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Una scuola "buona" a segregare i giovani

Una scuola buona a segregare i giovani

 

Teresa Mariano Longo

Maggio 2015

 

Presentando alla stampa il progetto della Buona Scuola, il capo di governo Renzi ha detto: Sarà autonomia vera: ogni scuola dovrà vivere la propria autonomia, che sarà elemento di dinamismo del territorio[1]

 

Penso al senso di queste parole nei diversi «territori».

Penso alle scuole dei quartieri ricchi di una grande città, qui le famiglie contribuiranno al finanziamento della «loro» scuola con doni e con il 5‰ calcolato su alti redditi; in queste stesse scuole i presidi potranno reclutare coloro che riterranno essere i «migliori» insegnanti, non necessariamente i più preparati culturalmente e pedagogicamente, ma quelli più capaci di far aumentare le iscrizioni e dunque i finanziamenti (nella scuola «autonoma» il finanziamento dipende dal numero degli alunni); per questo sicuramente il dirigente scolastico farà bene a fare un’indagine di mercato per capire qual è la domanda culturale del «territorio». Se questa inchiesta mostrerà che le famiglie non gradiscono la cultura antica, o un insegnamento storico filosofico troppo orientato a criticare le credenze religiose e le tradizioni, il buon preside sceglierà gli insegnanti adatti a soddisfare questa domanda. Il buon preside deve saper attirare i finanziamenti e le iscrizioni con una buona pubblicità sulle materie «di punta» offerte e sui risultati della scuola agli esami. Per raggiungere dei buoni risultati, il buon preside dovrà avere l’astuzia di selezionare fin dai primi anni i buoni alunni, quelli che sicuramente passeranno agli esami finali. Il territorio beneficierà sicuramente del buon governo del buon preside della buona scuola perché le buone famiglie cercheranno casa vicino alle buone scuole, dunque la domanda immobiliare crescerà così come i prezzi delle case. Un dinamismo perfetto!

Che ne sarà delle scuole e dei territori non scelti? Un discorso al negativo del precedente sembrerebbe vecchio e non piacerebbe a chi pensa alla povertà come ad un elemento residuale delle nostre società o come un «effetto perverso» da regolare. Allora andiamo a vedere cosa è successo nei Paesi che hanno messo da molto tempo in atto le politiche di autonomia finanziaria e gestionale delle scuole. Purtroppo esse hanno invaso il mondo e non è facile scegliere; ne prendo due particolari: il Cile uno dei primi a mettere in atto politiche di libero mercato durante la violenta dittatura di Pinochet (1973-1990) e la Svezia che negli anni 1990, sotto governi conservatori, ha deciso di rompere con la sua tradizione socialdemocratica considerata incapace di garantire la libera scelta dell’educazione da parte delle famiglie.

 

 

Il Cile: neoliberalismo e dittatura

 

A partire dalla dittatura di Pinochet, lo Stato cileno diventa Stato sussidiario. Le sue funzioni sono ridotte alla sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico e alla protezione del funzionamento del libero mercato.

La scuola pubblica, che dagli anni sessanta aveva avuto uno sviluppo notevole, subisce cambiamenti profondi pilotati dagli esperti della scuola di economia di Chicago (nel 1982, M. Friedman si reca in Cile a complimentarsi con Pinochet per la riforma universitaria). Possiamo riassumerli in tre fasi:

dal 1973 al 1974, riduzione della spesa pubblica per l’educazione: soppressione dei programmi di aiuto alimentare, delle borse di studio, soppressione del funzionariato degli insegnanti che diventano liberi prestatori d’opera pagati secondo il numero di ore fatte, soppressione delle scuole di formazione degli insegnanti. Questi cambiamenti riescono facilmente grazie al clima di paura che domina nelle scuole dove si insediano i militari, i libri proibiti bruciati; molti insegnanti sono tra i desparecidos.

 

Dal 1979 al 1980, provvedimenti per il decentramento scolastico; la gestione delle scuole pubbliche passa ai comuni e lo stato finanzia nella stessa maniera le scuole pubbliche e le private con una quota fissa per ogni alunno iscritto.

