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L’arte scientifica, la scienza artistica
Galileo osserva il cielo  

L’arte scientifica, la scienza artistica

 

Tiziano Gorini 

 

Per l’epistemologia e per la storia della scienza è stata una risultanza definitiva l’ individuazione - che si deve ad Alexandre Koyré - di un evento fondamentale per la nascita della scienza moderna: il passaggio dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, ovvero da un mondo in cui la natura così come approssimativamente la si esperisce e conosce attraverso la percezione e il senso comune è vaga, cangiante e indistinta, ad un altro mondo in cui essa si rende invece disponibile all’esattezza dell’osservazione e della misura, alla verificazione dell’esperimento, alla conformità dell’algoritmo. Ciò, per Koyré, fu l’esito dell’incontro tra l’epistéme e la téchne, tra la conoscenza teoretica e la tecnica. 

Evento fondativo, dunque, che come sempre avviene nel divenire storico ebbe molteplici e complementari cause, ad esempio la sdivinizzazione del creato e la diffusione rinascimentale del platonismo; ma certamente fu lo strumento scientifico a consentirlo, in quanto medium in cui téchne ed epistéme, dunque tecnologia, fisica e matematica coesistono e coincidono[1]. Probabilmente lo strumento esemplare di questa coesistenza  e coincidenza è il cronometro, lo strumento per misurare il tempo che è stato determinante per il metodo scientifico; esso fu inventato dagli scienziati che, come Galileo per i suoi essenziali esperimenti di movimento sul piano inclinato, non potevano accontentarsi dell’imprecisione della clessidra ad acqua o altri rudimentali apparecchi. Ma ovviamente l’elenco sarebbe lungo, a cominciare dal telescopio e dal microscopio, senza i quali l’astronomia e la biologia moderne non esisterebbero. Infatti può accadere che uno strumento scientifico possa influenzare la configurazione e la metodologia di una disciplina scientifica, perfino le sue teorie; d’altronde la sua caratteristica specifica è di essere non un mero utensile bensì proprio la reificazione della teoria[2].

Tuttavia l’analisi compiuta da Koyré è incompleta, perché nella sua ricostruzione del nesso tra téchne ed epistéme è incorso in una “distrazione” epistemologica, ignorando un elemento costituente e originario della tecnica: l’arte. La distrazione è comprensibile, in quanto l’evolversi della scienza le ha separate, creando due spazi disgiunti, per cui pensare la relazione tra scienza e arte può sembrare irrilevante o addirittura fuorviante, dato che ci si è abituati proprio a pensare all’interno dell’antinomia scienza o arte. L’antinomia è antica: iniziò a formarsi con la filosofia antica, che postulava una superiorità gnoseologica della teoresi sulla prassi; si consolidò nel Medio Evo, entro la distinzione tra arti liberali ed arti meccaniche; si rinnovò in epoca moderna, sia pure in termini differenti rispetto al passato, dopo il breve momento rinascimentale.

Nella Grecia classica téchne designava attività artigianali, pratiche, umili ed infime, perciò spesso la parola veniva pronunciata con dispregio dai filosofi che stavano elaborando una forma di conoscenza astratta ritenuta superiore, l’epistéme. La traduzione latina di téchne  fu ars, ovvero un insieme di procedimenti atti a produrre un determinato risultato nel variegato mondo dell’agire umano; nel Medio Evo il campo dell’arte si divise tra arti liberali ed arti meccaniche, le prime proprie degli intellettuali, le seconde degli anonimi artigiani. Dal ‘300 in poi alcuni tra questi (il pittore, lo scultore, l’architetto) cominciarono a godere di nuova e maggiore considerazione e la loro arte si separò da quelle meccaniche; è un processo che culmina col Rinascimento, quando uomini come Michelangelo non furono più considerati come semplici artigiani ma piuttosto artefici, demiurghi della materia, e quindi si formerà la nuova e sempre più rigida dicotomia artigiano o artista; dopo il Rinascimento, ormai riformulata l’antica gerarchia, il termine “arte” quindi designerà esclusivamente quelle attività creative e ricreative alle quali la cultura moderna riconosce un ruolo esteticamente differenziato e privilegiato. Dunque c’è stato un processo storico per cui nell’epoca moderna téchne diviene da un lato “tecnica”, anzi “tecnologia”, cioè un metodo organizzato su basi scientifiche per controllare e modificare l’ambiente in modo vantaggioso per l’essere umano, dall’altro “arte”, anzi un complesso di “belle arti”[3]. Si deve dunque soprattutto alla scienza di aver fatto della tecnica, la “vile meccanica” medievale, il proprio indispensabile ausilio, sottraendola al limbo dell’ignobiltà. L’arte ha avuto un altro destino, perfino è diventata, in epoca romantica, l’antagonista della scienza.

