raccolte cd
timberland euro, timberland uomo 6 inch stivali, timberland uomo barca stivali, timberland uomo earthkeepers, timberland uomo euro hiker stivali, timberland uomo nellie chukka, timberland uomo rotolo top stivali, timberland uomo scarpe da spiaggia, timberland donna 6 inch stivali
Rinascimento napoletano: Bartolomeo Maranta, Gian Vincenzo Pinelli e il Giardino della Montagnola
Bartolomeo Maranta

 

 

 

  Rinascimento napoletano:

 

  Bartolomeo Maranta, Gian Vincenzo Pinelli

 

  e il Giardino della Montagnola

 

  Silvia Fogliato

 

Tra gli allievi di Ghini, oltre a Cesalpino e Aldrovandi, certamente i più vicini al maestro e i più diretti continuatori della sua opera, un altro personaggio di spicco è il napoletano Bartolomeo Maranta (1500-1571). Tanto più interessante in quanto intorno a lui si aggregò un vero e proprio circolo di appassionati di scienze naturali, di cui egli fu in un certo senso il teorico.

Nato a Venosa, si formò come medico all'università di Napoli, raggiungendo un'altissima reputazione professionale (si dice che fosse in grado di diagnosticare una malattia solo dall'aspetto del paziente, prima ancora di sentirgli il polso) tanto che, forse tra il 1535 e il 1539, sarebbe stato nominato medico di corte di Carlo V. Per quanto fosse un professionista affermato e fosse ormai sulla cinquantina, tra il 1550 e il 1554 si spostò a Pisa per studiare con Luca Ghini. Dal veneratissimo maestro, apprese le basi della scienza botanica e un approccio innovativo, basato, più che sulla lettura filologica dei testi antichi, sull'osservazione diretta delle piante e delle loro proprietà mediche. Ghini lo considerava il più brillante dei suoi allievi, tanto da lasciargli in eredità le sue carte e il suo erbario. Frutto del soggiorno pisano furono anche l'amicizia con Gabriele Falloppio (altro professore dello studio di Pisa) e con Ulisse Aldrovandi con il quale intrattenne un'importante corrispondenza epistolare per tutta la vita.

 

Gian Vincenzo Pinelli  

Al suo ritorno a Napoli, Maranta ebbe l’opportunità di continuare a studiare le piante dal vivo grazie all’incontro con un “giovane meraviglioso”, Gian Vincenzo Pinelli (1535-1601). Figlio di un facoltoso mercante genovese trasferitosi a Napoli per meglio curare i propri interessi commerciali, il ventenne Gian Vincenzo era già un erudito dalla cultura vastissima e poliedrica. Di salute cagionevole, aggravata da un grave incidente a un occhio, fin da bambino si dedicò attivamente allo studio, seguito dai migliori maestri: il filosofo e letterato napoletano Gian Paolo Vernaglione per la cultura classica e le lingue latina e greca; il celebre compositore fiammingo Filippo de Monte per la musica. I suoi interessi includevano anche le scienze: i problemi di vista lo spinsero a studiare ottica; le piante medicinali esotiche che affluivano al porto di Napoli, uno dei principali del Mediterraneo, lo avvicinarono alla medicina e botanica.

Più o meno contemporaneamente al soggiorno pisano di Maranta, fece impiantare in una proprietà della famiglia fuori delle mura della città, sulla collina dei Miracoli in località Montagnola, un giardino botanico privato, sul modello di quello creato a Pisa da Ghini. Secondo le testimonianze dell'epoca, comprendeva specie sia medicinali sia ornamentali, ed era ricco di essenze rare ed esotiche. Fu forse proprio Ghini a mettere in contatto Gian Vincenzo con Maranta, che rientrato a Napoli da Pisa intorno al 1555, divenne il suo maestro di medicina e botanica, nonché il curatore del giardino. In realtà, fu un arricchimento reciproco: se Pinelli si giovò della grande competenza di Maranta, quest'ultimo fu stimolato dalle intelligenti conversazioni con il dotatissimo allievo. La frequentazione quotidiana del giardino della Montagnola gli permise di mettere alla prova le conoscenze apprese alla scuola di Ghini e di creare un vero e proprio metodo per il riconoscimento dei semplici, esposto in Methodi cognoscendorum simplicum libri tres (1559), che volle dedicare a Pinelli (al tempo ventitreenne).

Il suo non è né l'ennesimo commento a Dioscoride - gli immensi Discorsi di Mattioli avevano ormai esaurito questo filone di ricerca - né un erbario o un prontuario con i semplici ben disposti in ordine alfabetico. Lo potremmo piuttosto considerare il primo trattato di botanica generale dai tempi di Teofrasto. Destinato ai medici, cerca di definire un metodo per riconoscere i semplici citati dagli autori classici o comunque usati nella pratica medica.

