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L’architettura delle vespe
Eumenes  coarctatus  

L’architettura delle vespe

 

Piero Sagnibene

 

La storia della carta ha accompagnato l’evoluzione dell’uomo nel corso dei secoli permettendo la diffusione e la trasmissione di memorie storiche, nuove conoscenze scientifiche e filosofiche, diffusione dell’istruzione, fino alla conquista di una coscienza politica e storica che ha dato il via alla nascita degli Stati moderni. Pare che la sua invenzione si ebbe nel II secolo a.C., ma la prima descrizione della tecnologia per fabbricarla si deve a Ts’ai Lun, un eunuco, dignitario della corte imperiale cinese Han, che, nel 105 d.C., iniziò a produrre dei fogli di carta utilizzando la corteccia dell’albero Brussoneta papyrifera, il “gelso da carta” (Moraceae), brandelli macerati di stoffa usata e di reti da pesca. Macerando e lavorando questi materiali si produceva una pasta che veniva poi distesa e  pressata in fogli. La scoperta di questa tecnologia in realtà risale al Lias (Giurassico inferiore) 200 milioni di anni fa, ad opera di un gruppo di Imenotteri vespidi, ed è tuttora usata da loro per costruire i nidi.

 

I Vespidae sono una famiglia di Imenotteri che presenta alcune forme solitarie, le più importanti sono la sottofamiglia degli Eumenidinae, e quasi tutte forme sociali (Vespinae). Le loro singolari colorazioni, quasi sempre a strisce o disegni giallo brillante e nero, hanno funzione aposematica e servono ad avvertire eventuali predatori del pericolo da loro costituito. Moltissimi altri insetti, appartenenti agli ordini più diversi, e gran parte degli imenotteri, hanno le medesime colorazioni della livrea per ingannare i predatori. Le loro società sono formate da femmine sterili (operaie) ed una o più femmine fertili dette “regine”. I maschi appaiono solo nel periodo riproduttivo.

La costruzione dei nidi pedotrofici da parte delle vespe, sia per i materiali utilizzati, sia per le forme e le strutture architettoniche, richiede abilità e tecniche che sono trasmesse per via ereditaria, come parte del complesso patrimonio genetico delle specie.

Negli Imenotteri vi sono specie solitarie, appartenenti a famiglie diverse (Sfecidi, Apidi, Eumenidi, etc.) che condividono ambienti di vita e alcune abitudini. Anche in questo gruppo eterogeneo si manifestano tecniche ed abilità di costruzione dei nidi pedotrofici.

 

Vespe vasaie

Sceliphron caementarium, che rientra nel gruppo detto delle “vespe vasaie”, rielabora il fango ed utilizza la sua saliva come collante. La scelta del fango adatto è guidata da una sapienza istintiva, e infatti i nidi che costruisce sono estremamente duri e resistenti, simili a cemento. Costruisce nidi di forma cilindrica, che, quando il fango secca, divengono strutture molto compatte e tenaci, in cui sono contenute 2 o 3 cellette che contengono le larve.

Sceliphron caementarium  

 

Un’altra “vespa vasaia”, l’Eumenes coarctatus, è una vespa solitaria che costruisce nidi di terra, sabbia e fango a forma di orcio con una straordinaria abilità nello scegliere i materiali, nell’elaborarli e nel modellarli nella forma del tradizionale contenitore di olio e vino.

