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Michael Collins

 

Addio a Michael Collins, solitario eroe della Luna

 

Michael Collins, l’uomo più solo dell'universo che girava intorno alla Luna mentre Neil Armstrong e Buzz Aldrin si spartivano la gloria delle prime orme lasciate dall’uomo su un altro pianeta, adesso è ancora più solo. Se n’è andato chissà dove (era credente) poche ore fa a 90 anni, per un tumore. Di tutti gli eroi delle missioni Apollo, era il più riservato e modesto. Fu così anche una sera del 1989 quando venne a Torino e per “la Stampa” e “Tuttoscienze” incontrò i torinesi che gremivano i 1400 posti del teatro Colosseo. Spiegò che mentre in orbita sul modulo lunare ascoltava la “Sinfonia dal nuovo mondo” non provava nessuna invidia per i colleghi che calpestavano in mondovisione il Mare della Tranquillità ma pensava ai 27 astronauti meno fortunati di lui che erano rimasti a terra. 

 

Sembrava ET 
Zigomi sporgenti, viso scavato, fronte bombata, assomigliava all’ET di Carlo Rambaldi. Ma aveva a cuore questo nostro pianeta. “Ne sono certo, se ciascuno potesse vedere dal finestrino la Terra galleggiare, tutti i giorni sarebbero il Giorno della Terra. Ci sono poche cose più fragili o più belle della Terra. Lavoriamo insieme oggi e tutti i giorni per proteggere la nostra casa.” Questo il suo ultimo twitt. 

 

 
Nato a Roma, per caso

Pilota del modulo di comando dell’Apollo 11, Collins era nato il 31 ottobre 1930 in via Tevere 14, a Roma, dove suo padre, generale di divisione dell'esercito, era addetto militare presso l'Ambasciata americana. Allievo dell'Accademia militare di West Point, diventa ufficiale di aviazione e collauda aerei da caccia accanto ad Armstrong nella base californiana di Edwards.  

 

La macchina fotografica persa in orbita 
Entra alla Nasa nel 1963. Il suo primo volo spaziale si svolge dal 18 al 21 luglio 1966 a bordo della Gemini 10. Durante la missione, compiuta con John Young, esce due volte dalla navicella per eseguire lavori sul razzo Agena lanciato qualche mese prima. Perse la sua macchina fotografica, una Hasselblad che divenne così il primo prezioso rifiuto spaziale.  

Già al tempo della Gemini 10 Collins si distingueva per la sua laconicità. A Houston era noto come il più silenzioso dei 52 astronauti del Centro spaziale. Si è poi saputo – lo rivelò Armstrong – che per passare il tempo durante il suo lungo viaggio solitario si era portato una cassetta con la sinfonia Dal nuovo mondo di Dvorak. Eppure i silenzi di Collins nascondevano una umanità sensibile. Toccò a lui, il 27 gennaio 1967, trovare le parole per annunciare alla moglie Martha che suo marito Roger Chaffe era morto bruciato sulla rampa dell’Apollo 1. 

 

Un esploratore 
“Mentre entravo nella capsula dell’Apollo 11 – ha scritto in “Liftoff” – mi sentivo più un esploratore che un astronauta. Girando lo sguardo a destra avrei visto la spiaggia assolata della Florida e la madre di tutti gli esseri viventi, l’acqua del mare. Girandomi dall’altra parte, avrei visto il meglio della tecnologia degli Stati Uniti e la macchina più complicata mai costruita. Confesso che qualcosa dentro di me mi spingeva a guardare verso il mare, ma ero stato addestrato per volare su quella macchina, e adesso era tempo di partire. Pensai: dopo la Luna, ci sarà altro tempo per le spiagge, mi auguro…”. 

