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La singolarità fisica del vivente

La singolarità fisica del vivente

di Giuseppe Longo


 

Giuseppe Longo, matematico
Giuseppe Longo, Matematico

Sono quasi imbarazzato a dover discutere accanto al prof. Omodeo, con una vita da  naturalista lunga ed originale, e dover poi prender spunto da questo numero speciale dedicato al primo tentativo di un articolo di biologia, scritto da me con un giovane di cui dirò qualcosa alla fine se c’è tempo. Mi fa tuttavia particolarmente piacere perché nel tentativo che da allora ho iniziato con dei colleghi - dei fisici, dei biologi, dal 2002 in poi, questo è primo testo prodotto, nel 2004 - è un primo modo di aprirsi al dialogo con il naturalista, con il biologo che ha uno sguardo originale, come è doveroso, sui fenomeni del vivente, da parte da chi viene da scienze (più) esatte. 

Ho cercato, in quell’articolo e poi nei lavori successivi, di non perdere mai la modestia necessaria a chi fa lavori di tipo scientifico, e in particolare a chi si rivolge ad un’altra disciplina, ancor più quando quest’altra disciplina è la Biologia. E devo dire che per questo ho sempre in mente la lettera che Einstein scrisse a Schrödinger dopo aver letto What is life, librino molto famoso del 1944. Einstein scrive: “Caro Erwin vedo che ti sei messo a studiare delle questioni nettamente, infinitamente, enormemente più difficili di quelle che abbiamo avuto modo di discutere in Fisica quantistica e nella teoria della relatività”. Effettivamente lo stato vivente della materia, questo bel termine che ho imparato da Marcello Buiatti, è estremamente difficile da analizzare e richiede uno sguardo di particolare complessità: questo deve essere il riferimento alla riflessione interdisciplinare che in un gruppo di persone cerchiamo di fare alla Scuola Normale dove lavoro a Parigi anche con colleghi di altre istituzioni. Riflessione difficile, che si riesce a fare, ma che va difeso perché non è scontato neppure in Francia, vedendo le difficoltà dei giovani rispetto a chi lavora in settori di consolidato prestigio disciplinare.
Il discorso da fare ha molte assonanze con quel che diceva Marcello e svilupperò un suo spunto in particolare: la difficoltà immediata per chi proviene da “Scienze esatte”, tipo Matematica o molto matematizzate, è di trovare che in Biologia, non appena propone una legge, un’invariante, una teoria, subito si trova il contro-esempio. Questo è una osservazione di molti e ripresa da Evelyn Fox Keller fisica e interessantissima filosofa della Biologia. Effettivamente il problema si pone: i contro-esempi in Matematica, in Fisica teorica distruggono la teoria, mentre in Biologia ci vivono insieme. Questo rapporto fra tesi e contro-esempio, a mio avviso, è intra-teorico, è dentro la proposta teorica: Edelman dice cosa, secondo lui, è un oggetto complesso. Pensiamo ad un organismo vivente, al cervello in particolare: un organismo è complesso quando allo stesso tempo è ordinato e disordinato, regolare e irregolare, variante e invariante, stabile e instabile, differenziato e integrato... tutto queste cose insieme danno la complessità di un organismo, di un cervello tipicamente. Aggiungerei poi: limitato e aperto, come la membrana di una cellula, critico, puntuale cioè nella sua fenomenalità, ed esteso, con un tempo lineare, come in fisica, ma anche soggetto a biforcazioni con ritmi propri; è soggetto a fenomeni di entropia e di anti-entropia (questi sono lavori più recenti che ho fatto, scaricabili). Questo richiede sempre uno sguardo teorico che sappia fare una proposta concettuale e il suo opposto, che sappia far convivere le due cose; per questo a mio avviso non ha senso la proposta di una “legge” in Biologia, deve esserci sempre un quadro teorico che faccia convivere la legge e la sua negazione che si intersecano in qualche modo compatibile, come cercherò di spiegare.
