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Classificare le piante: 2. Teofrasto

 

Teofrasto orto botanico di Palermo

 

Classificare le piante: 2. Teofrasto

 

Una metodica indagine sulle piante

 

Silvia Fogliato

 

 


Linneo l’ha proclamato “padre della botanica”. Anna Pavord, nel suo brillante The naming of names, ne ha fatto l’eroe fondatore della tassonomia e l’ha immaginato mentre, una foglia di platano in una mano, una foglia di vite nell’altra, guida gli allievi del Liceo a riflettere su somiglianze e differenze per cercare un senso, un ordine sotto le molteplici forme della natura. Teofrasto (371 - 287 a. C.), amico, allievo e successore di Aristotele alla guida della scuola peripatetica, è stato in effetti il primo (anzi l’unico, per oltre 1500 anni) a non accontentarsi di considerare le piante solo dal punto di vista utilitario, per osservarle con occhio di scienziato.

Autore di centinaia di opere, di cui ben poche ci sono giunte, alla botanica dedicò Perì phutòn istoria, noto con il titolo latino Historia plantarum (che, più che storia delle piante significa “Indagini sulle piante”) e Perì phutòn aitòn, noto con il titolo latino De causis plantarum (ovvero “Spiegazione delle piante”); la prima si occupa soprattutto della morfologia e della classificazione delle piante, la seconda della loro riproduzione e fisiologia. Insieme all’aristotelica Historia animalium, rappresentano le opere maggiori della scienza biologica antica. Maestro ad allievo, pur seguendo lo stesso metodo, si erano infatti divisi i compiti: Aristotele – come abbiamo visto nell’articolo precedente - si occupò di studiare gli animali, Teofrasto le piante.

L’oggetto dell’indagine di Teofrasto è esposto chiaramente all’inizio di Historia plantarum: “Per individuare i caratteri distintivi delle piante e la loro natura generale dobbiamo considerare le loro parti, le loro qualità, i modi in cui si origina la loro vita e l’intero corso della loro esistenza”. Anche il metodo è chiaramente dichiarato: “Il compito generale della scienza è distinguere ciò che è identico in una pluralità di cose”. In altre parole, come per Aristotele, conoscere significa paragonare, scoprire ciò che è comune a cose a diverse (arrivando così a definire categorie, gruppi generali, quelle che diverrà il nostro genere), e ciò che differenzia cose uguali (riconoscendo le caratteristiche distintive dei membri di una categoria, quella che diverrà la nostra specie).
Certamente nelle sue opere non mancano nozioni ereditate dalla tradizione dei rizotomi, gli erboristi-raccoglitori di piante (molte delle quali, dal nostro punto di vista, sono pure e semplici superstizioni), ma Teofrasto, pensatore cauto e prudente, in genere ne prende parzialmente le distanze con formule come “si dice”, “su questo sono necessarie altre indagini”; tuttavia moltissimo è dovuto all’osservazione diretta e rivela una profonda conoscenza della morfologia, della fisiologia e della vita delle piante.

 

 

Studiare le piante con categorie proprie

 

Respingendo lo zoocentrismo di Aristotele (che descriveva le piante come animali con la bocca sotto terra e l’apparato riproduttivo e escretorio per aria), Teofrasto pensa in primo luogo che le piante vadano studiate con categorie che sono loro proprie. In primo luogo, nota che è persino difficile capire quali sono le loro parti perché, al contrario delle membra degli animali, molte di esse non sono permanenti: le foglie, i frutti, i semi, l’intera parte area delle erbacee perenni cadono o periscono senza che la pianta cessi di esistere come tale. In secondo luogo, il mondo vegetale è caratterizzato da un’enorme varietà; proprio in quegli anni, l’arrivo delle informazioni raccolte nei paesi esotici da soldati, mercanti e studiosi al seguito di Alessandro, complicava ulteriormente le cose.
Teofrasto sottolinea che, mentre gli animali sono liberi di muoversi, le piante sono ancorate al terreno da cui ricevono il nutrimento; ecco perché è importante studiare i luoghi “propri”, cioè quelli in cui ciascuna pianta trova le condizioni più favorevoli (noi diremmo, la nicchia ecologica) e capire quali fattori esterni ne influenzino la crescita. il vigore, la fruttificazione.