Grazie a una profonda conoscenza del mondo vegetale, Maranta prende in esame tre criteri, a ciascuno dei quali è dedicato uno dei tre libri. Il primo analizza i nomi e i modi in cui possono aiutare (o talvolta ostacolare) l'identificazione delle piante: troviamo così denominazioni tratte da personaggi reali o mitologici, dal luogo di provenienza, dalle caratteristiche morfologiche o dalle proprietà officinali; i nomi tramandati dai classici o di nuova coniazione; si analizzano gli equivoci che nascono dallo stesso nome attribuito a piante diverse o al contrario dai molti nomi con cui è designata la stessa specie. Il secondo libro è dedicato alla descrizione delle piante, sempre intesa come chiave di riconoscimento; Maranta è ben consapevole che le descrizioni degli autori classici sono spesso parziali e inutilizzabili. Ma soprattutto è attento - sono per noi le pagine più affascinanti - alle infinite variazioni di una stessa specie: la medesima pianta si mostra sotto un aspetto diverso nel corso dell'anno e nelle diverse fasi dello sviluppo; una pianta giovane e vigorosa è diversa da una pianta senescente e in declino, una coltivata è diversa da una spontanea; l'aspetto è influenzato dal terreno, dall'esposizione, dalle contingenze stagionali. Più specificamente medico il terzo libro, dedicato alle proprietà officinali delle piante, anche in questo caso nella consapevolezza che le nozioni tratte dagli antichi vanno verificate alla luce dell'esperienza.

Secondo le sue stesse dichiarazioni, Maranta avrebbe scritto i Methodi libri tres su sollecitazione di Ghini (con il quale mantenne un'assidua corrispondenza dopo essere tornato a Napoli); prima di pubblicarlo, avrebbe voluto sottoporlo al giudizio del maestro ma questi nel 1556 morì improvvisamente. Maranta ripiegò su un altro amico, Gabriele Falloppio, che nel frattempo si era trasferito a Padova, dove teneva la cattedra di medicina, anatomia e botanica. Solo dopo l'approvazione di quest'ultimo, pubblicò la sua opera, che uscì nel 1559 a Venezia, preceduta dalla dedica a Pinelli e dal carteggio con Falloppio.

Nel frattempo, Pinelli aveva lasciato Napoli e si era trasferito a Padova: nel 1558 era riuscito finalmente a convincere il padre a permettergli di iscriversi a quella università. Non conseguì la laurea, ma proseguì i suoi studi in molte materie diverse da autodidatta. Ben presto circondato da una grande fama di erudito, strinse rapporti di amicizia con altri studiosi, mentre la sua casa divenne punto di incontro dei maggiori intellettuali della città e meta obbligata degli studiosi forestieri. Il più famoso di tutti è Galileo Galilei che fu suo ospite all'inizio del soggiorno padovano e poté giovarsi della sua biblioteca, che comprendeva anche libri di matematica e fisica, in particolare di ottica.

Coltissimo e versato in molti campi, Pinelli non pubblicò mai nulla, anche se lesse, studiò, annotò fittamente volumi e manoscritti. Convogliò tutte le sue energie nel favorire gli scambi tra i suoi dotti amici e nel trasformare la sua stessa casa in un ambiente concepito per la ricerca. Gli strumenti principali da lui creati furono in primo luogo la ricchissima biblioteca (che arrivò a comprendere 10000 tra volumi a stampa e manoscritti), quindi una serie di raccolte, non concepite come mere curiosità, ma come oggetti di studio, che comprendevano fossili e minerali, carte geografiche e globi, strumenti astronomici, ottici e geometrici, monete antiche, ritratti di personaggi illustri.

Come già nella sua giovinezza a Napoli, anche a Padova creò un giardino ricco di piante rare e una raccolta di semi. A tale scopo, fu in contatto con i principali botanici del tempo, italiani e stranieri; anzi, divenne un importante intermediario tra di essi, tanto che la sua casa divenne uno dei principali nodi della fitta rete di studiosi che faceva viaggiare per tutta Europa lettere, informazioni, libri, pacchi di semi, piante vive e essiccate. Insieme alla biblioteca, il suo maggiore contributo alla cultura europea consiste proprio nell'aver posto le basi di una duratura rete di relazioni tra intellettuali di molti paesi, che permise di far circolare le conoscenze in modo libero dai condizionamenti della censura, al di fuori di ogni istituzione formale.

