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Difficile tenere pulita Roma. Anche nel Cinquecento

 

monnezza romana

Difficile tenere pulita Roma. Anche nel Cinquecento

 

Luciano Luciani

 

A Roma, sin dal tardo Medioevo, le autorità tenevano sotto severa osservazione soprattutto i macellai e i conciatori di pelli, i cuoiai. Il Liber Statutorum Urbis, redatto nel 1363, attribuiva a queste due categorie, insieme alla diffusa negligenza popolare, le maggiori responsabilità delle infrazioni ai bandi e regolamenti di polizia urbana in materia di igiene pubblica. In una costituzione emanata da papa Martino V Colonna, pontefice dal 1417 al 1431, si fa riferimento ai pescivendoli e ai sutores, pelamantellarii diversique artifices che per le vie e per le piazze gettavano gli avanzi della loro attività: viscera, intestina, capita, pedes, ossa, e cruores, nec non pelles, carnes et pisces corruptos nonché resque alias fetidas atque corruptas, per non parlare delle carcasse di bestie morte abbandonate nei vicoli. Una prassi che, in una curiosa mescolanza di sacro e profano, aeris puritatem et animarum salutem impediat.

Priva di fognature e di acqua corrente, Roma rimase ancora per secoli sporca e maleodorante.

Nel primo quarto del XVI secolo, nella capitale del cattolicesimo, il problema della “monnezza” era diventata così grave che i responsabili civili e religiosi  pensarono di organizzare un vero e proprio servizio pubblico di nettezza urbana: gli addetti, antesignani degli attuali “operatori ecologici”, percorrevano  le vie, i vicoli e le piazze della Città Eterna con cesti, carriole e carri e provvedevano a raccogliere i rifiuti che la deturpavano malamente. Una novità non troppo apprezzata dai Romani anche perché erano i bottegai e gli artigiani, attraverso un’imposta neppure tanto lieve, a pagare tale prestazione. Siamo al tempo di Leone X Medici (1513 - 1521), pontefice esteta, amante del bello ed evidentemente anche del pulito. Ma, lo sappiamo, qualsiasi azione umana è legata alla produzione di rifiuti e mantenere in maniera decorosa la città Caput Mundi, che cresceva dal punto di vista sia demografico sia urbanistico, doveva essere, anche allora, questione di non poca lena. Tant’è che papa Pio V Ghislieri (1566 - 1572), duramente impegnato nella lotta contro protestanti e musulmani e la difficile applicazione delle norme decise nel Concilio di Trento e per questo fatto santo, mezzo secolo dopo dovette trovare anche il tempo per dedicarsi alla riorganizzazione del servizio pubblico di nettezza urbana. Ma - chissà perché, tutto ciò che è pubblico non funziona mai come si deve - questa volta il papa si rivolse ai privati e dette loro in appalto il servizio relativo alla pulizia della città: così Roma fu divisa in 15 zone, ognuna delle quali nel periodo di un mese doveva essere pulita almeno due volte, prevedendo, però, anche interventi speciali e specifici in occasione delle numerose visite papali ai luoghi di culto. I quattrini? Al solito: per reperire le risorse si provvide ad aumentare la tassa che già pesava su artigiani ed esercenti e si istituì un nuovo carico fiscale sulle carrozze: di recente, larga diffusione in città, possederle non era più prerogativa dei soli prelati e aristocratici, ma anche di un ceto di nuovi ricchi concorrenziale sul terreno dell’ostentazione munifica. Una sorta di status symbol nella Roma ormai controriformista, sempre più centro religioso, politico, finanziario, culturale e artistico di un cattolicesimo rinnovato, aggressivo e orgoglioso.