 

 

 

 

l’Eumenes coarctatus Eumenes coartatus

Nidi di carta

Solo alcune specie di  api più evolute utilizzano per la costruzione dei nidi una loro secrezione che solidifica all’aria, la cera, ma le vespe non hanno tale facoltà e devono quindi ricorrere ai materiali che possono prelevare dall’ambiente, rielaborandoli nella consistenza e nella forma opportuna; in pratica  essi fabbricano “carta” che poi modellano nella forma dei loro nidi. La “carta” in questione è un impasto di frammenti di corteccia, finemente triturati dalle mascelle, mischiato con la saliva e poi essiccato nella forma richiesta. Quasi tutti i vespidi sociali costruiscono nidi che sono fatti di “cartone” che ha grande spessore per l’involucro esterno mentre è sottile per le tramezze interne. Le vespe raccolgono pezzetti di fibre già secche, le bagnano con la saliva, ne fanno una pallina e, tenendola  con la bocca e le zampe anteriori, la portano al nido. Qui la depongono, la rimasticano e la lavorano a lungo, girandole intorno; quindi la applicano sul punto in cui la devono incollare, ad esempio sul bordo di un foglio da allargare, e con le zampe la lisciano e la tirano distendendola in una lamina dello spessore richiesto. Sanno fare pilastri di sostegno duri e resistenti e fogli sottili e fragili, a seconda dell’uso a cui sono destinati. Talvolta raccolgono, se li trovano, pezzetti di carta, altre volte legno marcio; di solito non adoperano legno verde. Molte vespe ricoprono i fogli di carta, soprattutto quelli esterni, con la loro saliva, che spalmano aiutandosi coi  i pezzi boccali, e li rendono, in questo modo, impermeabili.

La forma dei nidi è molto varia e dipende anche dall’oggetto al quale sono ancorati. Alcune  specie li appendono agli alberi per mezzo di un peduncolo resistente, che poi continua con l’asse centrale del nido, oppure li allargano in un involucro; altre specie li fissano ai muri o ai sassi; altre li costruiscono nelle cavità degli alberi e mostrano una straordinaria abilità nel trovare i tronchi già intaccati; altre li fanno sottoterra. Le dimensioni del nido variano moltissimo e dipendono dalla densità della colonia. In generale i nidi constano di più favi, paralleli ma non contigui, separati l’uno dall’altro, che portano cellette solo sulla faccia inferiore. I più semplici sono formati da un solo favo sospeso ad un albero o ad un muro (in luogo riparato) con alcune decine di alveoli aperti verso il basso; i più complessi comprendono un gran numero di piani, uniti tra loro da pilastri ed avvolti da un involucro di parecchi strati di cartone. L’involucro presenta un’apertura di entrata di solito all’apice inferiore; nell’interno una serie di passaggi permette di raggiungere le ultime cellette; talvolta questi passaggi sono disposti a formare un’elica (una vera “scala a chiocciola”), in altri casi esistono più aperture laterali.

 

