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Quello che (non) ci diciamo sull’avvenire delle nostre scuole nella perturbazione covid-19

 

Scala a pioli

Quello che (non) ci diciamo sull’avvenire delle

 

nostre scuole nella perturbazione covid-19

 

 

Paolo Guidoni (dicembre 2020)

 

  

  Si sente – si legge – si vede di tutto su cosa potranno essere o diventare, ‘dopo’, le nostre scuole. Onestamente, penso che non <andrà tutto bene>: avendo in mente e negli occhi quello che alle nostre scuole è successo negli ultimi 30-40 anni; o quello che quasi sempre è successo dopo l’ultima mezza dozzina di terremoti.

 

 

Eppure non si può fare a meno di riflettere su quello che, volendo, potremmo avere in mano: non tanto per ‘ri-costruire alla meglio una realtà di fare-scuola in media abbastanza deprimente, per gli individui e per la società; quanto per metter mano a costruire gradualmente un prossimo futuro di vita-a-scuola che sia, almeno un po’, migliore per tutti gli umani che vi sono coinvolti. Naturalmente la prima condizione perché qualcosa di questo tipo possa succedere è una doppia consapevolezza condivisa: che, di fatto, finora le cose in media sono andate - vanno - in modi molto lontani da una ‘normalità’ accettabile; e che di fatto esistono spazi di possibilità aperti a cambiamenti significativi. Spazi in vario modo pre-tracciati sia da molte pratiche di base che da molte indicazioni di ricerca: tutte di fatto mai ‘utilizzate (rese accessibili dopo averle capite, e poi reciprocamente confrontate e integrate). Ovviamente, volendo; e quindi collaborando a una progettualità e a una attuazione di largo respiro, non ‘precettistica’ ma coerente negli obiettivi e nei modi per raggiungerli.

 

 

 

È quello che viene sempre di nuovo in mente, prepotentemente, appunto ascoltando/leggendo quanto di questi tempi si dice, si scrive, si discute di quel ‘dopo-virus’ che sembra incombere sulla scuola; insieme al timore che, ancora una volta, gli interventi con ‘toppe scoordinate possano alla lunga risultare tanto nocivi quanto le precedenti inerzie sui ‘buchi’ evidenti.  

 

 

Tanto per dire, lo stesso giorno sullo stesso giornale.

- Ci sarà penuria di aule e di insegnanti, mentre è necessaria la ‘socializzazione dei ragazzi Idea da Ministero: si potrebbero ‘fare spiegazioni online, e interrogazioni e compiti scritti a scuola, a gruppi

 

- Ci sarà certamente chi ‘resta indietro’

 

Idea da Fondazione Agnelli: bisogna tener ben presente che il meccanismo dell’istruzione funziona come una scala a pioli … .

  

Abbiate pazienza, ma così (e si potrebbe continuare …) proprio non va.  Se la scuola vuole (ri)avere un ruolo culturale, deve imparare a rendere socialmente significativi i processi del ‘meravigliarsi’, del capire, della creatività – non quelli delle ‘verifiche.  E se si vuole, meritevolmente, ‘dare una mano’ alla sgangherata gestione della scuola, bisogna prendere atto che i modelli di trasmissione culturale basati su ‘meccanismi’ o su ‘scale-a-pioli’, così di moda una cinquantina di anni fa, oggi hanno proprio le gambe corte – in relazione non solo al ‘funzionamento’ degli umani, ma anche a quello dell’intelligenza artificiale. Fermo restando che in ogni caso l’accesso al sapere attraverso percorsi socializzati, guidati e mediati da altri umani, è ‘patrimonio dell’umanità’ da migliaia di anni. 

 

 

Oggi sembra soprattutto difficile convincerci – almeno un po’ – che è diventato urgente e prioritario accordarsi su un modo di guardare/vedere/affrontare la <realtà effettuale> delle nostre scuole: attraverso un ‘progetto’, sì, in cui molti penso sarebbero disposti a impegnarsi con idee e strumenti efficaci; un ‘progetto’ che però voglia/sappia affrontare anche i nodi radicali che sono a monte di tante incomprensioni, frustrazioni, non-successi, danni. Così, nel dire ancora la totale disponibilità a un’eventuale (piccola o grande) impresa condivisa, per ora provo a condividere soltanto qualche sprazzo di memoria e riflessione, quasi immediatamente evocate dai fatti di questi giorni.