In uno sguardo molto sommario, ne dò solo un esempio, ma molto importante: il passaggio che c’è da Buffon e Lamark a Darwin. Buffon e soprattutto Lamark - che era un progressista, un rivoluzionario - dice che le specie hanno un progresso, si espandono, crescono secondo una linea evolutiva che va adattandosi. Cosa aggiunge Darwin? Aggiunge l’opposto dell’espansione della vita, aggiunge la morte data della selezione. La sua proposta teorica contempla l’espansione, necessaria espressione della vita, ed il suo opposto: la morte. Questo, il gioco fra due concetti opposti da la forza della sua teoria che è data dalla presenza appunto di due concetti opponentesi. In generale credo all’interno di ogni teoria del vivente, nella teoria stessa dico bisogna accomodare, dar corpo, ad opposizioni concettuali. La cosa interessante è che poi il darvinismo riesce anche a applicarsi all’interno dell’organismo: la teoria Edelmann-Changeux del sistema neuronale (darwinismo neuronale), del sistema immunitario rende intelligibile anche l’attività all’interno dell’organismo.
Tutto ciò comporta una difficoltà concettuale immensa per chi viene dalla Matematica o dalla Fisica, in cui ciò non succede proprio. Forse la Fisica quantistica può dare un insegnamento quando si inventa la particella e l’anti-particella, ma il contesto è molto diverso. Per noi è stato comunque ispiratore perché negli ultimi articoli con Francis Bailly parliamo appunto di anti-entropia (come quantificazione matematica della organizzazione/organizzarsi del vivente) ispirati da una contrapposizione suggerita dalla Fisica, ma in quadri ben diversi.
Vediamo ora brevemente un altro problema che trova il matematico che si avvicina alla Biologia: innanzi tutto egli trova dei settori di grande rilievo, di grande interesse ben consolidati. Ci sono degli ambiti in cui metodi di tipo matematico o di tipo fisico-matematico hanno un indubbio successo; penso alla fillotaxis, alla morfogenesi, bellissimi temi discusse da d’Arcy-Thompson, Turing e molti altri. Se uno poi cerca di capire dov’è che queste metodologie hanno successo, aldilà delle ambizioni eccessive di René Thom che però ha gettato una luce straordinaria su alcuni aspetti dei viventi, se guardate da vicino, gli oggetti di studio sono sempre gli organi, nelle piante in particolare, od anche i polmoni, il sistema vascolare; tipicamente, la loro struttura frattale. Si può calcolare esattamente la dimensione frattale di tali sistemi: sono luoghi di scambio energetico in cui si ottimizza, nel caso del polmone, lo scambio in volume ristretto tra un superficie con l’esterno, quindi si ottimizza l’azione, cioè l’energia nel tempo, lo stesso il sistema vascolare (in un volume); e come nella fillotaxis, se ne deducono portentose serie di Fibonacci, per le piante etc. Si riesce a, capire grazie alla Fisica, uno scambio energetico che viene ovviamente ottimizzato dal vivente, che nell’organo si adegua, è subordinato, ad una - magari, ad un sola! - legge fisica. Però di nuovo è un organo che fa da oggetto di studio.

