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Nel giardino di padre Delavay

 

 

 

Villaggio della regione di Dapingzi 

 

Nel giardino di padre Delavay

 

Silvia Fogliato

 

Ai piedi del castello di Annecy, c’è un piccolo, singolare giardino, il Jardin des remparts; a renderlo speciale sono le piante, tutte cinesi e tutte “scoperte” da un savoiardo, il padre Jean-Marie Delavay (1834-1895). Del resto, la scelta è molto ampia: esploratore delle aree montane dello Yunnan, una zona sconosciuta ai botanici prima di lui, il grande botanico-missionario in un decennio mise insieme un’ineguagliabile collezione di circa 200.000 esemplari appartenenti a oltre 4000 specie, 1500 delle quali di nuova segnalazione. 

 

Sono soprattutto piante montane, molte delle quali di grande valore ornamentale, come il papavero azzurro

dell’Himalaya, Meconopsis betonicifolia, molte specie di rododendri, tra cui lo spettacolare Rhododendron delavayi rosso sangue, Primula forbesii e P. vialiiPaeonia lutea e P. delavayiRosa sericea pteracantha, e così via. Tra le numerosissime specie che gli rendono omaggio (più di 200), oltre a quelle già citate, vorrei ricordare almeno Thalictrum delavayiIncarvillea delavayiMagnolia delavayiIris delavayiAbies delavayiBerberis delavayiElaeagnus delavayiPhiladelphus delavayi.

 

Nato in una frazione di Les Gets, un comune montano dell’Alta Savoia, Jean-Marie Delavay aveva nel sangue la passione per la montagna, le camminate e le scalate in solitaria; quella per la botanica arrivò durante gli anni del seminario, grazie ai suoi maestri, gli abati Chevalier e Puget, appassionati studiosi della flora savoiarda. Ordinato sacerdote nel 1860, per sei anni servì come vicario successivamente in tre parrocchie di montagna, dove ebbe modo di collaborare come raccoglitore e informatore con Eugène Perrier de la Bathie, che in quegli anni lavorava a una ricognizione della flora vascolare della regione. 

 

Meconopsis betonicifolia Thalictrum delavayi Prati dello Yunnan di Primula malacoides

 

Tuttavia, Delavay desiderava essere inviato in missione e nel 1866 passò al seminario delle Mission etrangères de Paris e quasi immediatamente, nel luglio 1867, partì per la Cina, dove fu assegnato al Kuang-tong e al Kuang-si, a est di Canton. Anche nel Celeste impero, egli trovò il modo di affiancare all’impegno missionario (in particolare, si batté per il riscatto delle donne annamite catturate dai pirati cinesi) lo studio della flora di quelle regioni e del limitrofo Shaan-xi; entrato in contatto con il console inglese a Canton, Henry Fletcher Hance, che era anche un noto botanico, con una certa ingenuità gli consegnò le sue raccolte, che presero la strada dell’Inghilterra.

Nel 1881 rientrò per un breve periodo in patria. A Parigi incontrò il padre Armand David che lo presentò a Adrien Franchet, uno dei botanici del Museo nazionale, che in quegli anni si stava specializzando nello studio della flora dell’estremo oriente. Fu deciso che, al suo ritorno in Cina, Delavay avrebbe inviato le piante a Parigi, dove Franchet si sarebbe occupato della loro pubblicazione.

Subito dopo il missionario ripartì per la Cina, dove ebbe la fortuna di essere assegnato a una delle regioni più ricche di specie vegetali del pianeta, le montagne dello Yunnan nord-occidentale. Situata a una latitudine quasi tropicale, quest’area comprende valli dal clima caldo-umido, profondi canyon, aridi altopiani che superano i 2000 metri, catene montuose con orientamento nord-sud, con un’altezza media intorno ai 3000 metri; in basso, la vegetazione è prettamente tropicale, sugli altopiani e sulle cime boreale e alpina. All’epoca la regione era poco abitata, scarsamente coltivata e quindi in gran parte incontaminata; inoltre, questo paradiso della biodiversità era praticamente ignoto ai botanici occidentali, fatta eccezione per il principato di Muping, esplorato da Armand David qualche decennio prima.

Padre Delavay si mise all’opera già nel corso del viaggio di avvicinamento alla sua sede. Nel 1882, mentre risaliva in barca il Fiume azzurro, non mancò di raccogliere esemplari in tutti i luoghi di sosta. Infine raggiunse la sede di Dapingzi, capoluogo di un distretto missionario esteso a nord del lago Erhai fino alla regione di Lijang, prevalentemente abitato da minoranze tibetane e birmane. Per sottrarsi al clima malsano di quella località, dove contrasse la malaria, Delavay trascorreva tutto il tempo che poteva sottrarre al lavoro missionario sulle vicine montagne, che percorse e ripercorse con gioia, ritrovando paesaggi che gli ricordavano i monti della Savoia. I dintorni della sua sede gli offrivano molte escursioni che poteva compiere agevolmente a cavallo; risalendo i dolci pendii boscosi delle montagne, non era difficile raggiungere gli altopiani erbosi dove vivevano le specie montane. 

