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Classificare le piante: 1. Aristotele

 

Aristotele 

Classificare le piante: 1. Aristotele

 

 

Silvia Fogliato

 

 

Da secoli, si può dire da quando è nata la botanica, i botanici si sono dati due compiti, che in realtà sono strettamente connessi tra loro: identificare le piante, dando loro un nome, e raggrupparle, classificarle, sulla base di somiglianze e differenze. A dire il vero, classificazioni “ingenue” o “popolari” delle piante (anzi, più in generale degli esseri viventi) esistono in tutte le culture; ma la tassonomia popolare identifica e nomina solo le specie utili in qualche modo alla comunità oppure che è bene saper riconoscere perché nocive o pericolose. Le altre, quelle che non servono, spesso ricadono in categorie molto generali: “pianta”, “albero”, “felce”, “erbaccia”.

 

D’altra parte, per designare le specie degne di essere riconosciute e etichettate con un nome distintivo, già nelle designazioni popolari possiamo ritrovare in modo assai approssimativo, e con una portata assai diversa, i due concetti base della tassonomia scientifica, il genere e la specie: ad esempio, in quasi tutti i dialetti italiani l’ortica comune (Urtica dioica) è designata con una singola parola, derivata dal latino urtica, che corrisponde grosso modo al genere: ardicula (Sicilia), lurdicula (Calabria), ortiga (Liguria, Lombardia, Sardegna), urtia (Piemonte). Meno frequenti nomi descrittivi “polinomi”, come il piemontese erba ca foura “erba che punge”. Da questa ortica, che è quella vera e propria, la tassonomia popolare ne distingue un’altra, designata con un nome “binomiale”, formato cioè da due parole, analogamente al nome scientifico di specie: ortiga bianca (Brescia), ortiga falsa (Veneto), urtia morta o muta (Piemonte), urtiga gianca (Liguria). Sono alcuni esempi di denominazioni popolari di quello che per la scienza è Lamium album. Il fatto che tra Urtica dioica (Urticaceae) e Lamium album (Lamiaceae) non ci sia alcuna parentela ci chiarisce molto bene la differenza tra la tassonomia popolare e quella scientifica: la prima procede sulla base di somiglianze più o meno evidenti (in questo caso, la forma delle foglie), ma soprattutto le preme impedire confusioni tra due piante con usi pratici molto diversi, una delle quali potenzialmente pericolosa; la seconda cerca di cogliere affinità più profonde, intrinseche, nella convinzione che le somiglianze e le differenze tra le piante siano dovute a una “parentela”, ovvero alla loro storia evolutiva.

 

Aristotelia_chilensis_-_Fruits Urtica-dioica Lamium-album

 

 

 

Per arrivare a questa conclusione, la scienza ha compiuto un lunghissimo cammino, che è iniziato, almeno per la cultura occidentale, con il “maestro di coloro che sanno”, ovvero con Aristotele (384/383 a.C. – 322 a.C.). In primo luogo fu proprio lui a fissare i concetti di genere e specie: secondo il filosofo greco, ogni concetto può essere classificato secondo la sua maggiore o minore universalità, in un rapporto di genere (concetto più universale) e specie (concetto più particolare); il genere si applica a un numero maggiore di individui, ma è dotato di meno caratteristiche; la specie riguarda un numero minore di individui, ma è distinto da caratteristiche peculiari.

 

In secondo luogo, Aristotele fu il primo a tentare una classificazione degli esseri viventi, giungendo a delineare un sistema basato su una logica binaria e gerarchica. Nel De anima classificò in modo molto generale gli animali basandosi sul loro ambiente di vita e il loro sistema di locomozione, individuando i tre insiemi di animali acquatici, volatili e terrestri. Divise poi questi ultimi sulla base degli arti implicati nella locomozione in quadrupedi e bipedi; a quest’ultima categoria appartiene l’uomo, definito “animale (genere) terrestre bipede (specie)”.