Ma torniamo a Napoli e al giardino della Montagnola; non sappiamo quale sorte avesse dopo la partenza di Pinelli; pare che per qualche tempo fosse affidato alla cura di Maranta che tuttavia a sua volta lasciò Napoli a più riprese. Probabilmente, lontani il proprietario e il curatore, languì e fu abbandonato. Infatti l’ultimo decennio della vita di Maranta fu alquanto travagliato. La prima contrarietà – tutto sommato veniale – venne da Mattioli che lo attaccò con veemenza per aver osato identificare in modo diverso da lui un tipo di felce, la lonchite. Ma il calmo e avveduto medico venosino non era il tipo da farsi trascinare in polemiche sterili; così non esitò a scrivere un'Epistula excusatoria (insomma, una lettera di scuse) e pace fu fatta.

 

Theriaca et del Mithridato libri  

Un'avventura peggiore gli toccò nel 1562, quando fu arrestato e trattenuto nelle carceri dell'Inquisizione sospettato di simpatie luterane. Liberato dopo qualche mese, da quel momento si dedicò soprattutto alla critica letteraria. Tuttavia nel 1568, come scrive in una lettera all'amico Aldrovandi, lo ritroviamo a Roma dove era impegnato a impiantare un orto botanico (forse per il Cardinale Branda Castiglioni). L'anno dopo però tornò a Napoli, dove su richiesta del protofisico, sulla base delle ricerche condotte con il farmacista Ferrante Imperato, scrisse Della Theriaca e del Mitridato, che gli creò la fama di specialista di antiveleni. Pubblicato postumo nel 1571, anche questo libro era destinato a suscitare roventi polemiche con i medici di Padova. Ma Maranta era già morto da qualche mese.

Il nome di Maranta era ben noto ai botanici successivi. Riprendendo un genere creato da Plumier, Linneo lo

onorò con il genere Maranta, che dà anche il nome alla famiglia Marantaceae. Nativo dell'America tropicale, comprende 40-50 specie di erbacee perenni rizomatose con grandi foglie sempreverdi intere e piccoli fiori tubolari con tre petali. Due sono le specie più note, per motivi molto diversi. La prima è M. arundinacea, nota con il nome di arrowroot, dai cui tuberi si ricava una fecola alimentare, conosciuta con lo stesso nome; per la sua eccellente digeribilità da noi è soprattutto impiegata per preparare alimenti leggeri per bambini o ammalati. La seconda è M. leuconeura, una delle più popolari piante da appartamento. Non è coltivata per i fiori, bianchi o violacei e insignificanti, ma per la bellezza delle grandi foglie, caratterizzate da nervature vivacemente colorate che spiccano, talvolta simili a piume, sullo sfondo di colore contrastante o isolano grandi macchie di colore.

Fu invece un altro botanico napoletano, Michele Tenore, a ricordare Gian Vincenzo Pinelli con il genere Pinellia separandolo da Arum. Endemico dell'Asia orientale comprende nove specie, con centro di diversità in Cina. Alcune di esse sono relativamente conosciute anche da noi come piante ornamentali, prima fra tutte la famigerata P. ternata. Famigerata perché, per quanto bella e gradevole, si dimostra fin troppo espansiva e volonterosa, tanto da essere ormai considerata una pericolosa infestante. Più controllabile e anche più attraente la giapponese P. tripartita, con foglie trifogliate con venature molto evidenti e uno spadice lunghissimo, verde acido, che le ha guadagnato il nome di Green Dragon. Notevole anche il fogliame di P. pedatisecta, che forma una grande ventaglio di lunghe foglioline lanceolate, di aspetto molto esotico.

 

Maranta roseo picta Pinellia ternata-Iconographia Taurinensis

 

Fonti

 

S. P. Bernardiello, Una biblioteca privata a disposizione dell'Universitas Artistarum nella seconda metà del Cinquecento, «Atti e Memorie dell'Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti in Padova. Parte III: Memorie della Classe di scienze morali, lettere ed arti», 2019, pp. 121-159.

M. Callegari, Pinelli, Gian Vincenzo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, vol. 83 (2015), http://www.treccani.it/enciclopedia/gian-vincenzo-pinelli_(Dizionario-Biografico)/

P. Findlen, Possessing Nature: Museums, Collecting, and Scientific Culture in Early Modern Italy, University of California Press, Oakland 1996.

M. Grendler, A Greek Collection in Padua: The Library of Gian Vincenzo Pinelli (1535-1601), «Renaissance Quarterly», vol. 33, N. 3 (Autumn, 1980), pp. 386-416.

B. Maranta, Methodi cognoscendorum Simplicium libri tres, cum indice copioso, ex officina Erasmiana Vincentij Valgrisij, Venetiis 1559.

M. N. Miletti, Maranta, Roberto, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, vol. 69 (2007) http://www.treccani.it/enciclopedia/roberto-maranta_(Dizionario-Biografico)/

J. R. Sánchez Baudoin, The methods of natural inquiry during the sixteenth-century: Bartolomeo Maranta and Ferrante Imperato, Tesi di dottorato, Università di Padova, Padova 2013.