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La complessità della negoziazione climatica: la COP26
COP26  

La complessità della negoziazione climatica: la COP26

 

Yuri Galletti

 

La ventiseiesima Conferenza delle Parti dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), in una sigla COP26, si è tenuta a Glasgow (Scozia) dal 31 ottobre al 12 novembre 2021. È stata presieduta dal governo britannico in partnership con l’Italia, dove a settembre si è svolta, a Milano, la conferenza preparatoria Pre-COP26.  Circa un anno fa il presidente della COP26 Alok Sharma dichiarava: “I passi che stiamo prendendo per ricostruire le nostre economie avranno un profondo impatto sulla sostenibilità, la resilienza e il benessere delle nostre future società e la COP26 può essere un’occasione in cui il mondo si unisce in nome di una ripresa pulita e resiliente”. Ora, ad un mese circa dalla fine della conferenza e a mente fredda, avendo ascoltato centinaia di dichiarazioni e letto decine di articoli sull’argomento cosa possiamo realmente dire?

 

Le premesse

 

Innanzitutto, un evento di negoziazione di questa portata dovrebbe essere considerato come estremamente complesso, in  quanto i 197 paesi coinvolti  devono necessariamente trovare un accordo o più accordi, ma ognuno di questi presenta le sue criticità, ha le sue priorità politiche, definisce specifiche leggi nazionali spesso molto differenti tra i vari paesi. Inoltre pesano i grandi divari economici tra paesi ricchi e paesi poveri e le disuguaglianze sociali, ancora più accentuate in seguito alla pandemia globale da Covid-19. L’aspetto principale che hanno in comune questi paesi è che si basano tutti fondamentalmente sull’economia degli idrocarburi, da cui deriva la crisi climatica che deve essere risolta a livello globale. Quindi i negoziati sul clima rappresentano oggi uno dei processi multilaterali più complicati della storia dell’umanità.

 

Una seconda premessa, più di carattere scientifico, riguarda il fatto che il modello economico che ha permesso negli ultimi due secoli lo sviluppo della nostra specie ha sicuramente portato enormi e concreti benefici, ma allo stesso tempo ci ha guidati verso una crisi planetaria dovuta al cambiamento climatico, alle modificazioni irreversibili degli ecosistemi, alla perdita di biodiversità, all’eccessiva urbanizzazione e quindi all’alterazione dei delicati equilibri della biosfera. Occorre ribadire il fatto che gli effetti dell’aumento della concentrazione dei gas serra climalteranti in atmosfera ed il conseguente aumento della temperatura media globale sono molteplici e colpiscono gli  ecosistemi, la componente vivente e quella fisica fino ad impattare sul nostro sistema socio-economico perché tutte le componenti delle biosfera sono interconnesse e si influenzano. Anche se riuscissimo ad azzerare le emissioni antropiche di gas serra entro il 2050 gli effetti e le conseguenze del cambiamento climatico, già in atto, persisteranno ancora per moltissimi anni.

  

Le aspettative

 

IPCC  

Ogni anno i paesi si ritrovano a discutere di clima e di quali strategie mettere in atto per affrontare la questione climatica. I report scientifici dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), principale organismo internazionale per la valutazione del cambiamento climatico istituito nel 1988, vengono inviati ai decisori politici che quindi hanno appreso, dall’ultimo  documento, che “limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto a 2°C, potrebbe andare di pari passo con il raggiungimento di una società più sostenibile ed equa”, ma che allo stesso tempo “limitare il riscaldamento globale a 1,5°C richiede cambiamenti rapidi, lungimiranti e senza precedenti in tutti gli aspetti della società”.

COP26 era vista da molti come un’ultima spiaggia, da altri osservatori come un’opportunità unica di cambio di passo, mentre da altri ancora, più critici, come un’inutile appuntamento di blablabla.

 

I risultati

 

Risultati della conferenza sui cambiamenti climatici di Glasgow  

Diamo qualche dato. La conferenza è stata  la più partecipata di sempre, con circa 40.000 delegati, tra cui quasi 22.000 delegati delle Parti, quasi 12.000 rappresentanti di ONG (organizzazioni non governative), poco più di 1000 rappresentanti dell’ONU (Nazioni Unite) e ha visto le presenza di molti giornalisti (oltre 3000). È stata anche la più seguita di sempre e questo dimostra come ci sia una crescente consapevolezza sul tema anche da parte dei media generalisti e dell’opinione pubblica oltre che da parte delle istituzioni.

In sintesi, COP26 aveva quattro obiettivi principali: (1) mitigazione, (2) adattamento, (3) finanza e (4) collaborazione. Il 13 novembre 2021 il patto per il clima di Glasgow (Glasgow Climate Pact) è stato firmato dai 197 paesi partecipanti.

 

Sono state  50 le decisioni ufficiali prese durante le due settimane di negoziati che hanno permesso di raggiungere alcuni risultati importanti. In primis sono stati approvati i decreti attuativi, tra cui tabelle e formati, che serviranno a formalizzare gli accordi di Parigi del 2015 (COP21) e che saranno applicabili a tutti i paesi entro il 2024. Inoltre sono state approvate le regole sul mercato globale della CO2 (articolo 6 dell’Accordo di Parigi), con un testo approvato all’unanimità da esperti ed associazioni ambientaliste.