Polistes dominula  

Il nido della Polistes dominula è singolare e sorprende non soltanto per la sua complessa ed originalissima forma architettonica ma anche per il fatto che esso è sospeso ad un peduncolo che deve resistere alla forza di trazione esercitata dal peso del nido, poi delle larve, ed infine da quello degli adulti che poi sfarfalleranno dalle cellette. Il nido viene iniziato dalla sola femmina fondatrice che provvede sia al reperimento del materiale (cortecce), sia alla sua preparazione, triturando i frammenti di corteccia, impastandoli con la propria saliva e modellandoli. Nel costruire, la fondatrice deve tener conto del tempo di essiccazione del cartone, che non deve essere né troppo umido, né troppo secco, per poter applicare nuove parti; quindi ogni frammento va preparato mentre le altre parti a cui aggiungerlo non sono ancora del tutto essiccate. Il nido ha  forma di un alveare semisferico composto da cellette esagonali. Il peduncolo al quale è sospeso, per quanto appaia esile, risponde perfettamente al compito di reggere il peso del nido perché la sua lavorazione richiede più tempo: al fine di ottenere un impasto omogeneo, la fondatrice tritura  molto finemente i frammenti di corteccia più resinosi; non è stato ancora accertato se la composizione della saliva che utilizza per la fabbricazione del peduncolo contenga altre sostanze leganti rilasciate nella saliva ed in grado di dare maggiore coesione all’impasto nel quale i frammenti hanno un orientamento particolare, tale da favorire la resistenza alla trazione. Intorno al peduncolo la fondatrice costruisce le cellette a sezione esagonale. La celletta è un prisma e la forma esagonale della sua sezione, che è tipica degli imenotteri sociali, richiede meno materiali e, grazie alla compartecipazione delle pareti, consente di realizzare una struttura scatolare molto resistente. Ultimato il lavoro di costruzione, la fondatrice depone un uovo in ogni celletta. Le uova si schiudono dopo 15-20 giorni e nascono larve che sono nutrite dalla fondatrice. La crescita delle larve richiede proteine e la fondatrice caccia altri insetti con i quali nutre le larve. Dopo 2 settimane circa le larve cominciano a costruire i loro bozzoli, tessendo un filo di seta che progressivamente chiude l’apertura della loro celletta. La metamorfosi inizia quando la celletta è totalmente sigillata e gli adulti sfarfallano dopo circa 15 giorni. La fondatrice rilascia un feromone inibitore che induce coesione nella colonia e che inibisce lo sviluppo delle gonadi delle vespe operaie. Le vespe operaie, più piccole delle fondatrici, hanno come uniche funzioni quelle di difendere la colonia, ampliare il nido e raccogliere cibo per le nuove larve. In colonie abbastanza grandi, una “regina” può generare anche oltre 100 operaie, tuttavia non ve ne sono mai più di 20-30 contemporaneamente sullo stesso nido, poiché, a causa del loro incessante lavoro per la colonia, hanno vita piuttosto breve. Ad esempio, nelle ore più calde della giornata, soprattutto in piena estate  spesso le vespe operaie si dispongono sulle celle del nido e iniziano a far vibrare velocemente le ali in modo da creare un flusso d’aria fresca per impedire che la temperatura all’interno delle celle si alzi troppo causando la morte delle larve. Vespe e calabroni si nutrono principalmente di carboidrati che, a seconda dell'ambiente e dalla stagione, raccolgono da diverse fonti vegetali (nettare di fiori o  frutta matura). Solo le operaie cacciano per procurare cibo proteico alle larve. Verso metà estate la fondatrice muore.

Polistes dominula  

Prima di morire depone un nutrito numero di uova aploidi (non fecondate) da cui nasceranno maschi, ed un nutrito numero di uova feconde, diploidi, da cui, però, non nasceranno nuove operaie, ma nuove vespe fondatrici per l’assenza del feromone  inibitore  della “regina”. Ad inizio autunno si ha il completo sviluppo dei maschi e delle femmine fertili e gli accoppiamenti. Con l’avvicinarsi dell’inverno tutti i maschi e le operaie muoiono. Solamente le femmine fondatrici sopravvivono ai rigori invernali, in ibernazione e  in attesa di iniziare un nuovo ciclo l’anno seguente.

In circa il 40% dei casi, il nido può anche essere costruito da più femmine feconde; in questo caso, però, soltanto la prima fondatrice può deporre le uova; nel caso che essa muoia, la femmina gerarchicamente più vicina la sostituisce e può deporre le sue uova.

Di notevole interesse è il nido della Vespa crabro, il calabrone. Il materiale da costruzione è una amalgama di polpa di materiali vegetali, di fibre e di legno, tagliati con le mandibole e poi triturati e masticati mischiandoli con la saliva, fango ed altri materiali simili. Le fibre vegetali, che sono ottenute dai rami giovani di vari alberi a corteccia morbida, vengono lavorate fino ad ottenere una pasta modellabile che, una volta essiccata ed indurita, avrà notevole solidità. Inoltre, l’amalgama essiccata presenta la proprietà importantissima di essere idrorepellente, tale da non venire disfatta dalla pioggia e da altri agenti atmosferici. Il lavoro di costruzione inizia in primavera, quando la fondatrice si desta dalla ibernazione invernale; l’impasto viene modellato come una semisfera vuota, di pochi centimetri di diametro, rivolta verso il basso, nella quale la fondatrice costruisce le prime cellette a sezione esagonale, adiacenti e rivolte verso il basso, nella quali depone le prime uova. Dopo 5-8 giorni le uova si schiudono e ne escono le larve che vengono nutrite dalla fondatrice catturando altri insetti. Le larve si accrescono in 2-3 settimane ed occupano via via il volume della cella; poi entrano nella fase pupale, fabbricano il loro bozzoli e tappano la cella con un tappo di seta. In un paio di settimane completano la loro metamorfosi in vespe adulte.

