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Classificare le piante 3: Dioscoride, ovvero un vicolo cieco durato 1500 anni

 

Dioscorides codex neapolitanus

Classificare le piante 3: Dioscoride, ovvero un vicolo cieco durato 1500 anni

 

 

 Silvia Fogliato

 

 

 Un trattato sulle sostante medicamentose

 

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, già nel III secolo a.C. Teofrasto aveva iniziato a studiare le piante di per se stesse, definendo le prime linee generali della loro classificazione. Una strada sulla quale già nell’antichità nessuno lo seguì; l’interesse per le piante era vivo, ma solo per la loro utilità (o magari pericolosità, se si trattava di specie tossiche). A fare scuola, per un lunghissimo periodo che arriva fino al Rinascimento, non furono le opere del naturalista-filosofo, ma il manualetto pratico di un medico-erborista che probabilmente si sarebbe stupito per primo di tanto successo.

 

Facciamo dunque conoscenza con l’autore del testo che lo storico della scienza D. Sutton ha definito “una delle opere di storia naturale più durature che siano mai state scritte [...] che ha formato le basi del sapere occidentale per i successivi 1500 anni”. Dioscoride Pedanio, un medico greco, nato in Cilicia, scrive il trattato Peri hules iatrikes, più noto con il titolo latino De materia medica (“Sulle sostanze medicinali”) in un momento imprecisato della terza metà del primo secolo dopo Cristo (tra il 50 e il 70). Il suo proposito è illustrare sostanze vegetali, animali, minerali utilizzate in campo medico; il testo, distribuito presumibilmente in cinque volumi, tocca oltre 800 sostanze (583 delle quali vegetali), delle quali vengono forniti la denominazione, se possibile la distribuzione geografica, una breve descrizione della parte utilizzata, i procedimenti di raccolta, preparazione, somministrazione, le indicazioni terapeutiche e la posologia. Dioscoride aveva a lungo viaggiato e nella sua opera confluiscono le conoscenze degli autori che lo avevano preceduto, la sapienza popolare e le sue stesse esperienze come medico-erborista.
Polemizzando con i contemporanei che esponevano le sostanze in ordine alfabetico, adotta per il suo trattato un ordine logico, difficile da cogliere per noi, ma che doveva basarsi sulle loro proprietà mediche. Il primo libro tratta le sostanze aromatiche e oleose; il secondo gli animali, i cereali, le erbe orticole e piccanti; il terzo radici, succhi, erbe e semi usati come cibo o medicamento; il quarto i narcotici e i veleni; il quinto i vini e le sostanze minerali. Il focus è sull’uso medico; le descrizioni quindi sono essenziali, a volte assenti (ad esempio, piante universalmente note non vengono descritte neppure per sommi capi). Presumibilmente il testo non era accompagnato da illustrazioni.
È chiaro dunque che non si tratta, né nelle intenzioni né nella realizzazione, di un’opera di botanica; è appunto, un manuale pratico e ragionato sulle sostanze impiegate in medicina come farmaci. Tuttavia, e non certo per colpa di Dioscoride, con il suo successo inizio la lunga storia del fraintendimento che fa della botanica non una scienza in sé, ma un’ancella della medicina.

 

 

  Dall’antichità al Medioevo


Soprattutto nella parte orientale dell’impero, l’opera di Dioscoride si afferma come testo di riferimento; lo attestano le citazioni in altri autori, come Galeno, medico di M. Aurelio, e i relativamente numerosi manoscritti. Ma successo vuol dire anche rimaneggiamenti. L’ordine scelto da Dioscoride rendeva l’opera difficile da consultare; nel IV secolo Oribase, medico dell’imperatore Giuliano, ne predispose un indice.
Forse in Italia venne confezionato un estratto, che comprende una parte delle notizie sulle piante, riorganizzate in ordine alfabetico. Accompagnato da miniature che ritraevano le piante, questo Erbario alfabetico è la fonte di due spettacolari codici: il Dioscoride di Vienna e il Dioscoride napoletano.