 Eppure, in quanto tecnica anch’essa, ha avuto un ruolo di non scarso rilievo nella nascita della scienza, e anch’essa ha contribuito al passaggio dal mondo del pressappoco all’universo della precisione; perché se lo strumento ha fornito alla conoscenza scientifica la possibilità della misura precisa e dell’esperimento, l’arte l’ha provvista invece del sostegno dell’osservazione e della descrizione minuziosamente empirica.

Soprattutto nel campo della biologia, prima però della sua costituzione in scienza, nel XIX secolo. Nel ‘600 la fisica elaborò un nuovo paradigma, il meccanicismo, nonché una metodologia di ricerca che liberò l’indagine della natura da speculazioni e superstizioni; lo stesso non avvenne per lo studio del mondo vivente, anche se ci fu il tentativo, fallito, di Cartesio di estendere il punto di vista meccanicista agli organismi. Priva di un proprio paradigma subì un ritardo epistemico, che tuttavia non fu causato da un deficit di ricerche e di sviluppi nella conoscenza della natura: il progresso vi fu, però avvenne più lentamente e in un ordine sparso, perché più tardo fu il distacco dalla tradizione. D’altronde la situazione di partenza, nell’epoca rinascimentale, era piuttosto deprimente: sostanzialmente il sapere biologico era fermo alla zoologia di Aristotele e la botanica di Teofrasto; nel Medio Evo quindi circolavano soprattutto erbari più o meno imprecisamente copiati da Sulla materia medica di Dioscuride e pittoreschi bestiari influenzati dalla Storia della natura di Plinio il Vecchio. Da lì dunque si ripartì, ma con un nuovo fervore  e con quello spirito proveniente dalla cultura umanistica che progressivamente andava liberando la natura dalle scolastiche credenze teologiche, dalle trascendenze soprannaturali, per farne il regnum hominis, l’ambiente della vita umana, perciò oggetto di studio libero e realisticamente consistente. Cosicché quei bestiari ed erbari medievali tanto vaghi ed irrealistici divennero via via più precisi, mentre la rappresentazione pittorica ricercava sempre più i suoi modelli dal vivo, nelle piante e negli animali, studiandoli e disegnandoli.

La formazione del naturalismo rinascimentale fu insieme filosofica, ad esempio con l’affermazione del determinismo di Pomponazzi, ed artistica, ad esempio con il realismo delle pitture di Masaccio; da questa coincidenza,  conseguentemente, ne sortiranno una scienza artistica e un’arte scientifica e, ovviamente, una straordinaria sinergia tra gli artisti e gli scienziati. Talvolta - esemplare è il caso di Leonardo da Vinci - persino un concentrarsi dell’uno e dell’altro nella stessa persona.

L’evento storicamente più evidente è che l’arte si rivelò essere un eccellente strumento divulgativo, tant’è che il suo incontro con la scienza fece nascere il nuovo genere dell’illustrazione scientifica[4]; tuttavia, nonostante la minore evidenza, è  epistemologicamente più interessante che oltre il suo ruolo divulgativo, l’arte fu stimolante sollecitazione per l’indagine scientifica: non è esagerato affermare che gli studi anatomici dei pittori contribuirono a far nascere l’anatomia moderna. Basti menzionare il De humani Corporis Fabrica di Andrea Vesalio, del 1543[5], con le sue circa 300 illustrazioni opera del pittore ed incisore Stephan Van Calcar, allievo di Tiziano, dove la bellezza e la precisione si incontrano e il sodalizio tra il bisturi e il pennello segna una evoluzione nei procedimenti di osservazione e descrizione del corpo umano. Ma l’elenco delle opere a cui collaborarono gli artisti sarebbe lungo: Dell’anatomia et dell’infirmità del cavallo, del 1598, di Carlo Ruini;  l’Historia animalium, del 1558, di Conrad Gesner; il De historia stirpium del botanico Fuchs, del 1542; ecc..