Poi ci sono altri che fanno un eccellente lavoro, per me molto meno interessante, sulle reti, reti cellulari, reti di neuroni, perché no? Anche lì si capisce qualcosa, e badate che l’osservabile cambia, non è più l’energia, non è più scambio di energia, è un gradiente di energia, è quello che chiamano informazione, una variazione di energia, basta a cambiare l’osservabile e cambia totalmente la matematica che si utilizza. Si parla appunto di reti cellulari di vario genere, si dicono alcune cose, ma se ci si fa caso sono solo parti di organi o tessuti, o dunque reti di cellule ciò di cui ci si occupa. Queste due comunità (morfogenesi e reti) non si parlano neppure: il fatto di cambiare l’osservabile muta il metodo, muta la comunità, ma si dà il caso però che l’organismo è fatto di organi che contengono tessuti, che contengono le cellule che a loro volta sono organismi.
Questi sguardi del matematico, che in alcune cose sono molto interessanti, (soprattutto nella fillotaxis, la morfogenesi etc.), sono sezioni di un livello di organizzazione specifico, quando invece il problema è proprio l’unità nella differenziazione, nell’integrazione, nei livelli di organizzazione: è lo sguardo globale sull’organismo. Si pone il problema sistemico cioè quando si tratta dell’organismo e della specie. Il fatto di isolare un livello su cui si possono dire alcune cose, va poi visto con qualche riserva perché il collega competente, che studia la fillotaxis, che calcola la dimensione frattale del polmone, lui stesso riconosce poi che non è proprio così, perché si può calcolare la dimensione frattale in base a dei principi puramente di scambio energetico, però se si osserva da vicino si vede che il polmone è tutto irregolare, non segue veramente una stessa dimensione frattale. E lo studioso attento capisce che non è un difetto, è lì il nodo, non è un difetto come sarebbe per una struttura fisica, dato che nel polmone la frattalità contribuisce a filtrare l’aria, a filtrare l’ossigeno, rende il polmone di un individuo più adatto in una parte o nell’altra, cambiando la frattalità: questa è la variabilità che conta nel vivente, componete anche ontogenetica della adattabilità. Poi c’è la variabilità interindividuale per cui questa frattalità dà diverse forme di adattabilità. Ecco l’altra differenza radicale: anche in questo caso si possono mettere in evidenza delle invarianti di tipo fisico-matematico, ma poi l’intellegibilità deve arricchirsi della variabilità, che non è un accidente, ma è la cosa sostanziale nel fenomeno del vivente.
E allora il nodo dov’è? Che la Matematica, che è una scienza delle invarianti, delle trasformazioni che le preservano, deve però fermarsi con questo sguardo critico per rimanere a operare ad un livello di organizzazione più basso di quello dell’organismo vivente nella sua unità.
Non vi dico poi l’Informatica, da cui vengono prese metafore totalmente sbagliate; l’Informatica non solo è una scienza di tipo matematico, quindi una scienza degli invarianti e delle trasformazioni che preservano, ma per di più è una scienza dell’iterazione identica: il calcolatore è una macchina per iterare, dalla ricorsione primitiva, inventata nel ’31 da Kurt Gödel e ripresa da Alan Turing, alla costruzione del software (affidabilità, protabilità) è fatta per iterare, sempre la stessa cosa in modo esattamente identico: quando voi aprite un file o qualsiasi azione facciate, se non rifà anche per la millesima volta la stessa identica cosa, non siete certo contenti; gli informatici sono così bravi perché riescono a far iterare la macchina anche in rete, dove non è facile perché ci sono problemi di sincronizzazione spazio-tempo. I principi costitutivi di questa macchina e dell’attività di programmazione (l’iterazione identica) sono l’esatto opposto del vivente in cui la cosa più importante è che una cellula non sia identica alla cellula madre sia per motivi evolutivi sia per motivi ontogenetici. Questo è lo sforzo che stiamo cercando di fare già da alcuni anni, un raffronto tra principi costitutivi del sapere. Quindi una metafora come quella del programma si porta appresso implicitamente, e questo è gravissimo, tutto un universo di determinazione e di principi costitutivi del sapere che deformano lo sguardo su un altro ambito in cui bisogna pensare l’opposto. Se c’è una cosa diversa dal vivente è questa macchina da noi inventata, prodigio della tecnica, che itera sempre, cosa difficilissima anche in Fisica, il che è l’opposto dei principi costitutivi della vita. Per questo il primo scritto è stata l’avventura di chi, avvicinandosi alla Biologia, trova fuorviante l’uso di queste metafore.
L’illustre biologo molecolare e collega Danchin, per altro bravissimo, insiste da anni, come tanti, e parla di “sistema operativo”, cerca di individuare il “compilatore” nel proteoma, cose incredibili. Ci siamo accorti che tutta questa informatica era in primo luogo cattiva informatica. Infatti quando racconto queste cose ai colleghi di Informatica - l’ho fato per un paio di anni - capiscono subito: ma cosa dicono costoro?