Il primo è considerato da molti il più bel manoscritto antico a noi pervenuto; fu donato alla principessa bizantina Anicia dal popolo di Costantinopoli verso il 512-513; è il più antico erbario figurato della cultura occidentale, con 383 disegni di piante. Dopo complesse vicende, fu acquistato e portato a Vienna dall’ambasciatore imperiale a Costantinopoli, Ogier Ghiselin de Busbecq (1522-1592).
Il Dioscoride di Napoli, più recente ma dipendente dallo stesso archetipo (ovvero dal medesimo manoscritto oggi perduto), comprende 170 pagine illustrate; è oggi conservato nella biblioteca nazionale di Napoli. Entrambi i manoscritti sono opere spettacolari, pensate più come oggetti di lusso che come libri di studio o consultazione, in cui le illustrazioni (per altro molto fantasiose) sono più importanti del testo.

Anche nella parte occidentale dell’impero, l’opera di Dioscoride circolò dapprima nella versione greca; tuttavia nella tarda antichità incominciarono ad esserne tratte traduzioni in latino; ce ne sono pervenuti alcuni manoscritti privi di figure, risalenti al VII-X secolo. Ma anche in Occidente abbondano i rimaneggiamenti. Uno dei più antichi è il Liber medicinae ex herbis foemininis, un testo anonimo forse del III secolo, che estrae le descrizioni di una settantina di piante e le accompagna con illustrazioni.

Intorno al XII secolo, forse in connessione con la scuola di Salerno, viene approntata una versione in ordine alfabetico (Dioscorides alfabeticus), che interpola all’opera di Dioscoride notizie tratte da molte altre fonti. Questa edizione diventerà quella più diffusa e sarà glossata intorno al 1300 da Pietro da Abano. La versione glossata da Pietro sarà anche il primo Dioscoride stampato nel 1478 da Medemblik, a Colle Val d’Elsa.
Citato anche da Dante, nel Medioevo dunque Dioscoride è conosciuto attraverso questa versione spuria ed ampiamente citato - o meglio copiato - nelle enciclopedie come lo Speculum naturae di Vincenzo da Beauvais, nei manuali medici e nei ricettari farmaceutici. Le miniature che accompagnano i manoscritti medioevali sono spesso di grande qualità artistica, ma molto fantasiose.

Intanto anche più vitale si rivelava Dioscoride in un’altra area, quella dell’Oriente islamizzato. Il testo vi fu trasmesso attraverso una complessa trafila di traduzioni, dal greco al siriano, dal siriano all’arabo, dall’arabo al persiano. Anche nel mondo islamico abbondarono le opere più o meno rimaneggiate, tra cui erbari con illustrazioni non molto più attendibili di quelle occidentali. Ma anche qui Dioscoride era un autore di prestigio, che ispirò molte opere originali in campo medico, a partire dal IX secolo. Tutti i grandi nomi della medicina araba gli pagano un debito. Per limitarci a un nome noto anche in Occidente, Ibn Sina (da noi chiamato Avicenna) trae da De Materia medica gran parte del capitolo sui semplici del suo Canone di medicina.

 

 

Rinascimento e oltre

 

È stato sostenuto che il Rinascimento non aveva bisogno di riscoprire Dioscoride perché non era mai stato dimenticato. Ma, come abbiamo visto, quello che circolava nel Medioevo era un Dioscoride di seconda o terza mano. Era ora di tornare al testo autentico: come diceva Leonhardt Fuchs, perché bere l’acqua inquinata quando si può attingere alla fonte? La riscoperta del vero De Materia medica liberato dalle parti spurie impegnò almeno due generazioni di studiosi. La prima è rappresentata dai filologi come Ermolao Barbaro che nel 1481 predispose una nuova traduzione partendo dal testo greco, corredata di un commento; pubblicata molto più tardi, sarà seguita nel secondo decennio del Cinquecento da nuove traduzioni come quella di Ruel in Francia o di Marcello Adriani in Italia.

