raccolte cd
timberland euro, timberland uomo 6 inch stivali, timberland uomo barca stivali, timberland uomo earthkeepers, timberland uomo euro hiker stivali, timberland uomo nellie chukka, timberland uomo rotolo top stivali, timberland uomo scarpe da spiaggia, timberland donna 6 inch stivali
Il sesso del cervello: un dibattito mai spento

 

Sesso del cervello

Il sesso del cervello: un dibattito mai spento

 

Marirosa Di Stefano

 

Il mai spento dibattito sull’esistenza di diversità strutturali e funzionali tra i cervelli di maschi e femmine ha recentemente avuto un ritorno di fiamma con la pubblicazione di due libri, per ora leggibili solo nella versione originale inglese, che mostrano fin dal titolo da che parte pende la bilancia.

Quello di Gina Rippon[1], neurobiologa americana, ha per titolo: Il cervello sessuato: la nuova neuroscienza che frantuma il mito del cervello femminile. L’altro, pubblicato alcuni anni prima, è stato scritto da una filosofa della scienza, l’australiana Cordelia Fine[2] e il titolo recita: L'illusione del genere: come le nostre menti, la società e il neurosessismo creano la differenza.

Neurosessismo è un termine coniato da Cordelia Fine e si riferisce a quegli studi che sostenendo l’idea di una diversa organizzazione neurale nelle donne rispetto agli uomini avallano – più o meno consapevolmente – le discriminazioni di genere.

Nei loro libri entrambe le autrici rivolgono la loro critica principalmente ai risultati degli studi di brain imaging condotti con la Risonanza Magnetica funzionale (RMf). Per avere un’idea della vastità della produzione scientifica sull’argomento basta fare una ricerca sul database biomedico PubMed usando come parole-chiave "differenze di genere nel cervello"; il numero dei lavori pubblicati su riviste scientifiche accreditate che viene fuori è enorme, nell’ordine delle migliaia, soltanto negli ultimi 10 anni.

 

 

La ricerca di sostanziali diversità nell’architettura cerebrale legate al sesso ha una storia antica che rinnova se stessa ogni volta che la scienza dispone di nuove tecnologie. In quest’ultimo quarto di secolo lo strumento d’elezione per la caccia alle differenze di genere è diventato il brain imaging. La tecnica di visualizzazione del cervello in attività –al di là del valore scientifico dei risultati che fornisce – possiede una grande attrattiva mediatica come nessuna tecnica prima d’ora. Allo scopo di essere massimamente esplicative, infatti, le conclusioni degli studi di RMf vengono riassunte sotto forma di colorate rappresentazioni del cervello in cui i livelli di attivazione osservati durante la condizione sperimentale nelle diverse regioni cerebrali sono indicati con colori diversi. Le immagini sono estremamente seduttive sia per loro immediata comprensibilità – le aree più vividamente colorate sono quelle più attive e perciò determinanti per la funzione oggetto dello studio – sia perché suggeriscono che la risposta al quesito sperimentale è univoca, senza sfumature e indubitabile. I media riproducono sempre queste immagini quando riportano -spesso con ingiustificato clamore- le nuove scoperte sul funzionamento del cervello in generale e sulle differenze tra i sessi in particolare. Quello che però sfugge ai non scienziati e che alcuni degli addetti ai lavori oggi denunciano[3] è che moltissimi degli studi di brain imaging hanno prodotto risultati inaffidabili perché sono stati condotti con gravi pecche metodologiche: nella procedura sperimentale, nell’analisi statistica dei dati, nella loro interpretazione o in tutti e tre questi aspetti insieme.  Inoltre la riproducibilità dei dati – un pilastro della scienza moderna – è pressoché inesistente[4].

In conclusione, sebbene non ci sia nessuna certezza scientifica che il cervello delle donne sia diverso da quello degli uomini le belle immagini di una cattiva scienza finiscono per informare il senso comune, alimentare gli stereotipi di genere e radicare l’idea che differenze nella biologia del cervello giustificano le disparità sociali tra i sessi.

Lo psicologo Simon Baron-Cohen – che pure rifiuta vivacemente le accuse di neurosessimo, dal momento che ammette l'inesistenza di differenze strutturali tra i cervelli di uomini e donne – ha scritto un libro[5]La differenza essenziale, in cui sostiene che ci sono due tipi di cervelli: il tipo S, il cervello sistematizzante, versato in matematica e nel ragionamento astratto; e il tipo E, il cervello empatizzante in cui prevalgono gli aspetti legati alla comprensione degli altri e alla comunicazione; casualmente chiama cervello maschile quello di tipo S e cervello femminile quello di tipo E.  Baron-Cohen ci tiene a chiarire che «il sesso biologico non determina il tipo di cervello» e che «non tutti gli uomini hanno il cervello S così come non tutte le donne hanno il cervello E»; ma allora viene da chiedersi perché mai abbia voluto connotarli sessualmente. La risposta si trova forse in un’altra sezione del libro in cui l’autore osserva che «le persone con cervello femminile possono diventare splendidi insegnanti di scuola primaria, infermieri, counsellors, terapisti, assistenti sociali e del personale aziendale», mentre le persone con cervello maschile riescono meglio come «scienziati, ingegneri, meccanici, banchieri, artigiani, informatici e perfino avvocati». Se questo non è legittimare gli stereotipi di genere...

