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I santi medici Cosma e Damiano

 

Cosmo e Damiano sostituiscono una gamba ulcerata con quella di un etiope morto di recent

Nella leggenda dei santi medici Cosma e Damiano

un’idea di servizio sanitario pubblico

 

Luciano Luciani

 

   Tra le accuse che nel corso dei secoli più spesso si sono ripetute nei confronti della categoria dei medici c’è quella di essere venali. Fin dai tempi della Scuola medica salernitana (sec. XI), che consigliava “segua il medico questa regola: dica paga, paga! quando il malato esclama: ahi, ahi!”, ritorna frequente la denuncia secondo la quale i professionisti della salute vendono a caro prezzo le proprie abilità e competenze professionali, quando queste pure ci sono. Nel suo celebre Il malato immaginario, un amaro e desolato Moliere non può fare a meno di esclamare “Ne deve aver ammazzato di gente per essere diventato così ricco!”, mentre tre secoli e mezzo più tardi un celebre umorista e scrittore statunitense, James H. Boren, tra il serio e il faceto, racconta: “Ho ricevuto la fattura per un’operazione chirurgica. Ora so perché quei dottori avevano la maschera”. Insomma, se fin dal Codice di Hammurabi questo è stato per millenni il senso comune diffuso che vede i medici come gli uomini d’affari della scienza, quelli che prendono i soldi quando Dio ha provveduto alla guarigione dell’ammalato, ben ci spieghiamo allora la fama di santità di Cosma e Damiano e la loro straordinaria popolarità.

   Cosma e Damiano, forse gemelli, forse fratelli ma anche no, nacquero in Arabia nella seconda metà del III secolo. Dopo aver appreso in Siria l’arte della medicina, la esercitarono nella regione della Cilicia, l’attuale Turchia. Divenuti ben presto famosi perché curavano felicemente “tutte le infermità, non solo quelle degli uomini, ma anche degli animali”, svolgevano la loro attività gratuitamente, approfittando, però, di ogni occasione per un’intensa opera di propaganda in favore del cristianesimo. Il loro zelo disinteressato e il loro largo successo finirono ben presto per suscitare i sospetti delle autorità romane impegnate, secondo i dettami dell’imperatore Diocleziano, a salvare il vecchio mondo della tradizione dalla minaccia rappresentata dalla nuova religione cristiana, ormai la più diffusa soprattutto nella parte orientale dell’impero. Arrestati in quel di Cyrrhus, al confine tra la Siria settentrionale e la Turchia, e condannati a morte per lapidazione, secondo i canoni della tradizione agiografica, videro la loro esecuzione più volte miracolosamente contraddetta. Prima, le pietre tirate contro di loro tornarono indietro ferendo invece i carnefici; poi, sostituiti i sassi con le frecce, anch’esse rimbalzarono prodigiosamente sui corpi dei due medici mettendo a repentaglio la vita di chi le aveva scoccate. Solo la decapitazione con la spada, una fine, questa sì, degna di un cittadino romano, pose termine al loro martirio.

   Inizialmente Cosma e Damiano non furono sepolti l’uno accanto all’altro, ma separati e lontani: questo perché l’inflessibile Damiano non perdonava al fratello il fatto di essersi fatto retribuire da una donna per le cure a lei prestate. Un dissidio che aveva agitato i due in vita e che, trascinandosi anche nel post mortem, appariva decisamente insanabile. Ma la tradizione leggendaria vuole che un cammello, parlando con voce umana, abbia allora rivelato che sì, Cosma si era fatto retribuire, ma esclusivamente per non offendere la sensibilità della donna. Così, anche dopo morti, i nostri due medici martiri della fede tornarono insieme e fin da subito dettero vita a un culto che si diffuse in oriente come in occidente, a Costantinopoli e a Roma, riuscendo a superare l’usura dei secoli e dei millenni. A partire dal Quattrocento, i Medici fiorentini li vollero patroni della città e il nome di uno di loro, Cosimo-Cosma, lo ebbe proprio l’iniziatore della gloria familiare e si ripeté più volte nella storia di quella schiatta. Protettori dei medici e dei chirurghi, dei farmacisti e delle levatrici, i santi medici Cosma e Damiano soccorrono anche le sorti dei barbieri, che, almeno fino al Settecento, erano soliti esercitare la bassa chirurgia dei salassi, dell’estrazione dei denti, della castrazione dei fanciulli, della litotomia. La loro festa cade il 26 settembre.