Nido di calabrone in costruzione Nido completo di calabrone Vespa crabro

Queste sono vespe operaie, cioè femmine sterili, che provvedono alla cura della colonia. Durante queste fasi la “regina”, oltre a nutrire le  larve, continua ad espandere il nido; poi le nuove operaie continuano la costruzione, preparando l’amalgama ed aggiungendo pezzi e parti che non hanno una struttura uniforme, ma che sono saldamente incollati tra loro così da “fare corpo” con il resto della costruzione. Materiali e tecniche di costruzione non sono standard, ma variano, anche di molto, a seconda di ciò che le vespe possono reperire nell’ambiente. A partire dalle prime operaie e dal primo piano di cellette, la “regina” abbandona gradualmente le mansioni iniziali e si dedica alla sola deposizione delle uova e subisce un aumento del volume addominale a fronte della necessità di deporre un numero di uova sempre maggiore. Viene nutrita dalle operaie, va di cella in cella, depone uova e controlla che le larve siano tutte sue figlie, diversamente le uccide. Le operaie svolgono tutti i lavori: sono nutrici, provvedono alla pulizia del nido e delle larve, procurano cibo, soprattutto proteico, per le larve, sono guardiane e costruttrici. Durante l’estate la colonia cresce sempre di più; le operaie di un nido maturo, in agosto, possono essere dell’ordine delle centinaia, a settembre la popolazione delle operaie è al massimo demografico. A fine estate, la regina sospende la deposizione delle uova, lasciando spazio  alla sua prossima covata. L'ultima covata del nido non darà altre operaie: da uova aploidi (non fecondate) nasceranno maschi e da uova fecondate (diploidi) nasceranno femmine: saranno queste le  future fondatrici, meglio nutrite  dalle operaie e che beneficiano della molto minore concentrazione dell’ormone inibitore della “regina”.

Con lo schiudersi dell’ultima covata, circa a settembre, il nido comincia  a declinare. Le nuove fertili ed i maschi, più numerosi delle operaie, all’avvicinarsi dell’inverno dànno luogo agli accoppiamenti. Il maschio scelto è preferibilmente quello di un’altra colonia; poi la femmina comincia ad accumulare grasso corporeo per prepararsi alla  la stagione fredda. Nel frattempo, la vecchia regina si allontana dal nido e muore, poi cominciano a morire le operaie e la colonia si estingue. Solo le prossime fondatrici sopravvivono all’inverno. Del nido, in inverno, non resta che l'involucro cartaceo e le cellette abbandonate. I siti di ibernazione preferiti per le future regine sono tronchi d'albero marci o rifugi sottoterra, raramente manufatti umani.

 

Un’altra costruzione di notevole complessità è quella della Vespula germanica. La biologia della Vespula germanica è quasi analoga a quella della Vespa crabro. Le prime cellette sono coperte da un involucro impermeabile, che ripara il primo gruppo di celle nelle quali si sviluppano le prime operaie della nuova colonia. Queste, una volta sfarfallate, ampliano il nido, aggiungendo strati alla copertura iniziale; questa viene poi demolita per costruire altre cellette, ma presto un solo piano non è più sufficiente e ne vengono costruiti altri paralleli a quello iniziale, sostenuti da pilastri di carta. In poco tempo il nido raggiunge le dimensioni di un melone e mentre aumenta di dimensione, la regina ha sempre più cellette a disposizione per deporre le uova; per tutta la durata dell’estate il nido continua ad ampliarsi e le operaie continuano ad aumentare di numero. Spesso questi nidi sono formati da ben 7 piani di cellette, di cui quelli posti più in basso contengono cellette più grandi dedicate alle future vespe pronube.

