti “che tornano” perché sono la mera ripetizione di protocolli chiusi che lasciano poco spazio all'imprevisto e alla problematizzazione delle osservazioni e dei risultati e, invece, selezionare esperienze praticabili e significative che spingano i ragazzi a cercare spiegazioni, a congetturare, a formulare e sostenere ipotesi esplicative, ad argomentare, verbo che compare spesso nei traguardi formativi delle “Indicazioni nazionali”.

le attività vanno programmate con cura il lavoro in gruppo facilita la discussione e la comprensione   

La studiosa inglese Rosalind Driver, non a caso, riferendosi all’uso ad effetto della frase “se faccio capisco”[4], sosteneva che frequentemente vale il contrario “se faccio resto ancora più confuso”[5]. La confusione si ingenera spesso da un uso stakanovista del laboratorio che costringe gli alunni ad adattarsi ad un cammino mentale loro estraneo, in genere quello del libro di testo, mentre nella scuola di base la lettura scientifica di un esperimento va costruita partendo sia dalla percezione individuale che dal significato condiviso che scaturisce dal confronto di idee, ipotesi e ragionamenti sviluppati nella classe sotto la regia dell’insegnante che si è preoccupato di organizzare razionalmente i contenuti in un percorso adeguato alla fascia scolare e all’identità della classe medesima.

Certo, questa prospettiva richiede un grande lavoro di preparazione, sperimentazione e formazione continua degli insegnanti. Ad esempio la predisposizione di esperimenti-prototipo in un Dipartimento di Scienze ha proprio questo scopo: offrire agli insegnanti un metodo didattico, uno stile di conduzione del gruppo, un'attenzione al singolo e, nel contempo, all'insieme per poi costruire la loro programmazione didattica e approdare al curricolo verticale d'Istituto.

In questo quadro è indispensabile che il dipartimento e l’Istituto costruiscano una rete di rapporti tra docenti del territorio e altri enti in sostegno alla progettazione, validazione e documentazione delle attività di didattica delle scienze. E sempre all’approfondimento disciplinare.

Ora, in ogni scuola, gli innovatori, gli insegnanti davvero appassionati e coinvolti anche emotivamente, sono una minoranza mentre la maggior parte del corpo docente è professionalmente corretto ma rimane legato alle routine e alle scansioni proposte dai libri di testo cioè a qualcosa supposto uguale per tutti sempre e dovunque.

 

Il Curricolo d’Istituto

Insegnare Scienze Sperimentali  

La risposta sta in un Curricolo d’Istituto che coniughi gli obiettivi formativi nazionali con le esperienze didattico-pedagogiche progettate, attuate e valutate dalla comunità scolastica: è un processo complesso che richiede tempo, condivisione e risorse culturali e professionali approfondite.

Formulare un curricolo verticale d'Istituto significa essenzialmente costruire un messaggio per l'allievo: “Tu ce la puoi fare perché la tua scuola ti riconosce come studente che ha la sua storia”.  Un buon curricolo si basa sull'idea che ogni classe è luogo di diversità, che ogni allievo è un cittadino con bisogni e tempi formativi suoi propri, che la motivazione di ogni studente non è una dote innata e immodificabile ma una qualità da coltivare in termini di responsabilità ed autonomia: obiettivo complesso e molto ambizioso per raggiungere il quale è indispensabile contare su un gruppo di insegnanti che si dedica sistematicamente alla ricercazione e che sa reperire risorse  culturali esterne (Università Associazioni, Enti locali ecc) e costruire reti anche con altre scuole del territorio.

Spetta al gruppo disseminare buone pratiche e offrire ai colleghi spunti, riflessioni ed esperienze collaudate che permettano a ciascun docente di affrontare in classe con sicurezza ciò che da solo non avrebbe la possibilità di fare.

In ogni Istituto dovrebbe essere promossa la costituzione di gruppi e di dipartimenti disciplinari e interdisciplinari per individuare i nodi concettuali che fungeranno da organizzatori didattici e dell'apprendimento essendo consci che in un Istituto Comprensivo la progettazione didattica richiede di aver ben presenti forse più le discontinuità che le continuità del processo insegnamento/apprendimento.

