La bomba climatica
Piero Sagnibene
Permafrost (da permanent-permanente e frost-gelato) indica regioni dove il suolo è perennemente ghiacciato, anche in assenza di acqua. Il Permafrost può avere profondità di 1500 metri (Siberia del nord) e di alcune centinaia di metri il Alaska ed in Canada; si trova nelle regioni artiche, in prossimità dei poli, in alta montagna, nei deserti freddi e si spinge, in grandi quantità, nei fondali marini e sotto le piattaforme continentali polari. Occupa il 20% delle terre emerse, 29,8 milioni di km2, ed un quarto circa dell’ emisfero boreale.
Il Permafrost, sui fondali ghiacciati dell'Oceano Artico, racchiude 60 miliardi di tonnellate di metano e 560 miliardi di tonnellate di CO2, una quantità di gas-serra impressionante; si calcola che la fusione del Permafrost antartico, ad esempio, potrebbe rilasciare quantità di anidride carbonica e metano intorno ai 150-200 miliardi di tonnellate di CO2-equivalente, una quantità paragonabile a quella che la Foresta Amazzonica ha assorbito in qualche millennio di crescita. Intrappolate al disotto del Permafrost “permanente”, che funge da copertura, queste enormi quantità gas-serra, che si sono accumulate nel corso dei millenni, sono state finora sigillate verso l'alto dalle vaste estensioni di terreni congelati, quindi impermeabili ai gas.
Secondo uno studio dell’IPCC (Intergovernmental Panel of Climate Change), le temperature della zona Artica dal 1980 ad oggi hanno raggiunto livelli record, portando ad un ampio disgelo del Permafrost. Il Permafrost va scomparendo per effetto del riscaldamento globale e cominciano a liberarsi le enormi quantità di anidride carbonica e metano che contiene: più il Permafrost scompare, più gas serra vengono rilasciati, amplificando l’effetto serra e accelerando ulteriormente la fusione.
Il disgelo del Permafrost innesca un processo di nuova formazione dei gas serra, poiché contiene una quantità enorme di carbonio sotto forma di materia organica non decomposta a causa delle basse temperature (resti di piante ed animali); la materia organica nel suolo diventa quindi disponibile per i microrganismi e questi la degradano producendo metano ed anidride carbonica che ricadono ulteriormente come gas-serra sul riscaldamento del pianeta. Si consideri anche che il metano ha un potenziale di riscaldamento globale 28 volte superiore a quello della CO2.
A parte l’ingente quantità di gas ad effetto-serra che la fusione del permafrost può liberare, si innesca un pericoloso circolo di retroazione climatica, cioè complesse relazioni causa-effetto, in cui la causa scatenante di un determinato fenomeno (il riscaldamento globale) può essere amplificata dalle conseguenze che il fenomeno stesso induce.
I processi di degradazione, operati dai microrganismi nel Permafrost, comportano il rilascio in atmosfera di ulteriori metano e CO2. Questo fatto, a sua volta, provoca un ulteriore aumento della concentrazione dei gas serra e, di conseguenza, delle temperature globali e, quindi, un maggiore scongelamento del permafrost e così via, innescando così una pericolosa serie di reazioni a catena in un circolo vizioso che incrementa continuamente la temperatura.
Inoltre, il ridursi delle aree coperte di ghiacci e neve, fa diminuire l’albedo (il rapporto tra la radiazione solare incidente e quella riflessa); l’albedo, infatti, consente che le regioni fredde, grazie al ghiaccio ed alla neve, assorbano una parte trascurabile del calore solare(il ghiaccio riflette il 50% della luce, la neve fresca l’80%). La fusione del ghiaccio e delle nevi, invece, fa assorbire molto più calore solare al pianeta, come accade che persone, che indossano abiti scuri d’estate, sentono più caldo di quelle che indossano abiti chiari. Di conseguenza aumenta il calore assorbito dal mare e dal suolo, il quale, a sua volta, aumenta la temperatura e ricade sull’ulteriore scioglimento dei ghiacci.
È come una bomba ad orologeria, pronta a esplodere.
Quanto effettivamente possono aumentare le emissioni di CO2 e metano a causa di questo ciclo di retroazione climatica? Quanto velocemente si possono avere effetti sul clima globale? Qual’é il punto di non ritorno cioè la condizione secondo la quale il feedback climatico si può innescare e mai fermarsi?
Attualmente il permafrost sta rilasciando 1,622 TgC (milioni di tonnellate) all’anno, una quantità di carbonio superiore a quella mediamente assorbita dal Permafrost durante la stagione di crescita che è 1,032 TgC. Questo dato mostra come il Permafrost potrebbe aver già superato il suo punto di non ritorno.
