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Nel nome di Carl Peter Thunberg

 

Thunbergia alata

Nel nome di Carl Peter Thunberg

 

Silvia Fogliato

 

Il genere Thunbergia (famiglia Acanthaceae) annovera alcune delle più amate piante rampicanti. Vigorose, di rapida crescita e molto decorative per l’esuberante fioritura, molte sono popolari piante da giardino, soprattutto dove il clima mite ne consente la coltivazione all’aperto. La più diffusa è probabilmente T. alata, nota con il curioso nome “Susanna dagli occhi neri” per i fiori dalle corolle aranciate o gialle con un caratteristico centro dal colore scuro. Di rapida crescita, è spesso coltivata come annuale anche in climi più rigidi. Di frequente coltivazione è anche T. grandiflora, nativa dell’India tropicale, una vigorosa rampicante sempreverde con grandi fiori blu-violetto. Tra le numerose specie di questo genere (sono circa un centinaio tra erbacee, arbusti e rampicanti, originari dell’Africa meridionale, del Madagascar e dell’Asia tropicale) vorrei ricordare ancora la spettacolare T. mysorensis, con lunghi racemi penduli di grandi fiori, con tubi bruno-rossicci e labbra superiori quasi erette, arcuate, simili a una bocca spalancata, color giallo vivo. Questo genere fu creato nel 1780 da un botanico conterraneo, Anders Johan Retzius, in onore del più grande degli allievi di Linneo, Carl Peter Thunberg (1742-1828), sulla base di T. capensis, una delle tantissime piante che egli aveva raccolto in Sud Africa, nella regione del Capo. Il suo nome è senz’altro familiare agli amanti delle piante anche grazie alle numerose specie che lo ricordano nel nome specifico: tra le più coltivate, ad esempio, Berberis thunbergii, molto apprezzato nelle siepi per le foglie purpuree; o ancora la precoce Spyraea thunbergii, che si appresta a celebrare la primavera con la sua cascata di fiori candidi. Sono solo due esempi delle oltre 250 specie vegetali (e alcune animali) cui il botanico svedese ha lasciato il suo nome.

 

 

Thunbergia misorensis

Del resto, avendo avuto la ventura di esplorare due delle regioni più ricche di flora e più ignote alla scienza del suo tempo, egli ha lasciato una profonda impronta nella nomenclatura botanica. Scopritore di dozzine di nuovi generi, ha tenuto a battesimo piante oggi comuni nei giardini come DeutziaWeigelaAucubaNandinaSkimmia.  Ha cambiato per sempre la conoscenza della flora del Sud Africa e del Giappone, guadagnandosi i lusinghieri appellativi di “Padre della botanica sudafricana” e “Linneo giapponese”.

Ma andiamo con ordine. Studente a Uppsala e allievo di Linneo alla fine degli anni ‘60, nel 1770 Thunberg aveva lasciato la Svezia per perfezionarsi in medicina e scienze naturali a Parigi, Leida e Amsterdam. In Olanda il suo talento fu notato da Johannes Burman (il medico e botanico che oltre trent’anni prima aveva ospitato Linneo) e dal figlio Nicolaas, i quali progettavano di inviare in Giappone un medico-naturalista che arricchisse di nuove piante gli orti botanici olandesi; in effetti, nell’ultimo quarto del Settecento l’isolazionismo del Giappone si era fatto meno severo e, grazie all’importazione di numerosi libri scientifici in lingua olandese, vi era vivo l’interesse per le scienze occidentali, soprattutto l’erboristeria e la medicina. Un medico con una buona preparazione botanica sarebbe stato il benvenuto e avrebbe potuto ottenere piante in cambio di informazioni scientifiche.

Ottimo medico e dotto naturalista della scuola linneana, Thunberg era il candidato ideale; tranne per un particolare: non era olandese. Ricordo infatti che, in seguito alla politica isolazionista detta sakoku, solo la Compagnia olandese orientale (VOC) era autorizzata a commerciare con il Giappone; poteva farlo solo nella minuscola base commerciale di Dejima (o Deshima), un isolotto artificiale appositamente costruito nella baia di Nagasaki, e tutto il personale doveva essere rigorosamente olandese.

Non era un ostacolo tale da impressionare né i Burman né l’avventuroso Thunberg: se non era olandese, avrebbe potuto diventarlo almeno abbastanza da apparire credibile a occhi e orecchie giapponesi. Sostenuti gli esami per essere assunto dalla VOC come chirurgo, Thunberg si sarebbe recato in Sud Africa, in modo da imparare la lingua e le abitudini olandesi soggiornando nella colonia del Capo. E ovviamente, mentre era sul posto, poteva approfittarne per esplorare la flora e la fauna di quella ricca regione naturalistica.