I riferimenti informatici sono sbagliati, si parla di programma quando, per esempio, nei mammiferi il 60% delle fecondazioni falliscono. Vi rendete conto, per fare un semplice esempio, che si tratta di una programmazione è catastrofica, una offesa alla teoria ed alla pratica della programmazione, che sono cosa seria, mentre in biologia questo è fondamentale perché i percorsi falliti hanno possibilità di avere successo in una situazione diversa.
Siamo quindi in un ambito totalmente diverso. Il cambiamento riguarda la scelta dei principi del proprio sapere, quando ci si rivolga ad un altro ambito teorico e il metodo di ragionamento che deve valere all’interno di un’altra disciplina scientifica. Negli anni successivi, dopo questa fase critica, non abbiamo fatto il tentativo di trasferire gli stessi principi, ma il cercare di cogliere alcuni atteggiamenti di metodo scientifico che sono violati da pratiche pseudo-teoriche, interne alla biologia. Il “dogma centrale”, il principio “un gene - una proteina o un enzima” non sono, dal punto di vista della Fisica, attendibili: secondo me il “dogma centrale” non è solo stato falsificato in modo importante dalla metilazione, dal “alternative splicing” del 2000, 2001; ormai quasi nessuno ci crede perché ci sono importanti evidenze empiriche contrarie. No, secondo me, il dogma centrale era falso già nel ’58! Era falso nel ’58 perché quando è stato proposto, già c’erano insegnamenti radicalmente diversi nella Fisica del XX secolo: la visione correlata al “dogma centrale”, la diffusione di qualcosa, qualunque cosa sia, in modo unidirezionale e lineare, di tipo laplaciano - tanto è vero che poi permette di parlare di programma e la nozione di programma è laplaciano nel senso che la determinazione della macchina è previsibile - nel 1958 era contro 70 anni di Fisica. In Fisica c’è stato Poincaré, nel 1890, che studiò i sistemi dinamici, in cui si capisce che in presenza di interazioni multiple, in un sistema deterministico, impedisce, dimostrabilmente, la linearità e la previsibilità; e la non-linearità è al cuore della determinazione impredittible, quindi non programmabile. Poi c’è stata la Relatività. Non c’entra niente con la biologia molecolare? Certo che c’entra con il tipo di sguardo della Relatività, con l’insegnamento epistemologico della Relatività, in cui si rimpiazza la direzionalità causale col tessuto delle correlazioni immerse in uno spazio: deformando lo spazio, si deforma il tessuto delle correlazioni e il tessuto delle correlazioni costituisce lo spazio stesso. Un insegnamento come il “dogma centrale” è contro l’insegnamento epistemologico della relatività, anche se si parla di astrofisica, ma si tratta di capire il tipo di insegnamento, di metodo.
Questo è stato il mio primo approccio: ma come fanno a dire queste cose persone che pretendono di essere fisicalisti in Biologia e informatici in Biologia, quando questi percorsi sono palesemente sbagliati dal punto di vista della Fisica e dell’Informatica? Poi nel periodo successivo abbiamo cercato di mettere in evidenza delle dualità concettuali piuttosto che portare, trasferire metafore pericolosissime con metodi sbagliati; abbiamo cercato di pensare a come correlarsi, in particolare alla Matematica e alla Fisica in un modo che tenga conto della ricchezza dell’esperienza scientifica della Matematica e della Fisica, ma cambiando quel che va cambiato. Una evoluzione fisica, classica e relativistica, è specifica, nel senso di seguire una geodetica; è dettata da un grande principio di simmetria che è il principio geodetico. Inoltre, mentre le traiettorie sono specifiche, gli oggetti sono generici: dai tempi di Galileo un grave vale l’altro, cioè un oggetto fisico è generico, dal punto di vista dell’esperimento e della teoria, si può rimpiazzare con qualsiasi altro. In Biologia si direbbe che accade il contrario: le traiettorie sono generiche, le traiettorie evolutive, cioè, sono dei possibili, mentre gli oggetti sono specifici perché sono individuati; bisogna proprio rovesciare le modalità dello sguardo del fisico. Un’altra cosa su cui abbiamo scritto l’articolo più recente: in Fisica in generale - ma è ben chiarito dalla Fisica quantistica, questa è una cosa un po’ tecnica però importante - l’energia è un operatore, mentre il tempo è sempre un parametro. Cioè l’energia opera sulla funzione di stato, la trasforma, e il tempo invece è un parametro che appare nella funzione. In Biologia è l’opposto, nel senso che l’energia è un parametro - uno mangia e cresce, certo, l’energia è importante - ma non basta, per esempio: una donna quanti watt consuma in una gravidanza? Boh, come una lampadina, ma poi esce fuori un oggetto di incredibile livello di organizzazione e questo nel tempo. Abbiamo cercato di capire processi evolutivi e embriogenetici usando il tempo come operatore e l’energia come parametro, rovesciando quel tipo di sguardo rispetto alla Fisica (quantistica). Va visto il tempo come produttore di organizzazione, perché è questo il problema che va posto: uno sguardo sull’organizzazione in sé, come osservabile propria del fenomeno biologico.