Basta pensare al grado di sviluppo cognitivo dei bambini delle diverse età per capire che occorre una meditata selezione dei nuclei concettuali per i quali è ragionevole pensare ad una verticalità che parta dall'infanzia e arrivi alla secondaria di primo grado.   

Il lavoro richiesto, anche alla luce della Indicazioni nazionali per il primo ciclo integrate dai “Nuovi scenari”, non è banale perché non c'è più il “programma” ma la progettazione di una proposta didattica e pedagogica identitaria dell'Istituto in quanto risposta ai bisogni cognitivi e metacognitivi dei propri alunni. Una proposta didattica, quindi, saldamente imperniata sui reali bisogni educativi degli alunni di quel territorio con la sua storia, i suoi problemi e le sue necessità sempre nel rispetto dei traguardi formativi finali previsti nelle Indicazioni nazionali.

Non si considera abbastanza che anche il bimbo di tre anni ha già un suo punto di vista sul mondo e un suo modo di guardarlo e si trascurano o, peggio, si considerano impicci le concezioni ingenue e di senso comune che i bambini hanno interiorizzato nella loro pur breve esperienza di vita. Un bambino non è una tabula rasa ma possiede già una sua cultura derivante dall'ambiente familiare e dal contesto socio-culturale in cui vive.

 

Varietà di stimoli e linguaggi

 

La pandemia ha sollecitato un uso generalizzato delle risorse digitali e, in particolare, della Didattica a distanza con tutti i vantaggi e i rischi che sono stati evidenziati e che qui non ci interessa riprendere. Vale la pena di riflettere sul fatto che molti genitori sono ormai nativi digitali e i loro figli hanno già sviluppato una certa autonomia nell'utilizzo delle tecnologie digitali e sono in possesso di abilità e competenze informali o non formali la cui svalutazione o sottovalutazione non è più realistica.

Si afferma spesso che c'è stata una mutazione antropologica come conseguenza della rivoluzione digitale; non sono un'antropologa per esprimermi in merito ma non posso non sottolineare che, accanto alla diffusione delle TIC, c'è la regressione dall'esperienza concreta e diretta delle cose e un preoccupante aumento di bambini che hanno scarsamente sviluppato la manualità e, in particolare, i movimenti fini. Non credo che l'assassino sia “il computer”, quanto un diffuso stile di educazione che drammatizza i “pericoli” del toccare, del manipolare e che, in fondo, disdegna le attività pratiche e continua a contrapporre il pensiero alla manualità. In ogni caso il risultato è che già nella primaria si assiste ad una sorta di analfabetismo del gesto che compromette o atrofizza quella spontanea modalità di apprendimento che è il rapporto diretto con gli oggetti e l'uso consapevole delle percezioni sensoriali.

Ecco il perché del lavoro che valorizza l'esperienza, il pasticciamento e il coinvolgimento sensoriale ed emotivo del bambino; lavoro che ha un ruolo formativo della persona assai più profondo e trasversale di quanto gli insegnanti stessi non sospettino.

Nessuna demonizzazione delle molteplici risorse elettroniche: sono canali efficaci di comunicazione individuale e di gruppo, di lavoro collaborativo, di documentazione delle attività, di organizzazione delle risorse. Francamente il loro uso è ancora poco focalizzato e non sfruttato quanto potrebbe ma certo “il digitale” non sostituisce l’esperienza concreta. Quindi è insensato chiudere il laboratorio perché “tanto ora si fa tutto sul computer” mentre invece è proprio il caso di potenziare l’uso delle risorse e delle tecniche elettroniche per potenziare il laboratorio.

Lo sviluppo delle prassie è uno dei passaggi cruciali della crescita equilibrata del bambino e la pratica laboratoriale contiene in sé alcuni elementi trasversali dell'apprendere: fare i conti con la realtà, sviluppare quella progettualità che consente di organizzare il lavoro, avere il senso dello spazio e della sua gestione, sviluppare la gestualità adeguata a compiere certe operazioni, imparare a “prendere le misure” cioè a conquistare la spazialità. Anche l'educazione motoria e quella artistica  offrono queste opportunità e, non a caso, nella scuola dell'infanzia e in quella primaria queste dimensioni collaborano e si parlano proprio in quanto linguaggi non verbali che consentono di esprimere anche l'emotività legata all'apprendimento.