Ma l’ausilio che l’arte fornì alla scienza non si limitò soltanto all’osservazione e alla raffigurazione naturalistica, fu invece ben più ampio ed incisivo. Leonardo disegnò i solidi regolari del trattato De divina proporzione di Luca Pacioli,  Dürer incise le tavole della Geographia di Pirckheimer, Rubens corredò di raffinate illustrazioni gli Opticorum libri sex di Aguilanius; inoltre lo studio e la  codificazione rinascimentale della prospettiva fu la premessa dei metodi proiettivi e della rappresentazione cartografica moderna nonché stimolo per i matematici che ne trassero l’ispirazione per studiare determinati problemi di geometria piana e solida. E fu un pittore, il Cigoli, a supervisionare le tavole che illustrarono Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari di Galileo Galilei.

La stima, l’amicizia e la collaborazione tra il  pittore e lo scienziato è l’espressione esemplare della cooperazione che nacque e si sviluppò tra ‘500 e ‘600 tra arte e scienza[6]. Frequentando gli stessi ambienti intellettuali fiorentini e romani (ad esempio a Firenze ambedue furono allievi di Ostilio Ricci, che insegnò loro matematica e prospettiva) si conobbero e si scambiarono esperienze e conoscenze: Galileo si dilettava nel disegno, Cigoli svolgeva osservazioni astronomiche, discussero nella loro corrispondenza delle macchie solari da ambedue osservate col cannocchiale ma anche di questioni di estetica, l’opera incompiuta di Cigoli Trattato di prospettiva accoglie consigli di Galileo, che nel 1611 misurò per l’amico la cupola di S.Maria Maggiore a Roma, al cui interno l’amico doveva dipingere L’Assunta. Che dipinse, tra il 1610 e il 1612, raffigurando ai piedi della madonna la Luna esattamente come l’aveva raffigurata Galileo nel  Sidereus Nuncius, così donando all’amico un riconoscimento per le sue eccezionali scoperte astronomiche ma contemporaneamente contribuendo alla peculiare tendenza artistica che si andava diffondendo in pittura, che potremmo definire naturalismo astronomico[7]. D’altronde proprio il Sidereus Nuncius ci mostra accanto al Galileo scienziato il Galileo pittore, perché suoi sono gli straordinari acquerelli magistralmente dipinti che corredano il testo.

L’incontro romano tra Galileo e Cigoli avviene ovviamente nel momento del trionfo di Galileo dopo la pubblicazione del Sidereus Nuncius[8], che appunto a Roma si reca e in quell’occasione diviene membro, come Cigoli, dell’Accademia dei Lincei. Fondata da Federico Cesi nel 1603 col proposito di promuovere l’indagine naturalistica, liberandola dall’aristotelismo ancora dominante nelle università e dalla pedante erudizione antiquaria allora di moda, fu un sodalizio proficuo[9] e soprattutto un  luogo propizio all’ incontro tra l’arte e le scienza. Poiché l’attività accademica era rivolta soprattutto alla botanica, la zooologia, la paleontologia e la medicina, i Lincei si avvalevano di disegni e stampe per la divulgazione delle loro ricerche, per cui stimolarono la  nascita di una pittura filosofica, un’arte colta e didattica, espressione dell’indagine naturalistica, cui dettero il loro contributo pittori giovani nordeuropei come Rubens ed Elsheimer, pubblicando opere come per esempio la Melissographia di Greuter. L’intento era di illustrare il Theatrum totius naturae, concepito dal Cesi come una classificazione enciclopedica del mondo illustrata da disegni degli accademici come Cesi e Stelluti, oppure commissionati a professionisti. L’apporto di Galileo all’Accademia sul piano metodologico e concettuale fu ancora una volta rilevante, non solo perché a questi libri dipinti Galileo contribuì (ad esempio all’edizione del Tesoro messicano). Ma anche perché a Roma – ma non solo a Roma - il metodo d’indagine e gli strumenti da lui perfezionati per favorire l’osservazione, il telescopio e il microscopio, mutarono radicalmente gli assunti della pittura e della ricerca scientifica[10].

 

Note 

 

[1] A. Koyré, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Torino, 1967.

[2] T. Gorini, L’essenza dello strumento scientifico, Naturalmente, 2, 2010. Sulla relazione tra scienza e arte dal punto di vista epistemologico v. anche T. Gorini,  Scienza e arte, Naturalmente, 2, 2009.