Ora devo dire che, dopo il primissimo articolo del 2004 che è stato tradotto dagli amici di Naturalmente ho avuto la fortuna che tutto un filone di biologi sistemici (che guardano appunto al sistema), si sono interessati al nostro lavoro perché in fondo incuriosiva questo sguardo critico rispetto ad un certo modo di far biologia molecolare; non critico da un punto di vista biologico, che è il più importante, ma ce n’è stata tanta di critica -la nozione di programma e così via- ma critico dal punto di vista dell’Informatica e della Fisica; questo è sembrato ad alcuni quanto meno divertente. Tutto ciò ha permesso una serie di interazioni piuttosto proficue con dei gruppi di biologi estranei ai filoni principali, molecolari, e devo dire che lì ho visto con preoccupazione la forte egemonia di un ambito, forse eminentemente finanziato - credo - dall’industria farmaceutica, in cui pare ci sia proprio una perdita del senso del vivente. Di nuovo, questo abuso del metodo scientifico perché uno degli aspetti toccati nell’articolo è la questione del metodo differenziale, che è ovviamente proprio di ogni Scienza sperimentale: uno guarda o induce un cambiamento in un parametro e vede quello che succede in un osservabile. Innanzi tutto, evidentemente, se si lavora in vivo soprattutto, ma anche in parte in vitro, il primo problema che si pone è come isolare il parametro e l’osservabile: in Fisica è difficile, occorre fare una attenta analisi delle relazioni, ma nel vivente è quasi impossibile: bisogna fare attenzione che nella cellula e nell’organismo quasi tutto è correlato a quasi tutto. Prima cautela quindi dell’uso di un metodo differenziale: pensate a come è stato proposto il principio “un gene un enzima” negli anni ’30 da Baedle e Tatum, senz’altro sperimentatori straordinari, perché senza assolutamente sapere come fossero fatti i cromosomi, riescono ad intervenire, a indurre una mutazione, a vedere il cambiamento di un enzima che funziona male. Ma come si può dall’osservare una differenza indotta da una differenza dedurre qualcosa sul gene selvaggio rispetto al un fenotipo normale? È quello che Schrödinger critica perché il punto di partenza del librino di Schrödinger è nel suo dire, riferendosi in particolare al colore degli occhi della mosca Drosofila, che in realtà vediamo solo delle differenze, è solo quello che ci dà l’evidenza sperimentale, dobbiamo proporre dei principi organizzativi.
Galileo, quando fa l’esperienza del piano inclinato, prova con pesi diversi, vede dove vanno; per dedurre poi da questo la legge positiva fa una transizione concettuale incredibile, propone cioè il “principio di inerzia” che non è nel mondo: è fuori dal mondo. Avete mai visto nel mondo una cosa muoversi di moto rettilineo uniforme? Ma astraendosi totalmente dall’evidenza sperimentale, che gli dà solo delle differenze, propone il principio limite che è fuori dal mondo e che riesce a catturare tutti i movimenti proprio perché non esiste, è al limite. Questo è il passaggio, la transizione concettuale propria di chi riesce a proporre una astrazione propria di una teorizzazione che è antica e che certo non si può pretendere di copiare nello stesso modo, ma almeno si può non fare l’errore di indurre una correlazione positiva dal mero fatto delle differenze. Schrödinger lo dice e allora prova a proporre un principio e inventa questa idea del programma; ora, è una idea sbagliata, però la prima volta che uno lo dice è interessante, perché no? È una audace esplorazione ed era appunto il tentativo di una proposta positiva. Fra l’altro nella seconda parte del suo librino propone l’analisi in termini di negazione dell’entropia, che invece è un bello spunto, una cosa su cui abbiamo lavorato e che apre veramente delle piste molto interessanti. In un convegno recente a cui ero invitato a parlare, ho assistito ad uno scontro durissimo tra un biologo dei sistemi e uno molecolare. Il primo è coautore di un libro molto bello, non so se è tradotto in italiano, scritto in inglese e tradotto in francese, che si intitola La società delle cellule e da anni, insieme ad altri, conduce una analisi sull’origine del tumore basata sul fallimento del dialogo cellulare: ci sono molti filoni in questa direzione e hanno avuto una vita difficilissima perché negli anni ’80 - ’90 sono stati schiacciati dalla enorme quantità di soldi dirottati verso la ricerca orientata a trovare l’origine genetica del tumore, cioè la mutazione che induce il tumore. Lo scontro era basato su questo: il sistemista diceva che coi topi clonati - e