 

Resoconto dimesso 
Non c’è nulla di eroico nel racconto di Collins. Il suo resoconto dei fatti è smitizzante: al decollo l’accelerazione del Saturno 5 è dolce: 1,25 g, il peso normale dell’astronauta aumenta soltanto di un quarto; dopo 2 minuti e mezzo, quando il primo stadio esaurisce la sua spinta, il peso è quadruplicato, ma tutto avviene con gradualità. All’accensione del secondo stadio il razzo si libera della “torre di salvataggio”, il traliccio sulla cima del Saturno predisposto nel caso che il lancio abortisca. D’ora in poi qualsiasi cosa accada, non ci sarebbe scampo. “Finalmente possiamo guardare fuori – scrive riduttivo Collins – ma c’è poco da guardare: una striscia di cielo blu che sfuma nel nero”. L’accensione del terzo stadio avviene sull’oceano Pacifico: “In meno di sei minuti ha fatto il suo lavoro, a tre ore dal liftoff abbiamo completato due giri del mondo. Avranno impiegato di più gli spettatori del lancio per tornare ai loro motel. Viaggiamo più veloci di una pallottola di fucile, ma è difficile rendersene conto perché fuori non ci sono punti di riferimento vicini. (…) La capsula ruota lentamente per evitare che il calore del Sole ci arrostisca: siamo come polli sullo spiedo”.  

 

Il distacco dell’Aquila 
I tre giorni di crociera verso la Luna scorrono come in un ufficio: ognuno controlla la propria checklist delle cose da fare. Lui descrive così la luce cinerea: “La Luna che conoscevo era un disco bidimensionale. Di qui si vede bene che è tridimensionale. (…) La sua sfera è divisa in due regioni: una, luminosa, riflette la luce del Sole, l’altra, semioscura, riflette la luce della Terra”. Mentre girano intorno alla Luna, si meraviglia della precisione della traiettoria come se non fosse lui il pilota. Sorvolando la regione dove è previsto lo sbarco, Buzz ripassa i punti di riferimento che lui stesso ha battezzato: Mount Marilyn, Boot Hill, Duke Island, Diamondback, Sidewinter. All’ora stabilita, Neil e Buzz, indossano le tute per l’attività extraveicolare con i loro mille tubicini in cui scorre l’acqua del condizionamento termico e si trasferiscono nel Lem. L’Aquila si stacca e fa una piroetta affinché Collins possa controllare che tutto sia a posto: “Mai vista un’aquila come quella: asimmetrica, senza grazia, con brutti spigoli, fragile” è il suo commento. 

 

Volo stupendo 
Mentre Buzz e Neil scendono nel Mare della Tranquillità, ogni due ore Collins percorre un’orbita intorno alla Luna, e qui qualche emozione affiora. “Sono 48 minuti durante i quali non posso parlare con nessuno. Al di là della faccia sconosciuta della Luna ci sono tre miliardi di uomini, ma non posso vederli. Altri due uomini sono sulla superficie lunare, ma non posso vedere neppure loro. Mi sento terribilmente solo. Eppure questo volo solitario è stupendo. Nessuna paura. Provo sensazioni di consapevolezza, soddisfazione, fiducia, esultanza.” 

 

Manovra delicata 
Tocca a Collins la manovra per infilare la rotta del ritorno. Un piccolo errore potrebbe trasformare la capsula Apollo in una bara che orbita per sempre intorno alla Luna. Manovra perfetta. Infine il rovente ingresso nell’atmosfera: “Un tunnel di colori: sfumature fior di lavanda, luci blu-verdi, tocchi di violetto, il tutto avvolto in una sfera arancione e gialla”. 

Terminate le tre settimane di quarantena, Michael stila un bilancio minimalista: “Come Neil e Buzz sono diventato il punto focale dell’attenzione del mondo intero. Ma noi tre eravamo solo l’apice visibile dell’enorme sforzo di migliaia e migliaia di uomini e di donne. La loro storia, la navicella e le attrezzature che hanno progettato, costruito e fatto funzionare: questo è il vero fondamento dell’esplorazione dello spazio.”  

 

Vita tranquilla 
Sposato con Patricia Finnegan, al tempo di Apollo 11 Michael Collins aveva tre figli: Kathleen, dieci anni, Ann, otto, e Michael jr., sei. Dopo l'impresa lunare, tenta con poca fortuna la carriera politica come assistente del segretario di stato William Rogers. Passato alla Smithsonian Institution, per molti anni ha diretto a Washington il National Air and Space Museum, che conserva la più importante collezione di cimeli aeronautici e spaziali del mondo: tra questi, la capsula dell’Apollo 11 che lo riportò a terra al termine del viaggio intorno alla Luna, l’aereo “Spirit of St. Louis” sul quale il suo personaggio-mito Charles Lindberg portò a termine la prima trasvolata atlantica in solitaria senza scalo (1927), e il “Flyer” dei fratelli Wright, che nel 1903 fu il primo aereo a staccarsi da terra. 

