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Le anguille marinate di papa Martino

 

anguille marinate

La tavola anticlericale

 

Le anguille marinate di papa Martino

 

Luciano Luciani

 

La tavola anticlericale... Ovvero, quando il cibo, oltre al piacere offerto dai sapori, dagli odori, dai colori (sì, i colori perché è proprio vero che si mangia anche con gli occhi!) ci fornisce anche materia per ficcanti, acuti, pungenti strali polemici nei confronti di uno dei più antichi e consolidati poteri di tutti i tempi, quello della Chiesa. Percepita spesso da uomini comuni e intellettuali, popolani e letterati come istituzione retriva e soprattutto corrotta: pervertita nei comportamenti di molti suoi rappresentanti, dai più bassi ai più importanti, e lontanissima dai valori e dagli ideali fondativi di carità, fratellanza, povertà evangelica.

Anche un uomo di cultura e di fede come Dante Alighieri non può esimersi dal pronunciare parole durissime – l’intera Commedia ne è piena – contro quegli ecclesiastici che per la loro condotta indegna, in nome del potere, della ricchezza e degli agi che ne conseguono, bruttano l’immagine della casa di Dio. In proposito c’è solo l’imbarazzo della scelta: forse, più indulgente, meno severo ci appare il Poeta nei confronti di quei religiosi che avevano spesso accompagnato le loro attività ecclesiastiche con una marcata predisposizione per il cibo e le sue delizie sensuali. Così, nella sesta cornice del Purgatorio, dove le anime dei golosi soffrono fame e sete, passando sotto due alberi carichi di frutti profumati e irrorati d’acqua fresca, contestualmente all’incontro col poeta Bonagiunta Orbicciani da Lucca, Dante ci mostra due altissimi prelati ridotti a pelle e ossa dai patimenti sofferti per espiare e redimersi:

 

“Questi - e mostrò col dito - è Bonagiunta,

Bonagiunta da Lucca; e quella faccia

di là da lui più che l’altre trapunta

ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:

del Torso fu, e purga per digiuno

l’anguille di Bolsena e la Vernaccia”

(Purgatorio, canto XXIV, vv. 19-24)

 

Il poeta Forese Donati (1250 ca - 1296) – è lui che parla - ha appena indicato papa Martino IV (1281 – 1285), francese, originario di Tours, che, per quanto il Gregorovius gli riconosca da cardinale e da legato in Francia, qualche pregio - “calmo, attivo, disinteressato” - da pontefice si rivelò solo duttile strumento politico nelle mani del conterraneo Carlo d’Angiò e del suo progetto politico d’impadronirsi dall’intera penisola. A lui Dante non riconosce alcuna grandezza: è solo un ghiottone, privo di spiritualità e di capacità politiche, inadeguato, se non indegno, dell’alta carica a cui lo ha innalzato, senza particolari meriti, la Storia. Un papa sensuale e godereccio sino all’ingordigia per alcuni cibi, appunto le anguille di Bolsena, prima annegate nella Vernaccia, un vino bianco che si produceva, e si produce ancora, tra Firenze, Pisa e Siena - celebre quella di San Gimignano - e poi arrostite.

La notorietà di questo appetito fu tale che, per non smemorarlo, alla morte del pontefice, un anonimo compose un graffiante epitaffio:

 

Gaudent anguillae, quia mortuus hic iacet , qui quasi morte reas escoriabat eas

Godono finalmente le anguille, perchè qui giace morto colui che le scorticava come fossero ree di morte

 

Altri aneddoti maliziosi raccontano che questo papa marinasse le anguille direttamente nella sua camera e che, mentre si cibava abbondantemente del suo piatto preferito, fosse solito esclamare: “Oh, Santo Iddio, quanto male patiamo per la Chiesa di Dio”; oppure, che almeno in un’occasione gli fosse sfuggita l’espressione “Vorrei che i tedeschi fossero pesci e la Germania un lago di Bolsena, per poterli mangiare come altrettante anguille”.

Qualche voce ancora più maligna, lo vuole morto proprio per indigestione del suo piatto favorito... E sì che Ildegarda di Bingen (1098 - 1179), guaritrice e naturalista nonché santa cattolica, aveva in più di un’occasione esortato contemporanei ed epigoni ad astenersi dal mangiare anguille, giudicate alimento pesante e inadatto all’uomo... Ma. si sa, le donne vogliono mettere bocca su tutto. E poi, se sono anche sante davvero non c’è rimedio!