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I mille problemi della Vecchiarda

 

 

La Befana

I mille problemi della Vecchiarda

 

Luciano Luciani

 

La Befana vien di notte

La Befana “vien di notte” e “con le scarpe tutte rotte” perché giunge da lontano: niente meno che da tempi remoti e arcaici, e arriva tra noi, magari solo un po’ appannata nella sua originaria forza eversiva, da quel sostrato di miti e leggende che precedono l’era cristiana e con cui la religione della croce ha dovuto fare a lungo i conti per appropriarsene, rimodellando gli uni e le altre alle proprie esigenze di propaganda ed egemonia.

La vecchia dalle fattezze sgradevoli della tradizione ci appare, infatti, molto simile all’immagine che per secoli è stata attribuita alle streghe, bruciate a migliaia, (qualcuno dice a milioni, ma sono i soliti esagerati) sia dai cattolici, sia dai protestanti nel corso dei secoli pre-post rinascimentali: una vera e propria demonopatia quella che colpì in questo periodo l’occidente cristiano, una malattia diffusa della mente e del cuore, una macchia sulla coscienza dell’uomo europeo quella della ‘caccia alle streghe’, che spopolò intere aree del nostro continente e che, per intensità e ferocia, troverà un corrispettivo solo nell’Olocausto di 75 anni fa. E mentre bruciava le streghe la religione cristiana faceva di tutto per impadronirsi della figura di chiara derivazione pagana della Befana, immagine femminile legata ad antichi rituali di fertilità, procreazione, abbondanza. Un esempio? La Befana per dispensare i premi e le punizioni, i doni e il carbone, utilizza una vecchia calza che nella sua  stessa forma rievoca la cornucopia di tanta iconografia classica. Un altro esempio? La scopa con cui la Befana vola: un attrezzo prodigioso che ricorda la bacchetta magica, legata all’albero e quindi ad antichi culti naturalistici, simbolo fallico e priapico. Così come nei rituali bacchici/dionisiaci un elemento importante era rappresentato dal tirso, il mitico bastone dei Satiri, avvolto in foglie d’edera e di vite. Nella sua parte più alta, la pigna, altro elemento legato alla fertilità tramite i suoi frutti, i pinoli celati all’interno. Non è senza significato che l’Epifania, la festa dell’apparizione del Cristo, cada 6 gennaio e coincida con il giorno della nascita di Dioniso, dio del vino e dell’ebbrezza. Ma non perdiamo di vista la scopa, lo strumento stregonesco con cui la Befana vince la maledizione della legge di gravità e vola, riaffermando così anche simbolicamente la sua assoluta libertà: non mi soffermo sul significato che tanta psicoanalisi assegna al volo, al sogno di volare, alla paura di volare… Quale oggetto è più domestico, casalingo, femminile della scopa? Simbolo priapico e guarda un po’ dov’è collocato: appunto tra le gambe della Befana, una posizione che la ricollega alla garanzia della fertilità, alla generazione, al dono della vita, alla continuità della specie. 

 

Mille nomi paurosi

La Befana, dunque, come lontana, nascosta sacerdotessa di culti naturalistici e pagani connessi alla Grande Madre, figura dai tanti nomi: Ardoia, Berta, Donazza, Gianepa, Maratenga… Miti, leggende fiabe che ci arrivano dalla notte dei tempi: il cristianesimo li ha assorbiti per dirottarli verso omologhi rituali e liturgie senza però riuscire ad appropriarsene del tutto e a riproporre le ancestrali manifestazioni del fantastico e del mostruoso che popolavano nei culti precristiani i luoghi e i momenti del vago, del mistero, della paura.

Il cristianesimo ci ha dato gli angeli, i diavoli e una sfilza di santi, ma non è riuscito a proporci controfigure credibili per le Arpie, gli Orchi, le Sfingi, le Sirene, le Erinni, le Sibille, le Moire, le Ninfe, le Muse, gli Elfi, i Folletti… Ed ancora adesso per la Befana possiamo parlare di lavori in corso per l’egemonia su questo personaggio: un confronto iniziato tra la fine del IV secolo e l’inizio del V, quando la Chiesa distinse e fece coesistere due feste, il Natale e l’Epifania, che erano in realtà un’unica e identica celebrazione dell’incarnazione del Verbo divino. In oriente la chiamavano epifania, apparizione, e la festeggiavano il 6 gennaio, a Roma era il Natalis Domini e la celebravano il 25 dicembre. Nel giro di un secolo le Chiese accolsero l’una e l’altra: a Roma, la Chiesa sostituì il Natale del Signore al Natalis Invicti, la festa del nuovo sole che viene soppiantato nella sua origine pagana e cristianizzato. Dal cristianesimo orientale proviene, invece, la festa dell’Epifania che sostituisce la pagana ‘festa della luce’, ovvero la celebrazione del solstizio invernale, fissato al 25 dicembre in coincidenza con il rinnovato aumento del tempo di luce. Quando questo fenomeno è consolidato, a 13 giorni di distanza dal solstizio, i cristiani celebravano l’epifania di Gesù, che è vera luce: anzi, secondo l’evangelista Giovanni, (Vangelo I, 9), il Verbo fatto carne è “la luce vera che illumina ogni uomo”.

Tu guarda quanti problemi pone quella che in apparenza sembrava solo una timida, fragile vecchietta…