L’immane disastro ambientale in atto comporta tragici corollari; i terreni a permafrost sui quali sono state costruite infrastrutture ed insediamenti umani stanno divenendo ad alto rischio di danni e di crolli a causa dello scongelamento dei suoli. La coerenza dei materiali congelati e, per contro, l’incoerenza di quelli scongelati, in alta montagna, per lo scioglimento del permafrost innesca frane e colate detritiche. Le acque di fusione del permafrost sconvolgono gli ecosistemi marini; insistono in modo significativo a raffreddare i mari artici e ad abbassarne la salinità, alterando le correnti sottomarine che trasferiscono calore e soluzioni idrosaline a diversa concentrazione, come la corrente del golfo che funge da "regolatore termico" su scala globale.
Altro tragico corollario deriva dal fatto che il Permafrost contiene anche forme di vita ibernate e virus (macchine molecolari) , una sorta di bomba biologica la cui pericolosità non è calcolabile.
Un esempio di come sia sopravvissuta la vita ai millenni ed al gelo è un campione di Permafrost raccolto presso il fiume Alazeya (Siberia). Contiene terriccio ricco di ghiaccio del tardo Pleistocene. Alla datazione al radiocarbonio è risultato antico di 24 000 anni fa e si è rivelato inaspettatamente ricco di antichi organismi (virus, piante, muschi, nematodi, rotiferi) sopravvissuti per tutto questo tempo nel gelo polare. I rotiferi ritrovati, ad esempio, appartengono al Genere Adineta (Bdelloidei), specie di acqua dolce; quando sono stati scongelati in laboratorio, a contatto con l’acqua fluida, si sono risvegliati ed hanno cominciato a riprodursi per partenogenesi amittica (cioè una clonazione asessuata).Era già nota la incredibile capacità dei Rotiferi e di altri microrganismi di resistere alle radiazioni e ad ambienti assolutamente inospitali. La possibilità di resistere, per decine di migliaia di anni, in qualsiasi condizione, ai Rotiferi viene dalla loro capacità di interrompere ogni attività, disidratarsi e bloccare il loro metabolismo entrando in criptobiosi, uno stato di vita sospesa. Gli studiosi pensano che avrebbero potuto resistere nel terriccio congelato altri diecimila anni, e forse più.
I Rotiferi mostrano le possibilità di crio-conservazione di cellule, tessuti ed organi. "Questi rotiferi, insieme ad altri organismi trovati nel permafrost – spiega Stas Malavin (Laboratorio di Criobiologia del suolo - Russia) - rappresentano il risultato di un grande esperimento naturale che non possiamo replicare...".
Si pensa che se il processo di congelamento è relativamente lento, le cellule dei rotiferi possono sopravvivere alla formazione di cristalli di ghiaccio con danni minimi, consentendo loro di sopravvivere, anche se non è ancora conosciuto come possano sopravvivere per decine di migliaia di anni. “É la prova ad oggi più evidente che animali multicellulari potrebbero resistere decine di migliaia di anni in criptobiosi in uno stato di metabolismo quasi completamente arrestato“.
Nonostante le condizioni estreme, gli ambienti del Permafrost presentano loro microbiomi ed in questi avvengono scambi genetici nella popolazione microbica mediati da virus; si tratta di trasferimenti genici orizzontali, processi nei quali un organismo trasferisce materiale genetico ad un’altra cellula diversa e non discendente per via riproduttiva.
Lo scongelamento del Permafrost comporta il rilascio nell’atmosfera degli agenti patogeni che vi sono intrappolati. Il progressivo riscaldamento globale del pianeta determina le condizioni per un possibile meccanismo di genesi di virus che può essere, quindi, l’origine delle nuove pandemie che si vanno rilevando con ciclica regolarità sul nostro pianeta. Il riscaldamento globale va liberando ed attivando antichi e nuovi virus, batteri ed altri organismi letali, rimasti per millenni sepolti nei ghiacci e nel Permafrost. L’attualità di questi immani pericoli non riguarda il futuro, ma il presente.
Cosa emergerà da ghiacci e Permafrost in fusione a causa del riscaldamento planetario?