 

Un altro importante punto è rappresentato dall’aumento dell’ambizione negli impegni di riduzione delle emissioni climalteranti. È stata ribadita la necessità di contenere l’aumento della temperatura globale entro gli 1,5°C rispetto ai valori pre- industriali, così come suggerito dalla comunità scientifica. Occorre inoltre evidenziare un fatto importante sulla questione dei combustibili fossili, il cui termine non compariva nemmeno nell’Accordo di Parigi e sembrava essere diventato un vero e proprio tabù. Invece, durante COP26, più di 60 paesi, fra cui molti in via di sviluppo, hanno sottoscritto un documento in cui si impegnano a non costruire nuove centrali a carbone.

 

130 Stati e numerose istituzioni finanziarie si impegneranno inoltre “per arrestare e invertire la perdita di foreste e il degrado del suolo entro il 2030”. Per raggiungere tale scopo sono stati stanziati 12 miliardi di dollari dai singoli paesi e 7 da società private, tuttavia tale impegno non è vincolante per i governi e quindi non ci sarebbero conseguenze in caso di violazioni. Non è purtroppo stato raggiunto un impegno definitivo per il fondo da 100 miliardi di dollari all’anno per sostenere i paesi più vulnerabili. Questo accordo doveva già essere raggiunto nel 2020, tuttavia la negoziazione è proseguita anche durante COP26 grazie all’impegno messo in campo da parte di istituzioni finanziarie e i paesi partecipanti al fine di aumentare i propri contributi e raggiungere il traguardo dei 100 miliardi il prima possibile

 

Molto importante dal punto di vista politico e strategico l’accordo tra Cina e Stati Uniti al fine di collaborare per risolvere insieme la questione climatica.

 

Per quanto riguarda la tematica, spesso sottovalutata, dell’adattamento al cambiamento climatico si è raggiunta un’intesa sul programma di lavoro relativo al “Global Goal on Adaptation”, finalizzato a definire gli indicatori per monitorare le azioni di adattamento dei Paesi.

 

È stata infine la COP in cui si è riconosciuto  finalmente il  fondamentale  e determinante lavoro della  comunità scientifica, anch’essa chiamata a compiere sforzi senza precedenti in termini di cooperazione e produttività, considerando inoltre che spesso non riceve finanziamenti adeguati a sostenere le proprie ricerche.

 

Sostenibilità ambientale ed educazione  

In definitiva, si può affermare con certezza che qualche passo in avanti è stato fatto, ma sicuramente ancora insufficiente per evitare quel repentino cambio di stato del sistema biosfera che potrebbe tramutare la Terra in un ambiente molto inospitale, sicuramente inadatto a sostenere i nostri bisogni. Occorre quindi ancora definire molte strategie d’intervento e continuare sulla strada dell’azione, continuando a lavorare nella direzione delle neutralità climatica, rafforzando la cooperazione tra stati ed investendo sullo sviluppo sostenibile. Ciò si raggiunge potenziando la ricerca scientifica, l’istruzione e la comunicazione. Questi ambiti sono determinanti per poter affrontare con consapevolezza le grandi criticità globali e la complessità che ne deriva. Infine, è dal mondo delle istituzioni che ci aspettiamo sempre qualcosa in più, sia a livello internazionale quando si tratta di andare a negoziare sia a livello nazionale e locale quando si tratta di individuare azioni concrete volte a promuovere la necessaria transizione ecologica fondamentale per dare un futuro alla nostra specie.

 

 

Yuri Galletti

Laureato in Biologia Marina, dottorato in Ambiente e Scienze della Vita, Master in Gestione della fascia costiera e delle risorse acquatiche e Tecnico per il monitoraggio ambientale.

Socio della Cooperativa Cambiamo (link) e volontario di Legambiente e membro del direttivo di Pisa, organizza eventi sostenibili, attività varie per la cittadinanza, si occupa di divulgazione e educazione ambientale.

Ha esperienze in acquacultura. Impegnato nello staff dell’area marina protetta Secche della Meloria. Docente di chimica e biologia, nonchè di educazione ambientale per scuole medie e superiori e per master universitari. Nel 2015 ha partecipato alla Expo School Sviluppo, Ambiente e Sostenibilità. Nel 2017 ha partecipato alla prima Summer Accademy organizzata dal prestigioso Club di Roma. 

Presidente di Semi di Scienza: associazione di promozione sociale nata il 18 dicembre 2018 con lo scopo di promuovere la cultura scientifica nella società. La divulgazione è rivolta a tutti: bambini, ragazzi e adulti di ogni età. Unisce le varie competenze degli esperti dell’associazione (docenti, ricercatori e professionisti), collaborando con numerose realtà presenti sul territorio italiano e coinvolgendo attivamente i soci per rendere migliore la diffusione del sapere.