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A proposito di tutto quell’odio che circola in rete

 

 

 

ignoranza e odio

 A proposito di tutto quell’odio che circola in rete

  

 Luciano Luciani

 

 Caro direttore,

 non mi intendo di social media, che frequento poco e in maniera disordinata, e neppure di sentimenti estremi come l’odio “la   catena più grave insieme e più abbietta”, per dirla col mio amato Foscolo, “con la quale l’uomo possa legarsi all’uomo”. Ho   l’impressione di non aver mai odiato nessuno. Forse, in gioventù, l’ingiustizia, intesa come negazione dei diritti di tutti secondo   ragione e morale: anche gli ingiusti, però, gli operatori d’ingiustizia, mi hanno fatto sempre una gran rabbia insieme a una gran   pena. Quindi, come vedi, non sono la persona più adatta a intervenire sulla questione: essa però, si va configurando in maniera   talmente insopportabile e inquietante, da non poter fare a meno di partecipare a te e alla tua testata alcune modeste   osservazioni nella speranza di suscitare un minimo di discussione tra i Lettori più reattivi e volenterosi.

 Sgomentano gli epiteti volgari, i commenti razzisti e sessisti, le considerazioni rozze e qualunquiste che inquinano - con un   termine desueto direi bruttano - quella nuova frontiera di libertà rappresentata dalla “rete”. Possibile che anche questa   straordinaria opportunità, nata dalla intelligenza degli uomini, debba soccombere investita da uno tsunami di grossolanità,   trivialità, bassezze? Possibile che la moneta peggiore debba sempre scacciare la migliore? Perché, lo sappiamo, le parole sono   comunque pietre: fanno male e preparano il peggio. E spesso, troppo spesso - la Storia è lì a insegnarcelo - alle parole seguono   i fatti: tragici e terribili come quelli che hanno percorso e lacerato l’Europa di 70/80 anni fa.

 L’impressione che si ricava da questa diffusione dell’hate speech, discorso d’odio, è che i barbari, portatori di un programma   tanto confuso quanto rabbioso che rifiuta ogni competenza e ogni autorità culturale e morale, siano alle porte, premano e siano sul punto di entrare nella fortezza della coerenza al dovere del bene: forse non è così, almeno non ancora. E poi, siamo sicuri che tale eventualità rappresenti davvero il male assoluto? Certo, siamo di fronte a fenomeni di rinselvatichimento di massa che - è un’opinione condivisa da molti - coinvolge soprattutto larghi strati giovanili: d’altra parte cosa puoi aspettarti da giovinotti/e cresciuti a overdose di televisione, sala giochi, tanto pallone e miti pallonari, carne da discoteca o da curva sud, aspiranti pueri aeterni con scarsa voglia di crescere? Vogliamo provare a ragionare anche di questo cercando, ognuno nei limiti delle proprie competenze e possibilità, di contribuire a rimuovere le condizioni di solitudine e disagio, rabbia e impotenza in cui tanti, soprattutto giovani, ci appaiono oggi ristretti? Ovvero, mi permetta il gioco di parole: provare a disinnescare le cause dell’odio sociale per non ritrovarcelo poi sui social. E qui entrano in gioco questioni strategiche: una discutibile “buona scuola” che abbiamo accettato tutti troppo passivamente; le cifre scandalose della disoccupazione giovanile; la povertà di iniziative e servizi pubblici per contrastare una larga e preoccupante “perdita di senso” che oggi tocca tutti, ma si accanisce soprattutto sui più deboli, i più vulnerabili, che spesso sono anche i più giovani... E qui mi fermo perché la lista potrebbe davvero essere troppo lunga.

Mi consenti, direttore, di suggerirti un modesto spunto di riflessione? E se dietro le manifestazioni d’intolleranza di molti, troppi, ci fosse, comunque, una distorta, stranita, mal indirizzata, voglia di partecipazione? Una richiesta, formulata male, in maniera rancorosa, di “esserci”, di concorrere al dibattito sia pure con i limitati mezzi intellettuali disponibili, con la “grana grossa” dei propri pensieri? Riflettiamoci. Forse i barbari alle porte potranno essere fermati davvero più mettendo mano agli strumenti per una loro “civilizzazione” che approntandosi a scomuniche e demonizzazioni. Insomma, una Graecia capta ferum victorem cepit: ecco, mi permetto di pensare a una cosa così.