 

Difcorfi del Matthioli 

La seconda, dopo il 1530, è quella dei medici e dei naturalisti, che intendono tornare a Dioscoride per rivitalizzare la pratica medica e lo studio delle piante. De materia medica diventa il testo canonico dell’insegnamento della medicina e tutto il gotha della medicina (e della botanica, che al tempo erano la stessa cosa) del ’500 ne fa oggetto dei propri corsi. Il culmine di questo filone sono probabilmente i Commentari a Dioscoride di Pietro Andrea Mattioli (1544), indubbiamente il testo di botanica più influente del Rinascimento.
Vista l’importanza assunta da Dioscoride nella formazione dei futuri medici, l’obiettivo fondamentale dei medici-botanici di questa generazione è identificarne correttamente, descrivere e classificare le specie; contemporaneamente, anche grazie alle scoperte geografiche, cresce l’interesse per le piante in sé, al di là del loro uso farmaceutico. Su questa via, anche se Dioscoride è ancora un punto di riferimento, incominciano ad emergerne i limiti in modo sempre più clamoroso: i botanici tedeschi o olandesi hanno molta difficoltà a ritrovare la flora dell’Europa centro-settentrionale in un manuale di farmacologia nato sulle rive del Mediterraneo orientale; non parliamo poi delle nuove piante americane, indiane o africane. Il medico ferrarese Brasavola (1500-55) dirà esplicitamente che Dioscoride avrà forse descritto l’1 per cento delle piante del pianeta (era molto, molto ottimista!); lo spagnolo Monardes (1493-1588) si chiederà retoricamente come avrebbe potuto quel medico dell’Asia minore conoscere le piante del Nuovo Mondo.
Ma, prima di finire definitivamente nello scaffale dei classici, ancora all’inizio del Settecento, quando ormai la strada maestra della botanica passa attraverso la ricognizione sul campo e sullo studio delle piante in sé, Dioscoride ha ancora un sussulto: tra il 1701 e il 1702, il francese Joseph Pitton de Tournefort parte appositamente alla volta del Levante sulle sue orme, nella speranza di identificare correttamente le piante descritte nel De Materia medica (ne identificherà circa 400, intorno al 45%); ancora alla fine del secolo, l’inglese John Sibthorp riprenderà la ricerca con due spedizioni botaniche il cui frutto sarà uno dei capolavori della botanica di primo Ottocento, la Flora Graeca (1806-40).

 

 

 

Dioscorea communis

Finalmente, la Dioscorea Foto Tamus communis

 


Sarebbe strano se un personaggio di tale importanza nella storia della botanica non fosse celebrato da un nome di genere. Infatti, ci pensò il padre Plumier, che gli dedicò il genere Dioscorea, confermato poi da Linneo. È un genere molto importante, anche se probabilmente le sue specie di uso alimentare ci sono più note con il nome volgare, ovvero igname. Detto anche yam, l’igname è essenziale per la sopravvivenza di oltre 100 milioni di persone: la sua coltivazione occupa 5 milioni di ettari in 47 paesi della fascia tropicale e subtropicale. Ricco di carboidrati e povero di proteine, secondo B. Laws (autore di 50 piante che hanno cambiato il corso della storia) il suo consumo è tuttavia anche una delle concause della sottoalimentazione dei paesi più poveri del mondo.
Dal punto di vista botanico, Dioscorea è un grande genere con oltre 600 specie (alcune delle quali di uso ornamentale), che ha anche dato il proprio nome alla famiglia delle Dioscoreaceae. Una tra le più note agli appassionati è la sudafricana D. elephantipes (sinonimo Testudinaria elephantipes) i cui i fusti rampicanti si dipartono da un tubero solo parzialmente sotterraneo, che forma una curiosa struttura di forma quasi emisferica, profondamente corrugata e incisa, che è stata paragonata al piede di un elefante o al guscio di una tartaruga. 

Ma c’è anche una Dioscorea nostrana. Grazie alla recente confluenza del genere Tamus in Dioscorea, una delle comuni liane dei nostri boschi, il tamaro, precedentemente Tamus communis, è oggi Dioscorea communis.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

“Alle origini della farmacologia: il Dioscoride di Vienna”, in Storia della farmacia 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

De Materia medica. Il Dioscoride di Napoli, Sansepolcro, Aboca edizioni 2012

 

B. Laws, 50 piante che hanno cambiato il corso della storia, Roma, Ricca 2012

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A. Pavord, The naming of names, New York, Bloomsbury USA, 2005

 

J. M. Riddle, Dioscorides on Pharmacy and Medicine, Austin, University of Texas Press 1985

 

 

 

W. T. Stearn, “From Theofrastus and Dioscorides to Sibthorp and Smith”, Journal of the Linnean Society, 8, pp. 285-298