 

Jean Marie Delavay 

Buon conoscitore della flora alpina, egli si rese presto conto di trovarsi in un luogo eccezionale: non solo bastava risalire poche centinaia di metri per passare da una vegetazione tropicale a una flora prettamente alpina, ma quegli altopiani battuti da venti tempestosi offrivano una miriade di microambienti, ciascuno con la sua flora peculiare. Anche se padre Delavay non avrebbe usato questo termine, intuì perfettamente di trovarsi al centro dell’area di speciazione di generi come Rhododendron, Primula, Pedicularis, Gentiana, ognuno dei quali era rappresentato da decine di specie; per trovarle e imparare a riconoscerle, bisognava esplorare il territorio quasi palmo a palmo, in modo metodico, visitandolo più volte nei vari momenti dell’anno.

Così scalò più di sessanta volte il monte Hee-chan-men, che domina Dapingzi, risalendolo da tutti i lati e in ogni stagione; egli lo chiamava affettuosamente “il mio giardino” e non certo per il suo clima ameno: la montagna termina in un altopiano deserto, a un’altezza di 3000 metri, battuto da venti glaciali che impediscono di camminare dritti; ma, proprio qui, protette dalle grandi rocce, nascono le piante più belle e più rare.

Nel corso degli anni, Delavay esplorò un’area di oltre 300 km2, spingendosi nel 1884 a sud ovest fino alla catena dei monti Cangshan, dove scoprì numerose specie di rododendri e nel 1886 sugli altipiani lungo il confine del Tibet, dove scoprì gli azzurrissimi Meconopsis betonicifolia.

Lo stesso anno nel suo distretto scoppiò un’epidemia di peste ed egli si prodigò a curare gli appestati, contraendo egli stesso il morbo. Guarì, ma recuperò a fatica e solo parzialmente la salute. Inoltre, nel 1888 morì il padre Julien Proteau, che dirigeva l’attività missionaria del distretto di Kiu-tsin; Delavayi si trovò così a gestire due distretti, con la salute sempre più compromessa dalla malaria e dai postumi della peste.

Intanto le sue piante avevano incominciato a riversarsi come un fiume in piena sulla scrivania di Adrien Franchet. Oltre che dal loro numero, egli era stupefatto dall’eccellente qualità degli esemplari tanto da scrivere “lo stato dei campioni, sempre ammirevolmente scelti per fini di studio e raccolti durante la fioritura, la fruttificazione e spesso con le radici, e ancora, la cura con cui sono state compilate le etichette, tutte numerate e che citano sempre l'esatta provenienza, i caratteri del suolo, l'altitudine, il colore dei fiori, ecc., fanno delle collezioni di Padre Delavay il più perfetto modello di erbario”.

Come ho già anticipato, molte specie erano del tutto nuove, e Franchet incominciò a pubblicarle in Plantae Delavayanae, il cui primo fascicolo arrivò nelle mani di Delavay, nella sua sede cinese, nel 1889. Ma il padre era ormai molto malato, tanto che nel 1890 fu costretto a trascorrere molti mesi nel sanatorio di Hong Kong. Quando cercò di rientrare in Yunnan, ebbe un crollo che lo obbligò a tornare in Francia, per essere curato nell’ospedale di Montbeton. Qui, ai già numerosi malanni, si aggiunse un’emiparesi che lo privò dell’uso del braccio destro.

Ciò nonostante, non desiderava altro che tornare in Cina, e i suoi superiori gli permisero di realizzare questa lucida follia. Nel 1894 affrontò il suo terzo e ultimo viaggio; risalì nuovamente il Fiume azzurro, ma la salute precaria lo costrinse a fermarsi a Long-qi, nello Yunnan nord-orientale, dove trovò un ambiente del tutto diverso dalle sue amate montagne, ma non meno affascinante. Qui a dominare è la foresta pluviale, resa lussureggiante dalle piogge continue e dalla temperatura mite; impossibile per Delavay resistere alla tentazione di erborizzare, anche se il braccio paralizzato lo obbligava ad accontentarsi dei fiori e dei frutti delle piante più basse. Riuscì così a raccogliere ancora un migliaio di esemplari, molti dei quali tuttavia andarono perduti a causa del clima troppo umido che impediva di essiccarli correttamente.

Soltanto nel febbraio 1895 egli raggiunse la sua nuova sede, il villaggio di Yunnan-fu; lungo la strada, di passaggio a Kunming, aveva aggiunto al suo bottino i semi di Primula malacoides. Gli rimanevano da vivere pochi mesi, ma nonostante fosse sempre più debole trovò la forza di continuare le sue esplorazioni; ancora il 9 dicembre spedì in Francia un invio di sette pacchi di piante; era l’ultimo: si spense infatti proprio l’ultimo giorno di quell’anno.  

  

  

Bibliografia

R. Benoist, “Les botanistes de Savoie”, Bulletin de la Société Botanique de France, 108, sup. 2, 1961, pp. 113-123

A. Franchet, Plantae Delavayanae: Plantes de Chine recueillies au Yunnan par l'Abbé Delavay, Paris, P. Klincksieck, 1889-90

Jean-Marie Delavay, https://archives.mepasie.org/fr/notices/notices-biographiques/delavay

J. Kilpatrick, Les pères de la botanique: la découverte des plantes de Chine par les missionnaires européens, Paris, Ulmer, 2016

Les missionaires français chasseurs de plantes: le père Delavay, http://www.rhododendron-azalee.fr/articles/article18a.pdf