 

Plattegrond_van_Deshima

Ecco come la via per Nagasaki passò per Città del Capo. Nell’autunno del 1771, a bordo della nave Schoonzigt in veste di medico di bordo, Thunberg partì per il Capo, dove giunse il 16 aprile 1772. Vi sarebbe rimasto tre anni, divenendo di fatto il primo e più grande esploratore di quella regione floristica ricchissima di endemismi. Il primo contatto con la flora sudafricana avvenne in compagnia del condiscepolo Anders Sparrman (1748-1820), giunto nella colonia appena una settimana prima di lui, con il quale esplorò la baia del Capo, ma ben presto le strade dei due si divisero. Nonostante il nuovo governatore della Compagnia, Joachim van Plettenberg (a differenza del predecessore, Rijh Tulbagh, corrispondente di Linneo) fosse scarsamente interessato alle esplorazioni scientifiche e Thunberg fosse sempre a corto di denaro (si manteneva con il lavoro di medico della VOC e con l’aiuto e i prestiti da alcuni sponsor), egli riuscì a sfruttare al meglio la sua permanenza: ogni anno, dedicò il periodo settembre-dicembre (corrispondente alla primavera australe, la stagione delle piogge e il momento di massimo rigoglio della vegetazione) a una lunga spedizione naturalistica nell’interno; i mesi restanti erano utilizzati per raggranellare quattrini, riordinare le raccolte, scrivere le pubblicazioni scientifiche relative, compiere frequenti escursioni a breve raggio nei dintorni di Città del Capo (ad esempio, scalò la Table Mountain per almeno quindici volte).

Nella prima spedizione (7 settembre 1772-2 gennaio 1773) Thunberg, accompagnato da alcune persone legate alla Compagnia, si mosse dapprima verso occidente, fino alla base di Saldanha; quindi, raggiunte le montagne un grande giro verso est lungo l’altopiano lo portò a toccare la costa a Mossel Bay. Qui si inoltrò ancora verso est, raggiungendo il punto più orientale al fiume Gamtoos. La spedizione si muoveva lentamente, pernottando nelle fattorie della compagnia con carri trainati dai buoi, più adatti dei cavalli ad affrontare la scarsità d’acqua.

Al suo rientro a Città del Capo, Thunberg accompagnò in una breve escursione il naturalista francese Pierre Sonnerat, di passaggio in Sud Africa; ma soprattutto incontrò Francis Masson (1741-1805), il raccoglitore di piante inviato al Capo da Banks per conto dei Kew Gardens. I due, pur diversissimi per cultura e carattere, divennero amici e decisero di proseguire insieme l’esplorazione; in effetti, la collaborazione conveniva ad entrambi: Masson aveva dalla sua una maggiore disponibilità di mezzi, Thunberg l’eccezionale competenza scientifica, oltre a una migliore conoscenza del territorio. Dopo un breve viaggio di prova, in cui insieme al capitano Gordon esplorarono le montagne intorno al Capo (13-16 maggio 1773), nel settembre 1773 i due, accompagnati da quattro khoi, partirono per una lunga spedizione che si mosse grosso modo sulle tracce di quella precedente; tuttavia, spesso, mentre i khoi proseguivano con i carri per strade più battute e percorribili, i due naturalisti, a cavallo, affrontarono impervie scalate e passi disagevoli per esplorare la flora e la fauna delle montagne dell’altopiano. Impetuoso e talvolta imprudente, mentre guadava un torrente Thunberg rischiò di annegare nella profonda buca scavata da un ippopotamo, ma superò l’avventura con imperturbabile sangue freddo. Il punto estremo della spedizione fu questa volta il Sundays River. L’anno successivo i due amici si unirono per un’ultima spedizione (settembre-dicembre 1774) che si spinse all’interno, in direzione nord-ovest, per esplorare l’altipiano del Roggeveld, fino ad allora mai toccato dai naturalisti.

Durante la sua permanenza al Capo, Thunberg, raccoglitore estremamente accurato e coscienzioso, raccolse un’impressionante massa di esemplari botanici (ma anche animali, rocce, minerali, fossili): circa 3000 piante (ovvero il 30% delle specie dell’area), di cui almeno un migliaio ignote alla scienza. Insieme a numerosissime pubblicazioni più brevi dedicate a generi endemici della flora sudafricana, i suoi Prodromus plantarum capensium (1794-1800) e Flora capensis (1807-1823) furono per decenni i testi di riferimento per la conoscenza della flora sudafricana e gli guadagnarono il soprannome di “Padre della botanica sudafricana”.