 

Faceva la spesa al supermercato 
Faceva il nonno e poi il bisnonno, viveva con la modestia e la regolarità di un pensionato statale, circondato da una famiglia tranquilla. Era lui il cuoco di casa. Diceva di essere felice quando andava a fare la spesa al supermercato e riusciva a tornare con le borse piene senza essere riconosciuto dalla gente. Solitario nello spazio, solitario sulla Terra. Nel 1999 l’Unione astronomica internazionale gli ha dedicato il pianetino 6471: con un diametro di 9 chilometri, per dimensioni è quasi il triplo dei pianetini battezzati con i nomi di Armstrong e Aldrin. La modestia talvolta viene premiata. 

 

Un po’ di nostalgia 
Ho incontrato Collins vent'anni dopo l’Apollo 11, nel 1979. La mia prima domanda evocò lo spettro della solitudine assoluta, del silenzio cosmico. "Eppure ricordo quei lunghi silenzi con nostalgia – rispose – Fu un'esperienza esaltante. Ero solo nell'Universo, io e la mia macchina volante. Una macchina non poi tanto diversa da quelle che ero abituato a collaudare, anche se lo spazio interplanetario in cui viaggiavo era pur sempre qualcosa di nuovo. Amo il silenzio, sono un uomo di poche parole. E lassù il silenzio era perfetto...".  

Al ritorno è stato difficile difendersi dal chiasso? "Per fortuna l'America ha la memoria corta, dimentica presto. Oggi posso passeggiare tranquillo. Se poi qualcuno mi riconosce, allora è una noia: sempre la Luna, sempre le stesse domande".  

Un bilancio della sua vita? "Mi ritengo un uomo fortunato. Al momento giusto, mi sono trovato per caso al posto giusto, ho colto un'occasione unica, sono diventato astronauta, mi è capitato di essere scelto per l'impresa più importante".  

 

Nessun rimpianto 
Armstrong e Aldrin sono scesi sulla Luna. Lei, pur avendo condiviso tutti i rischi, non ha avuto questo privilegio. Ha qualche rimpianto? "Eravamo in 30 a competere per la missione sulla Luna. Certo, delle tre poltrone la mia era la più oscura. Ma il confronto io non lo faccio con Armstrong, lo faccio con i 27 che sono rimasti a terra, dopo dieci anni di preparativi inutili".  

“Lo sbarco sulla Luna era sempre stato concepito come un’impresa che richiede almeno tre persone per motivi di sicurezza: due che scendano sulla Luna e uno in orbita ad attenderli. Si scende in due perché così ci si può dare reciproca assistenza in caso di imprevisti. Il terzo uomo, in orbita, è un po' come il 'campo base'. Il mio compito consisteva nel conoscere alla perfezione il modulo di comando Columbia, con il quale tutti e tre dovevamo tornare a terra. Del modulo lunare, una parte è rimasta per sempre nel Mare della Tranquillità, e la sezione che è servita a ripartire dalla Luna era destinata a essere abbandonata nello spazio".  

 

Catena dagli anelli fragili 
Che cosa provava mentre Armstrong e Aldrin scendevano sulla Luna e lei, viaggiando dietro la Luna, era completamente isolato per l'impossibilità di tenere il contatto radio? "Il viaggio Terra-Luna-Terra richiede otto giorni, durante i quali bisogna compiere molte manovre estremamente delicate. lo ho sempre paragonato queste manovre ai fragili anelli di una catena. Basta che uno si spezzi, ed è finita. Bene: quello che mi riguardava era l'anello più debole: riagganciare in orbita lunare la navicella di Armstrong e Aldrin. Quindi, mentre loro scendevano io non ero preoccupato. Sentivo che le cose fin lí sarebbero andate bene. Mi preoccupavo, invece, dell'appuntamento con la mia astronave al momento del ritorno: quella era veramente una fase critica. Quando tutto è andato bene, ho tirato un sospiro di sollievo e mi sono detto: bene, è fatta, non resta che tornare a casa".  

