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Meraviglie tra le sabbie del deserto
Onymacris unguicularis  

Meraviglie tra le sabbie del deserto

 

Valentina Vitali

 

149 milioni di kilometri quadrati; questo è lo spazio a disposizione delle specie che preferiscono la stabilità delle terre emerse alla dinamicità dell’oceano. Spazio solo apparentemente infinito, inesauribile, illimitato ma che in realtà sta quasi stretto alle (ancora per fortuna) numerose forme di vita che lo occupano, che spesso si ritrovano a doversi spartire le risorse disponibili; e se i propri coinquilini sono troppo invadenti a volte accontentarsi degli scarti non è sufficiente e bisogna trovare un’alternativa, una propria nicchia magari un po' scomoda ma dove nessuno verrà a disturbare. Se ci si adatta per esempio ad un ambiente dove la temperatura oscilla tra gli 0°C e i 50-60°C, l’acqua praticamente non esiste e persino gli organismi morti non si distruggono perchè nemmeno i decompositori riescono a sopravvivere si può essere certi di aver scoraggiato la concorrenza. È questa la ragione che ha spinto alcune specie ad adattarsi ai proibitivi deserti (caldi), occupare una nicchia ecologica rimasta pressoché vuota dove la competizione è minima, e per riuscirci alcuni animali hanno adottato delle strategie davvero peculiari. A reggere l’intero ecosistema sono gli artropodi come i coleotteri delle nebbie del genere Onymacris che al mattino presto o alla sera risalgono con fatica le dune sabbiose portandosi in cima dove, per effetto dello scontro tra le nebbie cariche di umidità provenienti dall’oceano e le masse d’aria calda del deserto, delle goccioline d’acqua si condensano sul loro corpo; le lunghe zampe e la particolare forma dell’esoscheletro fungono da raccoglitori e convogliano la poca acqua così ottenuta verso la bocca. Oppure ci sono i diafani ragni ruota (Carparachne aureoflavia), temibili cacciatori notturni di insetti, che nelle ore più calde si ritirano in un rifugio speciale: un tunnel da loro scavato nella sabbia grazie a dei movimenti efficaci e precisi. Per scappare rapidamente dai predatori invece optano per una strategia ancora più strana chiudendosi a pallina e lasciandosi rotolare giù dalle dune; cercare di fuggire correndo sulla sabbia richiederebbe molto più tempo. Ad essersi perfettamente adattatati all’ambiente desertico sono pure i rettili. Chamaeleo namaquensis utilizza ad esempio il metacromatismo cioè modifica il proprio colore non tanto per mimetizzarsi ma in risposta alle esigenze termiche: di prima mattina deve in effetti scaldarsi e si colora di nero ma appena è sufficientemente attivo diventa bianco così da riflettere i raggi solari. La lucertola dal muso a spatola (Meroles anchietae) invece trascorre la maggior parte del proprio tempo a evitare di bruciarsi le zampe e per riuscirci presenta un comportamento piuttosto bizzarro in cui continua ad alzare alternandole due zampe (una anteriore e una posteriore) alla volta, in una sorta di strana danza. La vipera delle sabbie (Bitis peringueyi) al movimento preferisce la tranquillità dell’attesa e si interra abilmente dentro la sabbia lasciando emergere in superficie solo le narici e gli occhi che non sono laterali come negli altri viperidi ma ravvicinati sopra la testa, permettendo di nascondere praticamente tutto il capo. Questa vipera ha trovato anche un modo per non lasciarsi limitare dalle dune, barriere apparentemente invalicabili per un serpente: compie dei salti laterali appoggiando solo il 50% del proprio corpo sul caldo substrato. C’è chi invece nella sabbia ci si tuffa dentro come fosse acqua; è il caso del pesce delle sabbie (Scincus scincus), una piccola lucertola che deve il nome all’abitudine di spostarsi non sopra ma dentro la sabbia stessa come se nuotasse. Un ricercatore della Georgia Tech University ha scoperto grazie ad uno strumento a raggi x che in realtà il moto di questo animale, che avanza usando movimenti ondulatori del proprio corpo senza sfruttare la spinta delle zampe, è più simile a quello di un serpente che ad un pesce; e paradossalmente quanto più lo strato sabbioso è compatto tanto più veloce sarà lo spostamento. Non sono meno peculiari le strategie adottate da un piccolo animale che abita il deserto australiano, il moloch (Moloch horridus); le sue squame modificate in spine, che lo fanno assomigliare ad un dinosauro in miniatura, sono l’unica arma di difesa dai predatori poiché i diavoli spinosi (come vengono spesso chiamati) si muovono molto lentamente, spostandosi di un’ottantina di metri al giorno, e non possono sperare in una rapida fuga. Se pure questa lucertola dovesse avere la fortuna di trovare piccole e temporanee raccolte d’acqua faticherebbe a bere direttamente a causa di una bocca altamente specializzata per catturare e masticare le formiche, uniche prede (mirmecofago obbligato): la lingua adesiva le blocca e i denti mandibolari e mascellari sono così taglienti da frantumarne l’esoscheletro chitinoso per consentirne la digestione. A risolvere il problema della sete ci pensa la pelle in cui canali di varie dimensioni (qualche centinaio di micron) si sviluppano tra le squame raccogliendo l’umidità dell’aria e trasportando per capillarità l’acqua ottenuta fino alla bocca. Non sono solamente invertebrati e rettili ad aver trovato il modo di vivere nelle zone desertiche ma anche mammiferi di discrete dimensioni come il gatto delle sabbie (Felis margarita), molto simile al domestico ma tarchiato e con orecchie più grandi. Le sue bolle timpaniche sono in effetti sovradimensionate e gli permettono di avere un udito estremamente sviluppato, necessario per percepire il rumore di prede (soprattutto roditori da cui ricava anche la maggior parte delle risorse idriche) che si muovono appena nella sabbia; per non scottarsi ha quasi delle scarpe o delle calze poiché tra le dita è dotato di lunghi e fitti peli che permettono ai polpastrelli di rimanere leggermente sollevati rispetto al substrato. Tutti questi animali hanno evoluto degli adattamenti davvero particolari per riuscire ad assolvere alle loro esigenze fisiologiche di base; per gli uccelli però è fondamentale pure avere un nido in cui deporre le proprie uova, una sfida in un ambiente in cui in pratica non ci sono alberi. Eppure c’è chi ha saputo sfruttare l’unica risorsa disponibile oltre agli spinosi cespugli, i saguari. È in questi enormi e talvolta secolari cactus, fondamentali anche da un punto di vista alimentare per molte specie, che i picchi di Gila (Melanerpes uropygialis) scavano dei fori in cui nidificare; fori spesso riutilizzati da gufi e passeriformi che vivono sempre nel territorio. Nulla è impossibile per l’evoluzione e la selezione naturale se c’è il tempo per sviluppare un adattamento efficiente, nemmeno vivere a 60°C.