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Com'è fatto un nome botanico

 

Systema Naturae

 

Com'è fatto un nome botanico

 

Silvia Fogliato

 

Com’è fatto un nome botanico?

Dal 1753, quando Linneo ne impose definitamente l’uso, il nome botanico che contrassegna ogni pianta è una denominazione binomiale (o binomia), formata cioè da due parti:

  • il nome generico, scritto con l’iniziale maiuscola (poniamo Rosa);
  • il nome specifico, scritto con l’iniziale minuscola (poniamo glauca).

Nei testi a stampa, il nome botanico va scritto in corsivo; la lingua in cui è formulato è il latino, anche se molti nomi sono di derivazione greca e qualcuno arriva da altre lingue.

Il nome generico è un sostantivo (maschile, femminile o neutro). Può essere formato in vari modi: un nome classico, latino o greco (Rosa, Myrrhis), spesso ricavato da Teofrasto, Dioscoride, Plinio; un prestito da altre lingue più o meno latinizzato (Nelumbo, dal singalese; Petunia, da una lingua amerinda; Luffa, dall’arabo); un nome mitologico, derivato da divinità o eroi della mitologia classica (Adonis, Hebe, Daphne, Achillea); un nome descrittivo composto, formato in genere a partire da basi greche (Symphoricarpos, “con i frutti raggruppati”) ma anche latine (Cimicifuga, “che tiene lontane le cimici”); un nome celebrativo, formato a partire dal cognome (Caesalpinia) o talvolta dal nome (Victoria) di una persona più o meno latinizzato.

Meno frequenti sono i nomi geografici (Canarina, Azorella, Arabis); in alcuni casi, i botanici sono anche ricorsi a anagrammi (Tellima, da Mitella; Sibara, da Arabis) o nomi del tutto arbitrari (come Zyzyxia, creato apposta per essere l’ultimo della lista).

Il genere grammaticale del nome generico conserva quello del latino o del greco; possiamo spesso riconoscerlo dalla terminazione: i nomi in -us sono maschili (Centranthus ruber), con la notevole eccezione degli alberi, femminili (Pinus nigra); quelli in -a, -ago, -odes, -oides, -ix, -es sono femminili (Viola odorata, Plantago lanceolata); quelli in -um, -ma, -dendron, -e sono neutri (Rheum palmatum, Phyteuma orbiculare). Qualche problema in più con terminazioni come -is (in genere femminili, anche quando il termine originario era maschile: Orchis purpurea) e -on (prevalentemente maschili, ma talvolta neutri: Brachychiton acerifolius, Ipheion uniflorum).

Il nome specifico è abitualmente un aggettivo, che concorda nel genere grammaticale con il nome generico (Halothamnus glaucus, Rosa glauca, Delphinium glaucum). Il tipo più frequente è un epiteto descrittivo che richiama caratteristiche come la forma delle foglie angustifolius, il portamento repens, le dimensioni giganteus, il colore dei fiori o delle foglie albus, glaucus, ecc. Frequenti sono anche gli epiteti geografici che fanno riferimento all’area di origine o al luogo di prima raccolta (chinensis). Anche per il nome specifico è frequente l’omaggio a una persona, spesso lo scopritore o il primo descrittore, sia nella forma di aggettivo (sieboldianus) sia in quella di nome al genitivo (sieboldii).

Più raramente alcuni epiteti specifici sono a loro volta dei nomi (Campanula trachelium, Daphne mezereum), in funzione di apposizione; mantengono quindi un genere grammaticale proprio, che può essere differente da quello del nome generico. Anche alcuni nomi specifici non celebrativi possono essere al genitivo, soprattutto plurale, come Agave potatorum, “agave dei bevitori” oppure Dipsacus fullonum, “cardo dei lanaioli”.

Talvolta si aggiunge un ulteriore nome per sottospecie, varietà e forme, solitamente un aggettivo, sempre preceduto da una sigla che ne indica la categoria, nel modo seguente: Echium vulgare subsp. pustulatum; Pseudotsuga menziesii var. glauca; Vinca minor f. alba.

Regole particolari valgono per i nomi degli ibridi. Gli ibridi interspecifici (ovvero tra due specie dello stesso genere) possono essere indicati in due modi: i nomi dei due genitori separati dal simbolo di ibridazione × (Rosa arvensis × R. gallica); un proprio nome specifico, sempre preceduto dal medesimo simbolo (Rosa × alba). Anche per gli ibridi intergenerici (ovvero tra due specie appartenenti a generi diversi) si può ricorrere ai nomi dei genitori (Fatsia japonica × Hedera helix) oppure a un nome generico proprio, preceduto dal solito simbolo e formato da una crasi tra i nomi generici dei genitori (× Graptoveria, nome che designa i numerosi ibridi tra Graptopetalum e Echeveria). Quando i generi coinvolti sono molti, come succede in certe orchidee, si può anche ricorrere a un nome del tutto autonomo (× Sanderara, nome degli ibridi tra Brassia, Cochlioda e Odontoglossum, in onore dell’orchidologo H.F.C. Sander).

Al di fuori della nomenclatura botanica (non li troverete nei repertori come Plant list, Plants of the World o Tropicos) sono considerati i nomi di cultivar e ibridi orticoli; vanno scritti in tondo e posti tra virgolette singole, non doppie come spesso si vede (Rosa rugosa ‘Hansa’); sono regolati da un codice proprio e non dovrebbero ricorrere al latino (anche se le eccezioni sono non poche).

Ancora al mondo orticolo ci portano le chimere, ovvero le piante create tramite innesto tra specie diverse; il loro nome è preceduto dal simbolo +, come vediamo in + Laburnocytisus adamii, prodotto dell’innesto tra Chamaecytisus purpureus e Laburnum anagyroides.

Infine, nelle pubblicazioni scientifiche il nome botanico è sempre seguito dalla sigla dell’autore, ovvero del botanico che per primo lo descrisse e pubblicò in una pubblicazione valida: Amorphophallus titanum Becc., ovvero Odoardo Beccari, il botanico fiorentino che scoprì e pubblicò per primo questa specie.

 

Bibliografia

D. Gledhill, The names of Plants, Cambridge, Cambridge University Press, 2008

L. Harrison, Latino per giardinieri, Milano, Guido Tommasi editore, 2014