Baron-Cohen appartiene a quella recente scuola di pensiero che non vuole più dimostrare l’inferiorità mentale della donna ma cerca piuttosto le prove di una diversità cognitiva che la rende “complementare” all’uomo; una diversità che  – guarda caso! – coincide con gli insegnamenti bibiblici e con lo status quo dei ruoli di genere. In questa luce si collocano i lavori che sostengono come siano differenze nella circuiteria neurale intra- ed inter-emisferica a rendere ragione di caratteristiche considerate tipicamente femminili come la propensione al pensiero intuitivo e al multitasking, mentre nei maschi l’organizzazione interna del loro cervello favorirebbe il ragionamento analitico e l’azione[6].

 

La “nuova neuroscienza” a cui allude Gina Rippon nel sottotitolo del suo libro è quella che riconosce l’individuo come un “mix bio-culturale”[7], il cui cervello è plasmato dalle influenze ambientali e sociali tanto quanto dai geni e dagli ormoni. Nei primi anni di vita l’architettura del cervello è particolarmente suscettibile alle influenze dell’esperienza e dell’ambiente ma rimane modificabile anche durante tutta l’età adulta. La neuroplasticità, cioè la capacità del cervello di modificare le connessioni funzionali al suo interno, è un fondamentale meccanismo evolutivo da cui dipendono gli adattamenti – che garantiscono la sopravvivenza dell’individuo – ma anche i meccanismi di apprendimento e di memoria, oltre che i comportamenti. Oggi abbiamo un’idea dei processi molecolari[8] che rendono plastici i nostri cervelli ma soprattutto sappiamo che la cultura, intesa come l’ambiente umano e sociale in cui si vive, letteralmente modella le vie nervose di quelle aree da cui dipendono le funzioni cognitive superiori, rafforzando certe connessioni e lasciandone scomparire altre[9].  Bambini e ragazzi di entrambi i sessi sono delle autentiche “spugne sociali” che assorbono avidamente tutte le informazioni che in materia di modelli sociali vengono loro implicitamente o esplicitamente trasmesse dalla famiglia e dall’ambiente extrafamiliare. E naturalmente non possono essere immuni dai messaggi che riguardano i ruoli di genere. Nel caso delle bambine si verifica quella Gina Rippon definisce una “pinkification encefalica”, un adattamento del cervello verso comportamenti e attitudini mentali compatibili con il modello “rosa”, femminile, che viene proposto. E il modello prevede spesso la convinzione di valere meno dei maschi, di essere meno brave in certi giochi o in certi compiti e dunque di non poter mirare da adulte a posizioni lavorative di rilievo.

A questo proposito sono illuminanti i risultati di uno studio in cui bambini di 5 anni venivano posti di fronte alla scelta tra un gioco descritto come “più difficile” e un altro presentato come “più semplice”. Se a 5 anni la percentuale di maschi e femmine che optavano per il gioco più complicato era equivalente, ripetendo lo studio sullo stesso campione quando i bambini avevano raggiunto i 7 anni, la percentuale di bambine che sceglievano il gioco considerato difficile calava di molto, suggerendo che la sensazione di non sentirsi all’altezza tende a crescere con l’età tra le ragazze. D’altra parte, come dimostra un altro studio condotto sui bambini, questa sensazione è senz’altro alimentata dai coetanei maschi che già a 6 anni mostrano di aver introiettato un pregiudizio negativo nei confronti delle abilità intellettuali delle ragazze e non le scelgono come partner di giochi presentati come impegnativi[10].

In definitiva, gli stereotipi di genere di cui è impregnata la società informano fin dall’infanzia i cervelli di femmine e maschi che di conseguenza svilupperanno atteggiamenti e aspettative conformi ai modelli di donna e di uomo propri della cultura in cui sono cresciuti e li riproporranno da adulti, perpetuando il ciclo per cui una società sessuata produce un cervello sessuato che a sua volta determina una società sessuata e così via. Il recensore del giornale inglese The Guardian conclude il suo articolo di apprezzamento per il libro di Gina Rippon esprimendo il timore che purtroppo né questo lavoro né altri faranno cambiare idea a chi è tenacemente convinto che le differenze tra i sessi siano dovute soltanto al tipo di cervello avuto in sorte alla nascita. Ma forse non si aspettava che il libro scatenasse una polemica così livorosa.            