Ma era tempo per Thunberg di lasciare il Sud Africa per la sua vera meta. Ora parlava fluentemente l’olandese (se ne servì anche in alcuni scritti scientifici) e degli olandesi aveva assunto persino le abitudini (ma non quella del fumo, che detestava). Nel marzo del 1775 si imbarcò come medico di bordo sulla Loo, diretta a Batavia, dove riuscì a farsi assegnare il posto di medico residente dello stabilimento commerciale di Dejima. Vi arrivò ad agosto a bordo della nave Stavenisse e vi rimase per circa quindici mesi (fino al novembre 1776). Agli europei era vietato lasciare l’isola (collegata alla terraferma da un ponticello strettamente sorvegliato e chiuso da una grata); così, all’inizio l’avventura giapponese di Thunberg fu estremamente frustrante. Le uniche piante che poté osservare furono quelle utilizzate come foraggio per il bestiame che gli olandesi tenevano sull’isola. Tuttavia, grazie al suo carattere aperto e allegro, riuscì a stringere amicizia con alcuni degli interpreti giapponesi - alcuni dei quali erano medici o naturalisti - che gli procurarono esemplari in cambio di informazioni mediche e scientifiche. Grazie ai suoi contatti giapponesi nel febbraio 1776 ottenne finalmente dal governatore di Nagasaki l’autorizzazione ad esplorare i dintorni, anche se sempre accompagnato da uno stuolo di interpreti, guardie e domestici, a cui era obbligato ad offrire il tè a proprie spese ad ogni punto di sosta.

Ogni anno, in occasione del Capodanno giapponese, il capo dell’agenzia olandese doveva recarsi ad Edo (l’odierna Tokio) per rendere omaggio allo Shogun. Nel 1776 della delegazione fece parte anche Thunberg; durante il lungo e lento viaggio di circa 1000 km - gli ospiti europei erano trasportati in lussuose portantine - poté così osservare gli usi e i costumi del paese e raccogliere numerosi esemplari botanici; unico rammarico: i contadini giapponesi erano coltivatori così solerti che difficilmente nei campi si trovavano erbacce. Dopo aver toccato Osaka e Miyako (oggi Kyoto), ad aprile la delegazione giunse a Edo. Qui Thunberg era stato preceduto dalla sua fama di sapiente medico e poté incontrare, tra gli altri, il medico personale dello Shogun, Katsuragawa Hoshu che, insieme all’amico Nakagawa Jun-an, stava traducendo in giapponese un importante testo olandese di anatomia; furono tre settimane di intensissimi colloqui scientifici su diversi argomenti, nel corso dei quali, tra l’altro, Thunberg ebbe modo di introdurre in Giappone il mercurio per curare la sifilide. I due medici giapponesi - con i quali Thunberg rimase in contatto anche dopo il ritorno in Svezia - gli procurarono piante informandolo sui loro nomi giapponesi; a sua volta, lo svedese riferiva i nomi olandesi e latini. Dopo essere stato ricevuto dallo Shogun il 18 maggio, il gruppo ripartì per Nagasaki; a Osaka Thunberg trovò un piccolo giardino botanico dove acquistò diverse piante che poi spedì a Amsterdam in tinozze piene di terra. Il 29 giugno erano di nuovo a Deshima; durante l’estate, oltre a riordinare le collezioni raccolte durante il viaggio, ebbe modo di compiere diverse escursioni nell’area di Nagasaki. Alla scadenza dell’incarico, avrebbe potuto rinnovarlo, ma, viste le condizioni di estrema costrizione in cui era costretto ad operare, preferì rinunciarvi, per rientrare in patria, dove giunse nel marzo del 1779, dopo nove anni d’assenza.

 

Thunberg il Linneo giapponese

La sua vita fu ancora lunga e produttiva. Il risultato del suo soggiorno giapponese sarà Flora japonica (1784), la prima descrizione sistematica della flora e della fauna del Giappone, un testo innovativo e influente, che gli guadagnerà il soprannome di “Linneo giapponese”. Poiché più che la flora spontanea ebbe modo di osservare ciò che cresceva nei giardini e nei campi, curiosamente molte delle piante da lui battezzate con il nome specifico japonicus, non sono autoctone giapponesi, ma piuttosto piante orticole di origine cinese importate da secoli nel paese del Sol Levante.

Sempre nel 1784, alla morte del figlio di Linneo, ottenne la cattedra di medicina e scienze naturali che era stata del grande maestro, incarico che mantenne fino alla morte (1828). La sua attività accademica non è meno formidabile della carriera di ricercatore; unico tra gli allievi di Linneo, seppe conciliare la ricerca sul campo, dove, come si è visto ottenne risultati eccezionali per quantità e qualità, con le pubblicazioni scientifiche (se ne contano più di quattrocento). Come insegnante, seguì quasi trecento studenti e pubblicò altrettante tesi. Ma il suo merito più grande fu la ricostruzione dell’Orto botanico di Uppsala, quasi in abbandono dopo gli anni del lungo declino di Linneo e la debole gestione di Carl il giovane. Considerato il botanico più importante del suo tempo, fu ovunque onorato e divenne membro di oltre sessanta società scientifiche, in Svezia come all’estero.

 

 

Bibliografia

L. Allorge, La fabuleuse odyssée des plantes, Lattès 2003

Carl Peter Thunberg, https://www.ikfoundation.org/ifacts/carlpeterthunberg.php

M. e J. Gribbin, Cacciatori di piante, Cortina 2008