 

Dal 1980-1990, riforma dei programmi caratterizzata dalla flessibilità: obiettivi formativi minimi e libertà delle scuole di sviluppare i contenuti secondo le proprie possibilità economiche. Liberalizzazione degli studi superiori: ogni privato può aprire un’università.

L’effetto immediato di queste politiche è l’impoverimento culturale del paese, la presenza sul mercato scolastico di molti speculatori, la diminuzione degli iscritti nella scuola elementare, l’aumento del prezzo per l’iscrizione e della frequenza nella scuola secondaria e nell’Università e dunque una forte selezione sociale nell’accesso all’istruzione .

I governi democratici che si succedono a Pinochet, in un clima di maggiore libertà personale e culturale, mantengono lo stesso sistema di mercato dell’istruzione, ma intervengono con degli aggiustamenti di «regolazione» sugli effetti perversi (financiamiento compartido). In Cile il nuovo sistema è chiamato «il neoliberalismo dal volto umano», ora la cultura è di nuovo libera, ma è destinata a pochi che possono comprarsela: i giovani che abbandonano il sistema scolastico aumentano. Nelle zone rurali e nei quartieri poveri delle città, le condizioni di insegnamento sono peggiori che altrove: più alunni per classe, insegnanti meno qualificati e con un carico di lavoro più pesante, programmi più leggeri. Due fenomeni iniziati durante la dittatura continuano: l’instabilità di alcune scuole o università che aprono e chiudono secondo gli interessi di chi investe e lo scarto dei risultati tra le scuole pubbliche (i risultati più bassi), le scuole private sovvenzionate e le scuole private (le più costose e prestigiose).

La segregazione sociale e culturale dei giovani è una realtà drammatica.

A più riprese gli studenti cileni hanno protestato contro i costi eccessivi dell’istruzione superiore, le scuole secondarie e le università sono rimaste a lungo bloccate.

L’anno scorso la Presidente Bachelet è stata eletta sulla base di un programma che prevedeva tra l’altro un cambiamento di paradigma nell’approccio politico all’educazione. Il governo vuole porre fine alla logica del mercato e considerare l’educazione come un diritto e un bene sociale il ruolo dello Stato nel sistema sarà dunque rinforzato.

Dalla riforma fiscale e dalle entrate delle miniere di rame, il Governo pensa ricavare il danaro per aumentare il finanziamento statale che sarà finalizzato alla rottura della segregazione scolastica. Come? Attraverso la gratuità di tutte le scuole, il miglioramento delle scuole statali, la non selezione degli alunni all’ingresso delle scuole sovvenzionate ed il finanziamento per lo sviluppo di università statali, infine, le scuole che ricevono sovvenzioni statali non devono avere fine di lucro. In questi giorni la riforma è oggetto di discussione, molti temi sono oggetto di non accordo, tranne uno:la ripresa del ruolo centrale dello Stato nell’istruzione. [2]

 

 

Svezia: dalla scuola unica alla segregazione


Alla fine degli anni 1980 e all’inizio degli anni 1990, in Svezia si diffondeva un’opposizione alla socialdemocrazia che portava alla vittoria dei conservatori. L’argomento vincente di questi ultimi, riguardava soprattutto il carico fiscale e l’intervento dello Stato nell’economia e nella società considerato eccessivo. La scuola «unica» era l’oggetto di critiche di tutte le parti politiche: «la famiglia ha pochi margini di scelta sull’educazione», diceva la destra; «le pedagogie sono troppo tradizionali e poco rispettose della libertà del bambino» diceva l’opposizione radical-libertaria.

Nel 1990 i conservatori al governo mettevano in atto una riforma ispirata dalla ideologia neoliberale. Dunque in primo luogo il decentramento amministrativo e finanziario, che passa ai comuni: lo Stato fissa degli obiettivi generali per i programmi, un pacchetto di ore «di base» che finanzia; i comuni gestiscono e, secondo la loro risorse economiche, possono aumentare le ore di base e inserire altre attività, ore, discipline.