Le critiche agli esperimenti di brain imaging vengono liquidate con supponente irrisione quando a farle è Cordelia Fine, considerando che lei è in fondo solo una filosofa della scienza e non ha competenze dirette in materia. Ma quando ad argomentare l’inconsistenza dei risultati sulle differenze di genere è Gina Rippon il tono cambia. Perchè Gina Rippon è una neuroscienziata che con le tecniche di brain imaging ci lavora e ne conosce potenzialità e limiti; mettere in dubbio la loro validità o, peggio, denunciarne il cattivo uso è alto tradimento. Sulla stampa e sul web sono fioccati commenti del tipo “negare la scienza non abolisce il sessismo” e c’è stato chi si è detto indignato che la prestigiosa rivista Nature abbia pubblicato una recensione molto positiva di un libro così ascientifico. Nel frattempo i ricercatori del campo – e non solo quelli maschi – si lanciavano in un’aspra difesa dei dati loro e dei loro colleghi che dimostrerebbero indubbie differenze nel cervello dei due sessi.

Sembra però che nessuno dei detrattori del libro della Rippon ne abbia colto l’argomento fondamentale. Se le differenze di genere riportate dagli studi di brain-imaging non sono attendibili non è detto che queste non ci siano. Sono però differenze che non hanno a che fare con la struttura macroscopica del cervello e neanche con generiche abilità cognitive come quelle indagate nelle condizioni inevitabilmente artificiali del laboratorio per essere poi generalizzate al mondo reale. Le differenze tra maschi e femmine – che non sono presenti alla nascita – vengono create nel tempo, in modo sottile, dalla cultura in cui gli individui sono immersi che agisce sulla biologia attraverso i meccanismi della plasticità neurale. In risposta agli stimoli ambientali e all’esperienza le intricate reti nervose da cui dipendono intelligenza e comportamenti vanno incontro a continui aggiustamenti nella funzionalità delle loro connessioni, e così come in coloro che suonano il violino la porzione di cervello che controlla i movimenti della mano diventa più estesa che negli altri, allo stesso modo i cervelli delle bambine diventano rosa.

Le reazioni più velenose e scomposte ai lavori che contestano la visione neurodeterministica delle differenze di genere sono apparse su Quillette [11], una rivista on line che si definisce “una piattaforma del libero pensiero” ed accoglie – apparentemente senza filtro – i commenti dei liberi pensatori agli articoli di scienza, politica e varia umanità che la rivista pubblica. L’articolo, che prendendo spunto dal libro della Rippon si scaglia contro tutti coloro che, a detta dell’autrice, vogliono sottomettere la biologia alle influenze sociali, è stato scritto da una certa Debra Soh, giornalista canadese con un breve passato di ricercatrice nel campo degli studi di genere. Se, come dichiara lei stessa, il femminismo le aveva fatto credere che non esistessero differenze tra i cervelli di maschi e femmine le ricerche a cui ha preso parte l’hanno convinta del contrario ed è ora una strenua sostenitrice di connaturate, immutabili diversità tra i sessi. E manifesta scrivendo tutta l’esaltazione del neoconvertito. I commenti dei lettori al suo articolo non sono da meno. Con piccole sfumature, tra aneddoti personali e citazioni di oscuri lavori, sono tutti favorevoli alla visione “scientifica” delle differenze di genere in opposizione alla visione “sociale” che qualcuno etichetta (chissà perché) come neomarxista e comunque gravida di rischi per una società fondata sulla famiglia.



[1] G. Rippon, The Gendered Brain: The New Neuroscience That Shatters the Myth of the Female Brain, Bodley Head Eds 2019. Una recensione in italiano del libro è stata pubblicara sulla rivista online The Vision   https://thevision.com/scienza/nurturing-effect-sessismo/

[2] C. Fine,  Delusion of gender: how our minds, society and neurosexism create difference W.W. Norton/Icon Books 2010.

[3] R.A. Poldrack The new mind readers: what neuroimaging can and cannot reveal about our thoughts, Princeton University Press Eds, 2018.

[4] Oltre a questi difetti gli studi sulle differenze di genere manifestano più degli altri la cosiddetta inferenza all'indietro, cioè i meccanismi di un dato processo cognitivo o stato mentale (che non sono noti a priori) sono ipotizzati a ritroso, in base alla distribuzione dell’attività cerebrale, e possibili variazioni individuali sono eventualmente attribuite al sesso (cfr. Neuron, 2011, 72, pp. 692-697). Infine va sottolineato che i lavori che NON riportano differenze di genere hanno maggiore difficoltà ad essere pubblicati perché un risultato negativo riscuote scarso interesse da parte degli editori delle maggiori riviste scientifiche.

[5] S. Baron-Cohen, The essential difference: male and female brains and the truth about autism, Basic Books Eds, 2003.

[6] M. Ingalhalikar et al., op. cit.

[7] C. Fine, Testosterone Rex: unmasking the myths of our gendered brain, Icon Eds, 2017.

[8] N.V. Gulyaeva Molecular mechanisms of neuroplasticity: an expanding universe, in Biochemistry, 2017, 82, pp. 237-242.

[9] D. J. F. Dominguez, The brain in culture and culture in the brain: a review of core issues in neuroanthropology, in Prog Brain Res, 2009, 178, pp. 43-64.

[10] L. Bian, S.J. Leslie, A. Cimpian, Evidence of bias against girls and woman in contexts that emphasize intectual ability, in Am Psychol, 2018, 73, pp. 1139-1153.

[11] Quillette, magazine on line  https://quillette.com