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Piccoli equivoci senza importanza

 

Robinia_(Robinia_pseudoacacia)

Piccoli equivoci senza importanza: acacie che

 

non sono acacie, e mimose che non sono

 

mimose

 

 

Silvia Fogliato

 

Tra nomi comuni delle piante e nomi botanici ci sono talvolta strane relazioni, strani cortocircuiti che possono essere fonte di confusione. Partiamo subito da un esempio clamoroso: Robinia pseudoacacia L., l’albero esotico più diffuso nei nostri boschi, è noto con molti nomi volgari; tra quelli di uso nazionale, robinia, gaggia, ma anche acacia, tanto che il miele che le api ricavano dai suoi fiori è abitualmente commercializzato come miele d’acacia. Eppure questo albero che all’inizio del XVII secolo è arrivato dalla natia America settentrionale a colonizzare i nostri boschi non ha nulla a che fare con il genere Acacia, anch’esso appartenente alla famiglia Fabaceae (ovvero leguminose). L’equivoco ha un padre illustre: il grande botanico inglese John Ray (1627-1705) che la descrisse per primo come “Acacia americana, siliquis glabris”. Linneo cercò di mettere le cose a posto, ribattezzandola Robinia pseudoacacia, ovvero “falsa acacia”, in onore di Jean e Vespasien Robin, giardinieri del Re di Francia, che piantarono il primo esemplare a Parigi all’alba del Seicento; tuttavia, il nome arbitrario aveva fatto in tempo a diffondersi e, come abbiamo appena visto, ancora permane.

 

 

Acacia dealbata falsa-mimosa

Ma il pasticcio non finisce qui. Tra gli alberi più noti, amati e coltivati anche da noi c’è davvero un membro del genere Acacia, ovvero Acacia dealbata Link; tutti la conosciamo come mimosa: sì, proprio quella che produce i solari fiori gialli simbolo della giornata della donna, così popolare che ha addirittura regalato il suo nome a preparazioni culinarie come la “torta mimosa” o le “uova mimosa”. Tutto bene, se non fosse che esiste anche un genere Mimosa (un’altra Fabacea), a cui ovviamente la nostra pianta non appartiene affatto. E ancora una volta, il nome comune si deve a una denominazione botanica superata: quando la pianta arrivò dall’Australia, William Bridgewater Page la descrisse come Mimosa dealbata (1818); solo quattro anni dopo, Johann Heinrich Friedrich Link corresse il tiro, assegnandole il nome ancora oggi accettato. Ma anche in questo caso la vecchia denominazione rimase indelebile non solo in italiano, ma in varie lingue europee (francese, inglese e spagnolo mimosa, mentre per i tedeschi se non altro è falsche Mimose, “mimosa falsa”).

 

 

 

 

Mimosa pudica

Appartiene invece davvero al genere Mimosa, con il nome M. pudica, la simpatica sensitiva, nota per un curioso fenomeno: quando se ne sfiorano le foglie, queste si chiudono immediatamente.

Ma la storia non è ancora finita. Quando Ray aveva chiamato acacia l’americana Robinia pseudoacacia non pensava certamente a Acacia dealbata, una pianta originaria dell’Australia, continente all’epoca non ancora scoperto; il suo pensiero andava sicuramente alle acacie africane, alberi molto caratteristici per la chioma ad ombrello e le gialle fioriture prorompenti, ben noti fin dall’antichità. Oggi, tuttavia, in seguito a vicende complesse che non sto a riassumere, le specie africane e americane sono state assegnate ai generi Senegalia e Vachellia, mentre il nome Acacia è stato riservato alle specie asiatiche e australiane. Quindi, neppure le acacie africane per i botanici possono fregiarsi di questo nome.

 

 

 

 

 

Albizia julibrissin  

Per rincarare la dose, nei nostri giardini estivi fiorisce ancora un’altra falsa acacia, l’acacia di Costantinopoli, ovvero Albizia julibrissin Duraz., i cui fiori non sono sfere gialle ma vistosi piumini rosa brillante.

Come abbiamo visto, Robinia pseudoacacia è detta anche gaggia, dal gr. ?κακìα, “acacia”; ma questo stesso nome volgare è utilizzato per designare pure altre “acacie”: Vachellia farnesiana (L.) Wigh. & Arn (sin. Acacia farnesiana (L.) Will.), una delle più note specie di origine africana, coltivata anche da noi per l’estrazione di un pregiatissimo profumo (che si chiama, ovviamente, “essenza di acacia”) e naturalizzata in Sicilia; la già citata Albizia julibrissin, nota anche come gaggia arborea; nonché Vachellia caven (Molina) Seigler & Ebinger (sin. Acacia cavenia Bertero), di origine sudamericana, che per complicare le cose è anche nota come cassia romana. Inutile dire che esiste anche un genere Cassia (sempre dell’intricata famiglia Fabaceae), ancora diverso.

 

 

 

 

 

Vachellia farnesiana 

Questo garbuglio di denominazioni – un vero gliommero gaddiano – è solo un esempio estremo delle contraddizioni e delle confusioni che possono instaurarsi tra nomi comuni e nomi botanici. Per concludere, aggiungiamo ancora glicine, che per i botanici designa la soia (Glycine max (L.) Merr. e Glycine soja Siebold & Zucc.), e non la spettacolare e amatissima rampicante (appartenente invece a varie specie del genere Wisteria Nutt.), sempre della famiglia Fabaceae; oppure nasturzio, detto anche cappuccina, una delle annuali più note e coltivate, che per i botanici è Tropeolum majus L. (famiglia Tropeolaceae), mentre Nasturtium è il genere cui appartiene il crescione (Nasturtium officinale R. Br.).

 

Bibliografia

D. J. Murphy, “A review of the classification of Acacia (Leguminosae, Mimosoideae)”, Muelleria 26(1): 10-26 (2008)