questa novità è una salvezza perché è la clonazione che permette di fare esperienze significative in vivo - si vede che trasferendo interi tessuti si riesce a trasportare il tumore da un clone all’altro. E che questo non succede quando si trasferisce una sola o poche cellule, perché il contesto cellulare riesce a reggere; dunque il problema non è nella mutazione individuale, ma in qualcosa che avviene a livello tessutale. L’altro ricercatore insisteva nel sostenere che in esperimenti condotti all’interno di Theleton in particolare, in cui l’obiettivo era quello di scoprire l’origine genetica dei tumori (e questo mi pare una cosa incredibile: avere un progetto “a priori” di questo genere!) si inducono in vitro (con grandissimo talento sperimentale) in una cellula delle mutazioni che provocano l’impazzimento di questa cellula che comincia riprodursi in maniera incontrollata. Quindi, questa cellula, così torturata in vitro, viene messa in un tessuto e per lo più genera un tumore. Qui la contrapposizione era portentosa perché era basata di nuovo sull’uso del metodo differenziale: questa cellula, che effettivamente si trova in una situazione di fortissimo stress artificiale, indotto in vitro, viene trasferita in un tessuto e induce una patologia tissitulare. A tutto ciò mi sono permesso di osservare: “Ma scusa, se tu dai un sacco di martellate a molta gente, induci delle turbe psicologiche e cognitive più o meno durature, ma da questo non puoi in alcun modo dedurre che le turbe psicologiche e cognitive che si trovano abitualmente presso la gente, hanno per origine martellate in testa”. L’evidenza con l’analisi anche differenziale del primo caso, ma a soglie (parti di tessuto sempre meno grandi) ed in vivo è evidente: la seconda è puramente differenziale ed origina da trattamenti in vitro.
Per concludere, questo atteggiamento critico che proviene da diversi tipi di esperienze scientifiche deve essere un elemento portante di una attività di ricerca di tipo interdisciplinare, raccogliendo poi gli insegnamenti di metodo. Per esempio, un’altra componente essenziale che ci viene dalla fisica-matematica del XX sec. è l’insegnamento a saper relativizzare una costruzione di conoscenza, cioè il ruolo enorme della misura e della scelta del sistema di riferimento. La costruzione di conoscenza, dice Hermann Weyl, inizia quando si esplicita il sistema di riferimento e di misura, questa è una cosa che non va mai persa di vista in nessun ambito disciplinare. L’altro aspetto è questo atteggiamento, direi quasi etico, che bisogna avere all’interno della propria disciplina e tanto più quando ci si rivolge ad un’altra disciplina, con tutta la modestia necessaria di fronte ad un sapere costruito, consolidato e antico e di saper fare un passo di lato - come Marcello Buiatti già accennava - rispetto ai propri stessi principi. È questo che mi irrita molto in tanti colleghi informatici che han visto la moda bio-informatica e ci si fiondano. Attenzione esistono strumenti tecnici notevolissimi per la gestione dei dati, cose di gran rilievo in questo senso, ed essenziali a far biologia molecolare oggi. Ma da questo uso importantissimo si passa al teorizzare, lo sguardo teorico portato è veramente terrificante: è il trasferimento piatto di principi; in fin dei conti, molti non hanno, a mio avviso, saputo guardare in modo critico in primis il proprio mestiere passando da un ambito disciplinare ad un altro. Leggevo su Nature un articolo di un illustrissimo bioinformatico che va per la maggiore, il quale diceva che tra breve potremo, grazie a questo tipo di analisi, portare la biologia a diventare come “l’ingegneria di precisione”. Ecco, di nuovo, ma cosa sta dicendo uno che afferma questo? Quello che conta è cogliere appunto l’imprecisione, la variabilità ... ; ricordavo la frattalità del polmone che poi non è proprio così, la variabilità come invariante principale: è proprio l’opposto! L’ingegneria? Ma come? È proprio il contrario! L’ingegneria deve iterare in modo identico, questo è l’affidabilità di un automatismo. Ed ogni oggetto artificiale è costruito bottom-up: uno prende le ruote e le monta sulla macchina, prende il volante e ce lo avvita sopra... In biologia c’è l’unità iniziale che si differenzia: non si può avvitare il braccio sul corpo. No, i principi sono l’opposto! L’embriogenesi è top-down, l’integrazione è nell’unità iniziale che si differenzia, l’opposto dell’avvitare sopra. È una commistione gravissima, che produce perdita di senso e mancanza di etica della conoscenza.
Evito con cura la parola "verità" in Scienza, perché questa la lascio ai preti e agli ajatollah, il problema nell’attività scientifica è etico, di un’etica della conoscenza: la capacità di avere uno sguardo critico sui principi fondatori, tanto più obbligatorio quando ci si rivolge ad un’altra disciplina.