 

Agli animali dedicò poi tre opere più specifiche, Ricerche sugli animali (Historia animalium), Le parti degli animali (De partibus animalium) e Sulla generazione degli animali (De generatione animalium). Nella prima descrive 581 specie che aveva potuto osservare direttamente, distinguendole in due grandi gruppi: Enaima “animali dotati di sangue rosso” e Anaima “animali privi di sangue rosso”, corrispondenti grosso modo ai nostri Vertebrati e Invertebrati. Individuò poi nove “grandissimi generi”, quattro tra gli Enaima: Ornithes (uccelli), Ichthues (pesci), Tetrapoda (quadrupedi, ovvero mammiferi, rettili e anfibi), Ketoi (cetacei); cinque tra gli Anaima: Cephalòpoda (molluschi cefalopodi), Màlaka (molluschi senza conchiglia), Ostrakoderma (molluschi con conchiglia), Malakòstraka (Crostacei), Entoma (animali con il corpo diviso in segmenti, en-tomos, ovvero artropodi). Nell’ambito di ciascun “grande genere” distinse poi generi più specifici, che non corrispondono al genere in senso moderno, ma piuttosto alle famiglie, quando non agli ordini. Intermedia tra il singolo individuo e il genere, si colloca la specie (in greco eidos, ovvero “immagine”), che Aristotele usa con una portata abbastanza analoga a quella che assumerà nella scienza moderna.

 

Nel corpus aristotelico ci è giunta anche un’opera sulle piante (il secondo “regno” dei viventi, per usare una terminologia che però non appartiene al filosofo greco), De plantis. Tuttavia gli studiosi ritengono si tratti di un testo apocrifo, da attribuirsi forse a Nicola di Damasco, un filosofo vissuto all’epoca di Augusto. Infatti, mentre il maestro approfondiva lo studio degli animali, ad occuparsi delle piante fu il suo discepolo, e successore nella direzione della scuola peripatetica: Teofrasto, il vero padre della botanica nonché il protagonista della seconda puntata di questa piccola storia.

 

In ogni caso, un personaggio così importante nella cultura occidentale era ben degno di essere ricordato da un genere botanico. Per una volta, l’omaggio non arrivò né da Plumier né da Linneo, ma dal bizzarro botanico dilettante L’Héritier de Brutelle (1746-1800) che nel 1785 volle dedicargli una pianta raccolta in Sud America, Aristotelia maqui, con queste parole “In memoria di Aristotele, filosofo principe dei peripatetici, che scrisse di storia naturale e di altro, come attestano Columella, lui stesso e altri autori di botanica, cui sono attributi due libri sulle piante”.

 

Il genere Aristotelia, della famiglia Elaeocarpaceae, comprende diciotto specie di alberi con una interessante distribuzione transpacifica: oltre che in Sud America (dal Cile all’Argentina) è presente infatti nell’arcipelago delle Vanuatu, nell’Australia sudorientale, in Nuova Zelanda e in Nuova Guinea. La specie più nota è probabilmente quella descritta da L’Héritier: oggi si chiama Aristotelia chilensis (Molina) Stuntz. Nativo delle foreste del Cile meridionale e delle aree adiacenti dell’Argentina, questo piccolo albero, noto maqui, era considerato sacro dai Mapuche che ne usavano le foglie per curare le ferite infette e le dolci bacche per preparare la chicha, una bevanda alcoolica e inebriante. Nel regno degli animali, a ricordare lo Stagirita è anche un secondo Aristotelia: è un ampio genere di falene (farfalle notturne) della famiglia Gelechiidae, con rappresentanti anche nel bacino del Mediterraneo e in Grecia.

 

 

 

Bibliografia

 

G. Albergo, Tassonomia in Aristotele. Una zoologia antispecista?, https://www.academia.edu/10387199/Tassonomia_in_Aristotele._Una_zoologia_antispecista

 

R. Bayton, S. Maughan, Genealogia delle piante. Alla scoperta delle famiglie botaniche, Guido Tommasi Editore, Milano, 2018

 

N. Ross, “What’s That Called?” Folk Taxonomy and Connecting Students to the Human-Nature Interface, in Innovative Strategies for Teaching in the Plant Sciences, Springer, Hiedelberg, 2014