[3] Téchne è una parola densa, indice di un nodo concettuale da cui si dipartono congiunture ingarbugliate che per essere districate richiedono di seguire il percorso dei suoi significati, perciò  un breve excursus filologico e filosofico può aiutare a comprendere. in Platone persistono ancora le oscillazioni concettuali proprie della transizione teoretica ma ormai il cammino è intrapreso, perché nonostante l’accostamento di epistéme e téchne sia incerto e discontinuo, pur nell’indeterminatezza lessicale si capisce che l’una è subordinata all’altra, che  una differenza,  una gerarchia di forme di conoscenza si va instaurando, ripudiando l’ambito culturale in cui téchne era un’altra cosa, aveva un altro significato. Omero infatti la poneva in relazione con il lavoro dei carpentieri e dei metallurghi, nonché con le attività femminili (la tessitura, ad esempio), coi sortilegi di Proteo e le magie di Ephaistos; la varietà dei riferimenti è comprensibile, poiché nella Grecia arcaica démiourgoi non sono soltanto gli artigiani bensì tutti coloro che operano all’esterno dell’oìkos per il demos, quindi anche gli araldi, gli aedi, gli indovini, ecc., perciò anche la magia è una téchne, così come tutte le manifestazioni derivate dal fenomeno dello sciamanesimo (l’unica discriminante opportuna è forse quella di escludere dallo spettro delle téchnai la guerra e l’agricoltura, perché connesse ad un sistema di rituali e rappresentazioni che è loro estraneo).

[4] Occorre ricordare però che alla diffusione  del genere tuttavia dette un contributo decisivo il contemporaneo incremento e perfezionamento della produzione di libri stampati, che consentiva di integrare la comunicazione scientifica con immagini efficaci; dal ‘500 in poi buona parte delle opere di anatomia, zoologia, botanica e storia naturale si basarono sulle illustrazioni di artisti che cooperavano con gli scienziati, corredando le loro opere con le immagini da loro dipinte o incise.

 

[5] Fu un caso che la Fabbrica sia stata pubblicata nello stesso anno del De revolutionibus Orbium caelestium, ma per la storia della scienza assume una valenza simbolica questa pubblicazione contemporanea di due testi che furono determinanti per lo sviluppo della fisica e della biologia.

[6] Ludovico Cardi, detto il Cigoli (dal nome della località in cui nacque nel 1559) visse e si formò a Firenze come pittore e intellettuale; fu infatti membro di varie accademie, tra cui quella della Crusca, e si dedicò alla musica e alla poesia. Trasferitosi a Roma, vi si distinse per l’apprezzata opera pittorica ma anche per la sua difesa dell’amico Galileo, che aiutò osservando anch’egli col telescopio le macchie solari. Morì nel 1613.

[7] notturni Rubens Paesaggio al chiaro di Luna Elsheimer 1609 La fuga in Egitto, in cui laluna raffigurata in un modo che sembra tartto dal SN

[8] Divenne tanto famoso che Giambattista Marino nel X canto, quello della Maraviglia, di quell’opera barocca e moderna che è l’ Adone, del 1623,  celebra Galileo come “novello Endimion” (nel mito greco Endimione è il bellissimo giovane di cui si innamora Selene).

[9] Basti ricordare che fu l’Accademia a pubblicare Il Saggiatore, nel 1623. Tuttavia l’Accademia ebbe vita breve: la morte di Cesi nel 1630 e il clima controriformistico portarono alla sua estinzione nel 1650. Dopo la morte del suo fondatore  disegni, libri e manoscritti  dell’Accademia furono custoditi da Cassiano del Pozzo e furono studiati dal fiorentino Carlo Roberto Dati, promotore dell’Accademia del Cimento nonché della prima edizione degli scritti galileani Lincei furono accessibili ai pittori (Pietro da Cortona, Nicolas Poussin) e furono ispirazione ad opere quale L’impero di Flora di Poussin.

[10] Sul rapporto tra Galilei e l’arte F. Camerata, Arte e scienza. Da Leonardo a Galileo, ArtDossier, Giunti; Panofsky, Galileo come critico d’arte, 1954; Il cannocchiale e il pennello. Nuova scienza e nuova arte nell’età di Galileo,Giunti, 2009