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Geologo e patriota. L'abate che raccontava l'Italia ai ragazzi

 

 

Antonio Stoppani

Geologo e patriota. L'abate che raccontava l'Italia ai ragazzi

 

Luciano Luciani

 

Un tempo, quando l’Italia era giovane – tra i cento anni e i centocinquant'anni or sono or sono o giù di lì – le  migliori “penne” del Paese non si facevano particolari scrupoli nel dedicare all’infanzia competenze, abilità, entusiasmi intellettuali. D'altra parte, fatta l'Italia sembrava urgente fare anche gli Italiani.

Come risultato si ebbe un’intensissima stagione letteraria nettamente orientata in senso pedagogico: accanto a Collodi e a De Amicis e ai loro celeberrimi Le avventure di Pinocchio (1883) e Cuore (1886) figurano Le memorie di un pulcino (1875) di Ida Baccini e la generosa attività pubblicistico-giornalistico-editoriale di un nutrito gruppo di scrittrici come Anna Vertua Gentile, Emma Parodi, Sofia Bisi Albini, Maria Torelli-Viollier, Virginia Treves Tedeschi direttrice del milanese “Giornale dei fanciulli“, Onorata Grossi Mercanti.

Certo, dietro questa attenzione per le giovani e giovanissime generazioni – peraltro sincera negli esponenti più significativi della vita culturale e letteraria di allora – c’era, fortissima e diffusa, l’esigenza di favorire un’unificazione culturale in senso nazionale e sotto il segno dell’egemonia intellettuale della borghesia settentrionale e dei suoi valori ispirati a ideali di illuminato e cauto progresso.

Intelligentemente la classe dirigente di quell’Italia lontana non offrì ai suoi figli più piccoli solo burattini, Minuzzoli, Giannettini, Garroni e Franti, fiabe e leggende locali, romanzetti per adolescenti imitazioni nostrane della Alcott, ma anche buoni libri di lungimirante divulgazione scientifica. Pensati per l’età successiva alla fanciullezza - quando agli infiniti perché dell’esistenza si cominciano a pretendere risposte più sistematiche ed esaurienti - ed esemplati sul modello francese del quindicinale “Magasin d’Education et de Récréation” dell’intraprendente Jules Hetzel, l’editore di Verne, questi testi miravano a istruire piacevolmente, emancipandosi dal modello del libro scolastico e presentando già i caratteri delle moderne riviste di volgarizzazione scientifica: bassi costi, illustrazioni, cura grafica e tipografica.

Tra gli scrittori italiani per l’infanzia che per primi si cimentarono nella difficile arte di educare al sapere scientifico attraverso l’apparenza del passatempo vanno ricordati Giovanni Lessona che pubblicò una Storia naturale illustrata e Conversazioni scientifiche; il vicentino Paolo Lioy, che, autore di Piccolo mondo ignoto, La vita dell’universo, Storia naturale in campagna fu anche impegnato redattore scientifico del “Giornalino della Domenica” di Vamba, il più riuscito esempio di periodico per l’infanzia, durato dall’età giolittiana all’avvento del fascismo; Tommaso Catani, scolopio fiorentino, affabulatore e volgarizzatore  di questioni zoologiche e botaniche con i suoi Le avventure di due scarabei, Il Cavaliere Mirtillo, Al paese dei canarini, Al paese verde.

Ma il più popolare tra questi letterati/scienziati che si sforzarono di interpretare e soddisfare le esigenze di informazione e consapevolezza scientifiche degli italiani in “calzoni corti” fu senz’altro Antonio Stoppani (Lecco, 1824 - Milano, 1891), non solo “scrittore per ragazzi”, ma personaggio significativo della cultura italiana del secondo Ottocento: sacerdote, scienziato insigne – geologo, paleontologo, naturalista – patriota, fu anche filosofo di ferventi convinzioni rosminiane, aspirante poeta, divulgatore piacevole e cordiale, sempre capace di unire una sincera ispirazione pedagogica con una vera, seria preparazione nelle scienze naturalistiche e geografiche.

Ordinato sacerdote nel 1847 e avviato all’insegnamento, a causa delle sue convinzioni liberali e patriottiche fu perseguitato dalle autorità austriache e avversato dal clero reazionario: la polemica con l’intransigentismo cattolico lo accompagnerà per l’intera durata della sua esistenza, amareggiandolo non poco. Nel 1848 per aver preso parte insieme ai suoi studenti alle Cinque giornate milanesi conobbe l’espulsione dal seminario; una quindicina d’anni più tardi, nel clima cupo e arroventato del cattolicesimo degli anni tra il Sillabo e Porta Pia, partecipò alla redazione di un periodico milanese, “Il Conciliatore” attestato su posizioni cattolico-liberali, che venne soppresso d’autorità dal vescovo preoccupato per le critiche e i richiami negativi che giungevano da Roma.

Gli ambienti più reazionari, retrivi e passatisti della Chiesa e del cattolicesimo italiano sempre mal tollereranno l’attività di un sacerdote, scienziato e naturalista che nella sua fede, larga e generosa, in una natura ministra di Dio e prodiga di bellezze nei confronti dell’Italia, riusciva ottimisticamente a comporre fede, scienza e amor di patria.

Il lavoro che rese lo scienziato/scrittore lombardo popolare al grosso pubblico fu il Bel Paese, 1875, pensato in origine per i piccoli lettori, ma che, in breve tempo, con le sue oltre ventimila copie pubblicate si trasformò in uno dei primi best-seller della nascente editoria nazionale.

Il libro consiste in ventinove conversazioni intitolate Serate – se ne aggiungono altre cinque nella edizione del 1889 – in cui uno zio, l’autore stesso, in forma piana, garbata, colloquiale descrive a un pubblico rappresentato dai nipoti e dai loro amici le “bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica“ dell’Italia, senza trascurare osservazioni anche acute sugli usi, i costumi, il lavoro, le tecniche, l’economia delle genti della penisola, nel tentativo tutto politico, comprensibile in un intellettuale che usciva a testa alta dalle lotte risorgimentali, di sollecitare nei suoi lettori una coscienza nazionale unitaria e l’orgoglio di essere italiani, giovani figli di un giovane Paese.

Come scrive nell’introduzione rivolta Agli Istitutori l’abate lombardo, parafrasando Manzoni, si propone “per fondamento il vero, per pregio la naturalezza, per scopo l’istruzione e il miglioramento morale”: per lui cattolico-liberale, rosminiano, manzoniano, geologo e naturalista, il Risorgimento non poteva che continuare nel nosce te ipsum: studiare, cioè, l’opera di Dio iniziando col conoscere a fondo la storia fisica e naturale delle proprie terre.

Qua e là tra le sue pagine un certo sentore di provincialismo e di chiuso, certo percepibile più oggi che allora: per esempio, quando propone il suo Bel Paese come antidoto a “quelle opere di Verne che hanno inondato l’Italia, e a cui la nostra gioventù e gli stessi uomini seri corrono dietro con puerile curiosità… mostruosa miscela di vero e di falso”. Ma la vera intenzione del Bel Paese era forse ancora un’altra: soprattutto contrastare con un’opera esemplare e popolare quello scientismo che si andava largamente diffondendo nella cultura italiana e nel senso comune del tempo.