È considerato il primo tassonomista perché propose una classificazione molto generale delle piante, sulla base della loro struttura, distinguendole in quattro gruppi: alberi, arbusti, suffrutici, erbe; sulla base della durata della vita, le distinse poi in annuali, biennali, perenni. Distinse le piante dicotiledoni e monocotiledoni, le piante da fiore (angiosperme) e le gimnosperme (per lui, le piante che portavano pigne), le piante sempreverdi e quelle decidue, ma colse anche distinzioni più minute, ad esempio esaminando la struttura dei fiori distinse petali liberi e petali fusi, ovario supero e ovario infero. Inventò dal nulla un’intera terminologia, ad esempio distinguendo il frutto, carpos, e l’involucro dei semi, pericarpon; ci ha trasmesso nomi di piante che usiamo ancora oggi (per limitarci a quelle che iniziano con la lettera a, Aconitum, Agrostis, Althaea, Anemone, Aristolochia, Arum). Comprese almeno nelle linee generali il funzionamento della fecondazione delle piante (in particolare nelle piante dioiche, come le palme) e colse la relazione tra la struttura di alcuni fiori e quella dei frutti che ne derivano.

 

 

Un oblio millenario

 

Tutte queste acquisizioni erano destinate a non avere seguito. La botanica, appena nata, morì sul nascere e per secoli divenne un’ancella della farmacia e della medicina. Dopo Teofrasto, la scuola peripatetica si disperse; la maggior parte delle opere sue e del maestro Aristotele andò perduta. Le due opere di botanica superstiti erano note in età romana, ma vennero fraintese o ignorate: Plinio saccheggiò Historia plantarum per quel bric à brac che è la Naturalis Historia, dove le puntuali notazioni scientifiche di Teofrasto convivono con leggende e racconti superstiziosi; ma soprattutto si impose Dioscoride, un medico che non era interessato alle piante in sé, ma al loro uso medicinale. Questa fu la via maestra per tutto il Medioevo. I testi di Teofrasto furono dimenticati, anche se una manciata di manoscritti si salvò fortunosamente nelle biblioteche bizantine; perché venissero riscoperti e i semi del loro insegnamento incominciassero a germogliare, bisognò attendere il Rinascimento.
Così, dopo secoli di oblio, Teofrasto poté recuperare il suo ruolo di padre fondatore della botanica; a rendergli omaggio pensò in primo luogo padre Plumier che gli dedicò uno dei suoi nuovi generi americani (1703). Ma con un pizzico di snobismo lo denominò Eresia, dal luogo natale di Teofrasto. Una dedica un po’ troppo per iniziati, secondo Linneo, che corresse il tiro adottando il più trasparente Theophrasta (in Species Plantarum, 1753).
Si tratta di un piccolissimo genere di arbusti o piccoli alberi endemici dell’isola di Hispaniola, che comprende due sole specie: Theophrasta americana e T. jussieui. L’aspetto è davvero curioso, e non avrebbe mancato di incuriosire il dedicatario, un vero scienziato senza preconcetti che era ben consapevole della provvisorietà delle proprie categorie conoscitive, e non mancava di segnalare i casi della natura che le contraddicevano. Come gli alberi hanno solitamente un unico fusto, tuttavia non legnoso, ma piuttosto fibroso (come quello delle palme) con un ciuffo di lunghe foglie all’apice, coriacee, spinose e molto seghettate.

 

Theophrasta americana fiori

 

Fino a qualche anno fa erano assegnate, insieme a pochi altri generi, tutti endemici delle Antille, a una famiglia propria, Theophrastaceae. Ma, come sapeva già Teofrasto, le conoscenze scientifiche vengono messe in discussione da nuovi studi, nascono nuovi paradigmi; e con le ricerche basate sulla storia evolutiva delle piante, oggi fa parte delle Primulaceae, in cui sono state incluse non solo le ben note erbacee del vecchio mondo, ma anche alcune piante legnose del nuovo mondo. Una scelta che non convince tutti (occorre un supplemento d’indagine, direbbe Teofrasto) anche se i fiori a cinque petali delle Theophrastae che si addensano numerosissimi al centro del ciuffo di foglie hanno indubbiamente un’aria... primulesca.

Teofrasto è ricordato anche dal nome specifico di alcune piante; la più nota è probabilmente Abutilon teophrasti, volgarmente detta “cencio molle”, un’infestante delle culture. Sicuramente più apprezzata è Phoenix theophrasti, la palma di Creta, una delle due uniche specie di palme endemiche d’Europa.

 

  Abutilon teophrasti

 

Bibliografia

 

A. Pavord, The naming of names, Bloombsbury USA 2005

L. Russo, La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Milano. Feltrinelli, 2003