I comuni hanno come riferimento i capi di istituto che, come oggi vuole Renzi, reclutano e licenziano gli insegnanti, sono responsabili del budget della scuola, gestiscono la ripartizione e lo sviluppo delle ore del curriculum.

Nel 1992 la legge approva il sistema del voucher (idea di Milton Friedman e della scuola di Chicago) vero feticcio dell’ideologia neoliberale: il genitore, invece di utilizzare il servizio pubblico, riceve l’equivalente del suo costo in denaro e lo va a spendere nella scuola di suo piacimento; questo, secondo i fanatici del neoliberalismo e gli apologeti della libertà di scelta dei genitori, non solo romperebbe con «l’obbligatorietà» di far vivere i propri figli con chi non è scelto dalla famiglia, ma permetterebbe ai genitori di recuperare, con il voucher, quella libertà di acquisto che dovrebbe stimolare le scuole a essere più competitive e a migliorare la loro offerta.

In Svezia il voucher, il bonus, si chiama skolpeng e ha permesso lo sviluppo delle scuole private, sopratutto nelle grandi città, perché, data la geografia e la distribuzione della popolazione della Svezia, non è troppo conveniente per un privato investire in zone di scarsa popolazione. Nelle città, invece, le scuole private si sviluppano sopratutto nei territori limitrofi a quelli in cui abitano i nuovi arrivati da altri paesi, le famiglie svedesi che non vogliono far vivere i propri figli accanto agli stranieri hanno così la possibilità di una scuola distinta. Questo ovviamente provoca una forte concentrazione di immigrati nelle scuole pubbliche.

I primi risultati di queste politiche mostrano un’importante differenziazione dell’offerta formativa in base al reddito et alle origini etniche; il governo, nel 1995 porta alcune correzioni alle politiche di separazione, ma non sono sufficienti a bloccare la tendenza alla segregazione sociale e etnica della gioventù.

Oggi, dopo 25 anni, due sono i problemi più gravi: la segregazione sociale dei giovani e la speculazione dei privati negli investimenti in educazione.

L'Agenzia Nazionale per l'educazione conclude il suo rapporto del 2012 così: «l’equità si è deteriorata nella scuola svedese nel periodo considerato. Questa conclusione è basata sul fatto che le variazioni rispetto ai risultati medi delle scuole è aumentata significativamente e che la composizione della scuola è diventata più importante per spiegare i risultati degli alunni.» L’«effetto pari» e le attese degli insegnanti possono contribuire e anche accrescere le differenze di qualità tra le scuole. Ciò significa che la scelta della scuola, è diventata col tempo più importante.

La riforma che permetteva la scelta della scuola e il decentramento dei primi del 1990 ha probabilmente contribuito a questo andamento, anche se altri fattori possono aver avuto un ruolo» e ancora: «In questi anni c’è stato un significativo aumento delle differenze di performance tra scuole, la segregazione socio economica è aumentata solo marginalmente durante gli anni 2000, mentre la segregazione degli stranieri è aumentata negli ultimi anni» (pagina 16, traduzione di TML)

Altro problema è quello degli investimenti privati in educazione. Un caso che ha fatto scandalo è stato quello delle Friskol, scuole indipendenti sovvenzionate dallo Stato, gratuite che nel 2012 costituivano il 13% delle scuole, in esse spesso si sperimentano pedagogie di punta. In queste scuole sono implicate imprese educative come il gruppo Academedia che gestisce 94 istituti scolastici e la società chimico-farmaceutica Skanditek, che possiede più istituti scolastici oltre ad altre imprese. Recentemente, queste imprese non ce l’hanno fatta: un istituto su quattro ha un bilancio in deficit. I gestori delle imprese, senza toccare i dividendi degli azionari, hanno cercato di ridurre le spese nelle scuole: per i materiali, i locali e anche per i salari degli insegnanti reclutati dalla scuola stessa. Alcune scuole riducono le classi, altre chiudono e, nel 2012 la situazione fa scandalo in tutto il paese. (ARTE 2014)