 

La lezione del Programma Apollo 
Qual è il significato scientifico del Progetto Apollo? "Abbiamo imparato di che cosa è fatta la Luna, abbiamo compreso meglio quale può essere stata la sua origine: forse lo scontro tra la Terra e un grande asteroide. Ma soprattutto abbiamo imparato come si può condurre una grande impresa scientifica. Il Progetto Apollo è riuscito grazie a una eccezionale cooperazione tra governo, scienziati, università, industrie, uomini politici, comuni cittadini. Io credo che ora si dovrebbe andare oltre, arrivare a una cooperazione ancora maggiore: non più semplicemente all'interno di un grande Paese, come gli Stati Uniti, ma tra molti Paesi del mondo".  

Pensa che l'uomo tornerà sulla Luna? "Credo proprio di sì. Per prima cosa, si costruiranno osservatori astronomici sulla faccia nascosta della Luna. Là non saranno disturbati dall'atmosfera, né dall'inquinamento luminoso ed elettromagnetico. Poi sorgeranno vere e proprie colonie. Non sono un astronomo, ma penso che i vantaggi saranno moltissimi. Io, personalmente, però sono più interessato a una colonia su Marte... In realtà, il mio sogno non era andare sulla Luna, ma su Marte. Lo dico sempre, sono andato sul pianeta sbagliato...".  

 

Verso Marte 
Come vede i progetti di conquista di Marte? "Questo sarà un programma enormemente costoso, che si attuerà in un futuro ancora lontano. La prima missione su Marte sarà un po' come la nostra sulla Luna: un breve sbarco, uno sguardo intorno, e tutti a casa. Credo però che poi, nelle missioni successive, ci sarà una differenza sostanziale: su Marte dovranno sorgere vere e proprie colonie umane, Marte potrà essere abitato come la Terra, ciò che invece è impossibile per la Luna. Credo che Marte possa rappresentare un corpo celeste dove tutti un giorno vivranno in pace e felicemente".  

 

Oltre il sistema solare 
I viaggi fuori del sistema solare, secondo lei, saranno mai possibili? "In un futuro ancora più lontano, credo di sì. Ma prima ci sono molti posti del sistema solare che potremmo andare a visitare, certo più interessanti. Per esempio, intorno a Saturno c'è il satellite Titano. La sua atmosfera è fatta soprattutto di azoto e idrocarburi, come il metano, ma anche la Terra, 3 miliardi di anni fa, era così. E poi laggiù potrebbero esserci acqua e ghiaccio e forse anche qualche regione dove la temperatura è sopportabile per degli esseri viventi. Le piante non possono vivere su Titano, perché c'è troppo poca luce: la fotosintesi è impossibile. Ma potrebbero esserci organismi come quelli che sono stati scoperti in fondo agli oceani, vicino a sorgenti termali subacquee, organismi con una biologia fondata sul solfuro di idrogeno".  

Quale sarebbe stato il suo compito, nel caso che Armstrong e Aldrin, per qualche motivo, non fossero più riusciti a staccarsi dalla Luna o si fossero persi nello spazio senza riuscire ad agganciarsi alla sua astronave? "Ci sarebbe stato poco da fare. Avrei detto loro arrivederci, e sarei tornato a casa per conto mio... Per fortuna, tutto è andato bene: meglio non pensarci".  

 

Storia di un autografo 
Nel 1989, prima di andare al teatro Colosseo, lo accompagnai alla libreria della Stampa in via Roma, dove avevamo allestito una mostra fotografica sulla sua impresa. Gli passai una copia del mio libro “La Luna” pubblicato da Giunti, e me la firmò, lui che non amava gli autografi. Qualche mese dopo venne qualcuno a trovarmi e mi chiese una copia de “La Luna”. Ne sfilai una dallo scaffale dove ne avevo tre o quattro e gliela regalai. Mi accorsi anni dopo che era quella firmata da Collins. Chissà a chi l’ho data, chissà se chi l’ha ricevuta si è mai accorto di quella firma.