Vespula gerrmanica Vespula germanica

L'ultima covata, prima della morte della regina, genererà nuove regine ed esemplari maschi. Le operaie stanno ormai morendo e ne restano sempre meno dopo la morte della regina ormai troppo anziana. Le poche operaie rimaste si dedicano esclusivamente al nutrimento e alla difesa delle nuove femmine fertili e dei maschi per prepararli al volo nuziale che solitamente si svolge quando le temperature sono ormai basse.

 

nido di Vespula  

 

La Vespula germanica, spesso viene confusa con la Polistes dominula. Per quanto si nutra anche di frutta matura, con poco danno, è di grande utilità nella lotta biologica contro alcuni parassiti  e nella impollinazione di Obrellifere, Euforbiacee ecc. È una specie poliginica, in cui possono esservi più “regine” in una stessa colonia (supercolonia) che può essere anche perenne.

 

 

 

 

 

 

 

 

Vespa velutina Vespa velutina Nido della vespa velutina  
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Nella primavera del 2017, sui monti del Giura (Svizzera), fu osservata una specie di vespa aliena, identificata poi nella Vespa velutina, detta anche “calabrone asiatico”; si tratta di una specie originaria di una zona compresa tra il nord dell’India, la Cina e l’arcipelago indonesiano. In queste zone d’origine la velutina è presente da centinaia di anni ma, probabilmente a causa di trasporto antropocoro, dal 2003 ha avuto inizio la sua diffusione alloctona, favorita dal fatto che si muove a una velocità di circa 100 km in un anno. È una specie  pericolosa per l’uomo, almeno  quanto la nostrana Vespa crabro, e diventa aggressiva se ci si avvicina al suo nido a meno di cinque metri. A differenza delle api, le vespe non lasciano il pungiglione nella vittima, ma possono infliggere più punture nell'arco di poco tempo.

È dannosissima per le api che essa caccia per nutrire le sue larve. Costruisce nidi annuali utilizzando sostanze fibrose di origine vegetale e macerandole con la masticazione e la saliva. In genere in aprile, le regine fondatrici, sopravvissute all’inverno, iniziano a costruire un nido primario delle dimensioni di una palla da tennis. In questa prima fase, la regina, da sola, si occupa della costruzione del nido, della deposizione delle uova di operaie e di nutrire la prole. In seguito, con la nascita delle operaie, la colonia si ingrossa e il nido viene ampliato. Successivamente, la colonia costruirà il nido secondario che può raggiungere grandi dimensioni e contenere migliaia di vespe. Capita spesso che il nido primario sia fondato dalla regina in luogo poco sicuro; in seguito viene abbandonato per

nido di velutina Vespa velutina caratterisctiche principali

costruire un nido secondario in un luogo più adatto. I nidi possono, infatti, essere costruiti in moltissimi ambienti, come aree naturali, rurali e urbane, e su diversi substrati, possono essere ritrovati su alberi, arbusti, tetti o balconi di case, all’interno di intercapedini, ma anche in cavità del terreno o su substrati rocciosi. Il nido è costruito con materiale cartaceo, con un' iniziale forma sferica, che diviene poi piriforme. Al massimo dello sviluppo può raggiungere i 40-70cm di diametro e un’altezza di 60-90 cm. Ogni nido incrementa la sua grandezza dalla primavera all’autunno. Un nido supersviluppato in autunno può contenere fino a 17.000 celle con circa 1200-1800 individui adulti.