Dopo le riforme neoliberali, non solo le tensioni sociali aumentano, ma lo stesso sistema mostra dei risultati scolastici preoccupanti. Marie Duru-Bellat, esperta internazionale, commenta così gli ultimi risultati di PISA: «un paese come la Svezia che nelle prime inchieste era un paese con risultati di alto livello e distribuiti in modo egualitario, ha visto i suoi risultati degradarsi sensibilmente su entrambi questi aspetti. Bisogna sottolineare che in Svezia si è sviluppata, dagli anni 1990 una politica di decentramento delle scuole e di liberalizzazione con un sistema di vouchers che ha permesso agli alunni di scegliere la loro scuola; ne è derivato un  aumento della segregazione nelle scuole, situazione in cui i giovani meno privilegiati socialmente ne pagano il prezzo»[3] 

Il Governo svedese attuale pensa di intervenire con politiche di compensazione, ma i suoi argomenti in favore di queste soluzioni di aggiustamento sono piuttosto deboli, visti i risultati dei governi precedenti e i risultati di paesi come il Cile. Molti esperti e politici domandano la fine della impresa educativa. Tutti sono d’accordo sulla necessità di un maggiore intervento del governo centrale e locale sulle singole scuole. 

 


Perché anche in Italia?


In Italia, dagli anni 1990 molti governi di diverse tendenze politiche hanno cercato di uniformarsi alle politiche neoliberali: decentramento, autonomia finanziaria di gestione e pedagogica, finanziamento pubblico alle scuole private. Si vuole veramente fare come in Cile o in Svezia? Separare i giovani, costruire un vero mercato in cui la qualità si paga e chi non può pagare non compra una buona scuola? Molto è stato fatto in questo senso, ma forze politiche e sindacali ancora hanno arginato la privatizzazione delle scuole: l’Italia ha una percentuale bassa di scuole private rispetto agli altri paesi europei:

 

Grafico: Distribuzione degli alunni della scuola primaria e della scuola secondaria in Europa * (CITE 1, 2, 3) a seconda del tipo di istituto 2006

 

Scuole pubbliche e private

 

L’Italia ha rilevanti problemi di abbandono scolastico; i risultati scolastici e anche il numero di giovani diplomati di 34-36 anni sono tra i più bassi d’Europa (IT.19,8 ; EU 33,6). Nelle nostre città, processi di segregazione dei giovani sono in atto; il rapporto dell’OCSE-PISA (2012) ci mette in guardia: certi risultati italiani migliorano, ma attenzione all’impatto che le differenze territoriali e sociali, la segregazione hanno sui risultati scolastici!

Perché invece di guardare e affrontare queste realtà si continua sulla strada di una ideologia che, attribuendo più autonomia finanziaria e di gestione alle scuole, potenziando le scuole private e sovvenzionate va verso la trasformazione dello scenario scolastico italiano in uno simile a quello che altri paesi che dopo averlo duramente sperimentato vogliono oggi superare?

 

 

Riferimenti

 

EURYDICE (2012) Chiffres clés de l’éducation en Europe . Commission européenne

 

Feyfant A. (2014)Le système éducatif suédois en crise ?

 

Mariano Longo Teresa (2001) Philosophies et politiques neolibérales de l’éducation dans le Chili de Pinochet(1973-83). L’école du marché contre l’école de l’égalité . L’Harmattan

 

Plumelle B.(2005). «L’éducation en Suède» Revue internationale d’éducation de Sèvres, n° 39, septembre, p. 139-146.

 

The Swedish National Agency for Education (Report 2012) Educational equity in the Swedish school system

 

http://eduveille.hypotheses.org/author/anniefeyfant

 

http://info.arte.tv/fr/lechec-de-la-privatisation-des-ecoles-en-suede visitato maggio 2015



[1]          Citato in http://www.repubblica.it/scuola/2015/03/12/news/scuola_riforma_cdm-109399052/ 12 Marzo 2012

[2]          http://reformaeducacional.gob.cl/ consultato il 10 Maggio 2015

 

[3]          http://eduveille.hypotheses.org/6539#footnote_4_6539