 

Giuseppe Longo
Giuseppe Longo, Matematico
Vorrei finire dicendo una parola sul mio coautore, è un giovane di grandissimo talento scientifico: allievo all’Ècole politecnique, ha conseguito il master di Matematica sostenendo alcuni esami di Biologia, poi ha preso anche un master in Biologia, ha poi cominciato la tesi con me e abbiamo scritto questo articolo. Nel 2006, è andato a lavorare - per stipendi incredibili - per il settore finanziario di una banca: si è messo a fare il matematico quantitativo-finanziario non dimenticando il suo talento critico e scientifico, per cui un anno dopo mi disse: “Noi di mestiere facciamo degli imbrogli matematici!”

E nel gennaio del 2008 - continuiamo ancora ad interagire -, mi raccontò dei CDO (Credit Default Obligations) che sono veramente tra le varie follie inventate anche per via matematica da ideologi fanatici come sono questi mondi della finanza; sono questi prestiti-mutui che si fanno con assicurazione associata tra banche (per un totale di circa 60 mila miliardi di dollari nel mondo). Pierre-Emmanuel Tendero molto lucidamente mi diceva che era una cosa che andava ad esplodere in maniera terrificante; i subprimes hanno prodotto la scintilla che ha indotto il crollo nel CDO e poi il fallimento della Lehman Brothers che era tutta dedicata a questo è stato un indizio. Vi dirò che Pierre-Emmanuel conserva ancora una grande passione scientifica e pensa, dopo aver accumulato un sacco di soldi, di lasciare quel mestiere e di mettere in piedi una specie di "Naturalmente" in edizione digitale: con un gruppo di amici vorrebbe realizzare un canale digitale terrestre di divulgazione scientifica, un’opera egregia. Spero ci riesca perché è molto bravo.
Grazie.

 

Giuseppe Longo
Matematico, Parigi