Nel 2005, in Alaska, sono stati scoperti microbi del Pleistocene, di 32mila anni fa, ancora attivi. Nel 2007, in Alaska, in un luogo di sepoltura, è stata scoperto un virus intatto dell’influenza spagnola (A sottotipo H1N1) e si teme possa accadere anche con il virus del vaiolo e col bacillo Yersina pestis (peste bubbonica). Nel 2014 è stato scoperto il più grande virus conosciuto, Pithovirus sibericum (lungo1,5 micron e largo 0,5). Nel 2016 (Siberia) un ragazzo di 12 anni è stato ucciso dall’antrace (carbonchio), e circa 20 persone ricoverate per lo stesso motivo; si pensa che il batterio fosse nella carcassa di una renna infetta morta 100 anni prima. L’ondata di caldo improvviso che colpì la tundra, sciogliendo il permafrost superficiale , si pensa abbia liberato il Bacillus anthracis (produttore di spore) che si è rianimato ed ha contaminato il suolo e le acque.
In Svizzera, ad esempio, il Permafrost presente al di sopra dei 2.500 metri di altitudine (circa il 5% del territorio) ha mostrato batteri, funghi, lieviti e virus, circa un migliaio di microrganismi, in buona parte, sconosciuti.
A destare maggiore preoccupazione sono i virus giganti (0.7 μm e con un genoma di 1.259.127 coppie di basi), che hanno dimostrato una particolare resistenza, i batteri a spore, particolarmente difficili da debellare ed i virus zombie, che hanno sollevato timori riguardo una nuova emergenza medica globale che verrebbe innescata da nuove malattie o dal ritorno di malattie provenienti da un lontano passato. Il Mimivirus, scoperto nel 2003, ha dimensioni simili a quelle dei batteri e la struttura enormemente più complessa di altri virus simili, come quello della influenza e del vaiolo. Pandoravirus yedoma, il più antico, risale a 48.500 anni fa; è un virus gigante che infetta le amebe ed è stato trovato sepolto sotto un lago che si è formato per lo scioglimento del Permafrost. Mollivirus sibericum, un virus preistorico gigante di 30mila anni, individuato nel permafrost della Siberia e riportato in vita (grande 0,5 micron) trovato nello stesso campione di permafrost del Pithovirus sibericum. In carotaggi prelevati fino a 50 metri di profondità del ghiacciaio Guliya, (Tibet) a 6.700 metri di quota, è stato trovato il codice genetico corrispondente a 33 popolazioni di virus risalenti fino a 15mila anni fa, soltanto 4 delle quali di generi noti. Almeno 29 di queste sequenze genetiche appartengono a virus finora sconosciuti che sopravvivevano in questo habitat, proprio grazie al freddo.
“Non è da escludere che alcuni virus mortali, nel caso vi fossero ospiti vulnerabili, possano infettare vari ecosistemi con conseguenze tutte da immaginare” - ha detto il Prof. Jean-Michel Claverie (virologo -Facoltà di Medicina, Università di Aix- Marseille). Le aree in cui potrebbero esserci altri virus congelati sono oggetto di ricerche minerarie e petrolifere che potrebbero anch’esse portare alla luce microrganismi e diffonderli. “Se non si procede con cautela, le conseguenze potrebbero essere drammatiche” - ha sottolineato Claverie.
La fusione del Permafrost sta già privando il pianeta dell’acqua necessaria alla vita. Non si tratta soltanto dell’immane problema della maggiore evaporazione. Negli ultimi cento anni il numero dei laghi prosciugati è aumentato di 20 volte rispetto ai secoli precedenti; i laghi stanno scomparendo perché gli strati di permafrost solido, che hanno stabilizzato la terra per migliaia di anni, si stanno frantumando e l'acqua drena in basso. Gli inverni caldi sono più nevosi ed il terreno e il letto di un ruscello, che si trovano sotto la neve ,non hanno il tempo di congelare. Se la neve si scioglie prima, espone la terra sottostante più scura, che assorbe più luce solare e si riscalda ulteriormente. Quando una grande massa d'acqua si accumula e comincia a premere verso il basso, prima rimuove la neve e, quando il terreno si scioglie, viene spinta in basso ed il corso d'acqua viene prosciugato. Via via che il corso d'acqua si estingue e le sponde vengono distrutte, il lago comincia ad affondare e a scomparire. Lo scioglimento dei ghiacciai, la perdita dei corpi d’acqua superficiali ecc. significa la morte dei fiumi e della agricoltura da essi dipendente.
Questi, e gli altri innumerevoli pericoli letali, cui pure si accenna, di passata, nei vaniloqui dei numerosi convegni, dovrebbero sollecitare la rimozione dell’ignavia irresponsabile dei governi e delle istituzioni. La loro soluzione richiederebbe una modifica radicale della struttura economica, e sociale, sulla quale poggia il potere di coloro che sfruttano il pianeta a fini di profitto. A quel che è ed a qual che appare, al di là della retorica delle parole, sembra che i loro interessi portano al disconoscimento del diritto degli umani a sopravvivere sull’unico pianeta sul quale possono esistere.