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Una tazza di caffè con Linneo, ovvero della nomenclatura polinomia

 

Hortus Clifforrtianus

Una tazza di caffè con Linneo, ovvero della nomenclatura polinomia

 

Silvia Fogliato


Nel 1736, Linneo (1707-1778), allora ventinovenne, per sbarcare il lunario e pagarsi gli studi in Olanda entra al servizio del ricco Georg Clifford, direttore della Compagna Olandese delle Indie Orientali che gli chiede di dirigere il suo orto botanico privato e di classificarne le piante. Magnificamente illustrato da Georg Dyonisius Ehret e Jan Wandelaar, il catalogo sarà pubblicato nel 1737 con il titolo Hortus Cliffortianus


L’opera è interessante perché è una sorta di ponte tra la botanica prelinneana e quella linneana, che farà ufficialmente il suo esordio quindici anni dopo con Species Plantarum (1753). Le piante già sono classificate sulla base del sistema sessuale, ma la denominazione binomiale ancora manca. Infatti ogni specie è assegnata a un genere e contrassegnata da una breve frase in latino, che ne descrive le caratteristiche distintive. Seguono i sinonimi usati dagli autori precedenti, informazioni sulla distribuzione e talvolta una sintetica descrizione. 


Tra le esotiche rarità coltivate nelle serre di Hartecamp, la tenuta di Clifford nei pressi di Haarlem, c’era anche una pianta di caffè, specie che dunque compare tra quelle descritte nel volume. Inclusa nel genere Coffea, è designata unicamente dal nome generico, non seguito dal nome-descrizione; vengono poi elencati dodici sinonimi. Leggerli è come fare un breve viaggio nei sistemi di nomenclatura che si erano affermati nella letteratura botanica prima che Linneo imponesse la denominazione binomia.


La prima possibilità, ovviamente, è usare un nome volgare, come fa verso la fine del Cinquecento l’italiano Prospero Alpini (1553-1617) che riporta la denominazione sentita in Egitto, bon o ban, ripresa qualche anno più tardi da Jean Bauhin; sempre nel Cinquecento il francese Jacques Dalechamps lo chiama coffe, mentre nel Seicento l’inglese Plukenet coffe tree. Ecco che già emerge il problema dei nomi comuni: variano da una lingua all’altra, da un paese all’altro, anzi all’interno dello stesso paese. La stessa pianta ha molti nomi, e a volta lo stesso nome è usato per piante diverse.


Meglio dunque il latino, all’epoca conosciuto da ogni persona colta, perciò lingua universale, che proprio perché morta non appartiene a questo o quel paese, non privilegia nessuno e non è più soggetta a evoluzione e mutamenti. Negli autori del Cinquecento, come Mattioli, il nome latino è spesso una singola parola (denominazione monomia), come ad esempio MorusSycomorusPseudosycomorus. Ma come fare quando di una pianta ci sono più “tipi” (di specie ancora non si parla)? Ecco allora che incomincia ad affacciarsi l’idea di una denominazione composta da due parole (denominazione binomiale), un po’ come il nome di famiglia seguito dal nome personale che negli stessi anni viene imposto da Concilio di Trento; ed ecco che ancora in Mattioli troviamo, ad esempio, Dracunculus maior, Dracunculs minor, Dracunculus aquaticus.

  

Coffea arabica

Tuttavia la soluzione che va per la maggiore è un’altra (non a caso, nessuna denominazione binomiale compare nei sinonimi di Coffea elencati da Linneo): la denominazione polinomia o nome-frase, costituita dal nome generico seguito da vari elementi che distinguono quella specie dalle altre. Ed ecco un po’ di nomi polinomi del caffè (dal 1753 ufficialmente Coffea arabica), in ordine di apparizione:
- 1596, Caspar Bauhin: Evonymo similis aegyptiaca, fructu baccis lauri similis, “Pianta egizia simile all’evonimo, con bacche simili al lauro”;
- 1629, John Parkinson: Arbor Bon, cum fructo suo Buna, “Albero Bon, con il suo frutto Buna”;
- 1691, John Ray: Coffe frutex, ex cujus fructu fit potus, “Albero da frutto Coffe, dal cui frutto si fa la bevanda”;
- 1713, Antoine de Jussieu: Jasminum arabicum, lauri folio, cuis semen apund nos Coffé dicitur, “Gelsomino d’Arabia, con foglie dell’alloro, il cui seme presso di noi è detto Coffé”;
- 1724, Caspar Commelijn: Jasminum arabicum, castaneae folio, flore odoratissimo, rubro fructu (qui Coffé) duro, “Gelsomino d’Arabia, con foglie del castagno, fiore profumatissimo, frutto rosso duro (che [è detto] Coffé)";
- 1727, Hermann Boerhaave, Jasminum arabicum, castaneae folio, flore albo odoratissimo, cuius fructum Coffé in officinis dicitur belgis, “Gelsomino d’Arabia, con foglie di castagno, fiore bianco profumatissimo, il cui frutto è detto Coffé nelle botteghe delle Fiandre".
I problemi della denominazione polinomia sono evidenti: in primo luogo, non è affatto pratico imparare e usare un nome-descrizione di molte parole; inoltre, come si è visto da questi pochi esempi, non c’erano regole per la formazione e ciascun botanico sceglieva liberamente quali e quanti elementi nominare; per i generi con molte specie, poi, i nomi rischiavano di allungarsi smisuratamente. Insomma, un caos. A cui Linneo metterà fine di lì a poco imponendo la denominazione binomiale.

 

 

 

Bibliografia
C. von Linné, Hortus Cliffortianus : plantas exhibens quas in hortis tam vivis quam siccis, Hartecampi in Hollandia, coluit ... Georgius Clifford ... reductis varietatibus ad species, speciebus ad genera, generibus ad classes, adjectis locis plantarum natalibus differentiisque specierum. Cum tabulis aeneis, Amstelaedami [Amsterdam]:[s.n.],1737
C. Jarvis, Order Out of Chaos: Linnaean Plant Names and Their Types, Linnean Society of London; London, the Natural History Museum, London, 2007