Già alla secondaria di I° grado la dimensione del fare e del percepire attraverso i sensi si attenua fino a scomparire. Al contrario è un aspetto essenziale dell'apprendimento e della motivazione.

Più che educare, in molti casi, si distruggono interi campi di esperienza dei ragazzi e si inibiscono canali di apprendimento difficilmente recuperabili in età successive.

Nella scuola dell'infanzia e in quella primaria non c'è ancora quella separazione disciplinare così netta da compromettere la creatività dello scolaro anche se alla primaria qualche docente si sente di dover “imitare” il fare lezione delle scolarità successive: veri e propri anticipi di disciplinarietà, lezione frontale, carichi di lezione domestica pesanti. Questi fenomeni sono spie del disagio dei maestri per la riduzione del prestigio sociale della loro funzione e di un rapporto non equilibrato delle famiglie con la scuola e la didattica.

Anche qui, la scuola, consapevole della propria missione, ha da costruire un rapporto con i genitori fondato sul riconoscimento e il rispetto dei reciproci ruoli ma anche sulla necessità di render conto e di documentare il proprio operato.

Nella scuola secondaria di primo grado, invece, la compartimentazione dei saperi in materie che comunicano in modo insufficiente richiede una bella e decisa contaminazione principalmente tra le aree umanistica-comunicativa e tecnologica-scientifica. Insomma tra le “due culture” quali relazioni intercorrono? Ricordiamo tutti quanto Rita Levi Montalcini [6]insistesse sulla necessità di superare la separazione tra cultura scientifica e cultura umanistica segnalando come nell'umanesimo contemporaneo non può che essere compresa la scienza nel momento in cui quest’ultima si addentra sempre di più nei meccanismi della cognizione e in territori eticamente delicati e decisivi (p. es. origine e fine vita, biotecnologie, sostenibilità del nostro stile di vita).

Ma non c'è solo questo: Vygotsky[7] aveva a suo tempo ben messo a fuoco il ruolo del linguaggio nell'apprendimento. Si apprende con il linguaggio e la mancanza di competenze linguistiche appropriate comporta la quasi totale impossibilità di assumere informazioni.

Le “Indicazioni nazionali per il I ciclo”, non a caso, insistono sull'arricchimento lessicale come passaggio irrinunciabile per l'apprendimento e, personalmente, ritengo che già la progettazione del singolo percorso dovrebbe includere tra gli obiettivi quello di acquisire la conoscenza e l'uso corretto di un certo numero di vocaboli nuovi o comunque rivisitati nella loro valenza scientifica rispetto all'uso comune.

Per potenziare il linguaggio ci sono anche altri strumenti molto utili come il CLIL (Content and Language Integrated Learning): presentare anche la parola o l'espressione in inglese, ad esempio, è un bello stimolo per il ragazzo che allunga i propri tempi di riflessione ed è guidato ad una sorta di doppio pensiero, prima in lingua madre e poi in lingua straniera e cioè al consolidamento sia dell'apprendimento scientifico che di quello linguistico.

Insomma, per scuole è indispensabile lasciarsi sollecitare dalle proposte didattico-pedagogiche più interessanti, come ad esempio quelle della rete “Senza zaino”, ma forse è ancora più necessario lo sforzo di costruire comunità di pratiche a livello di territorio che accompagnino gli Istituti e i singoli docenti nella progettazione di curricoli d'Istituto fortemente connessi con la realtà circostante e le sue peculiarità culturali, sociale e produttive.

  



1. http://www.indicazioninazionali.it/2018/02/18/documento-indicazioni-nazionali-e-nuovi-scenari/

2. http://www.indicazioninazionali.it/2018/08/26/indicazioni-2012/

3. http://www.indicazioninazionali.it/2018/08/26/indicazioni-2012/

4. “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”. (Confucio)

5. Driver, L’allievo come scienziato, Bologna, Zanichelli, 1988.

6. Levi Montalcini R, Elogio dell'imperfezione , Garzanti Editore, 1987.

7. Vygotskij LS, Pensiero e Linguaggio, Laterza, 1990.