  

 

 

Tutti a casa … ma per fortuna, la potenza della tecnologia … per fortuna, le tante proposte online …

  

C’è la ben nota storiella dell’ubriaco carponi sotto un lampione.  L’ho sentita la prima volta raccontata ‘a scopo tecnicamente educativo’ da Bruno Touschek, il mio relatore di tesi in fisica teorica.

 

- Ma lei cosa sta cercando?   

 

- Ho perso le chiavi di casa …

 

- Ma è sicuro di averle perse qui?

 

- No … ma qui c’è luce … e ci vedo anche senza occhiali …   

 

Già. E poi a qualcun altro è venuto in mente che forse (spesso?) ci capita di <mettere (e poi usare) i lampioni nei posti sbagliati>: così che forse (spesso?) i nostri stessi modi di guardare/cercare non ci aiutano granché a uscire dai guai. Dalle ‘aporiÈ, avrebbe precisato il buon Aristotele: dalle ‘situazioni che vediamo come senza via d’uscita’. Già. Ma che ‘lampioni’ e ‘occhiali’ usiamo nel parlare/discutere di scuola? Non ci converrebbe cercarne – o metterne – anche qualche altro? Non sarebbe utile, solo per esempio, accordarsi bene sui <bisogni educativi normali> prima di aggrovigliarsi o nascondersi nei <bisogni educativi speciali>? Accorgersi che è proprio la <normale routine> che non funziona, prima di inondare e stordire gli insegnanti di proposte e tecnologie da <inserire nella normale routine>? Fermo restando che proposte e tecnologie possono diventare cruciali, purché gestite all’interno di ‘normali’ strategie che siano innanzitutto coerenti e lungi-largo-miranti.

  

 

 

Tutti a casa … ma per fortuna sono a casa anche i genitori …

  

  Un po’ di anni fa, sezione dei 5 anni in una Scuola d’Infanzia del Comune di Modena. Tutti i bambini sono profondamente coinvolti nel condividere (esprimere, rappresentare …) la loro ‘meraviglia costruttiva’ per come di fatto è fatto il mondo. Colori che si mescolano sciogliendosi nell’acqua e poi si ri-separano assorbiti dallo scottex … contorni e colori che cambiano con la distanza nella nebbia, o con l’oscurità sul far della sera … cucchiai di minestra contati e lacci di liquirizia spartiti … cartone e stoffa neri che non lasciano passare la luce , ma l’acqua sì, e  vetro e plastica che lasciano passare la luce, ma l’acqua no … i colori dei nostri occhi … i semi che spuntano, e quelli che no … i mali di pancia, come vengono e come vanno … . Tra tutti, Stefano sembra un po' speciale: nel colpo d’occhio e nella strategia, nell’interloquire con l’adulto e nel ‘trascinare i compagni (e le Insegnanti …).

     

Forse non si dovrebbe, a un certo punto scappa detto: <ma Stefano, mi spieghi come mai queste cose ti vengono fatte così bene?>

<io … è che … la mia mamma quando sta in cucina mi fa pacioccare … e poi mi dice  …>.     

 Ah, 

Mi fa: mi lascia, e/o mi incoraggia.  

 E poi mi dice: così mente e mondo si illuminano, come gli occhi che ti guardano mentre lui risponde.

 

Peccato solo che proprio non riusciamo a dirci chiaramente, e quindi a gestire con efficacia e largo-lungi-miranza, la cruciale e infrangibile correlazione fra <casa> e <scuola> che inevitabilmente ‘mette in forma’ (spesso de-forma …) il crescere di ogni umano, il suo modo di vedere e affrontare la vita. Tutta la vita.

   

 

    Ma c’è sempre il problema della motivazione … a ‘impegnarsi ’… a imparare, a insegnare, a formare …

  

<Tutti gli uomini, per natura, hanno desiderio di conoscere>.

 

È la frase di apertura della ‘Metafisica’ di Aristotele.

 

Tutti. (Anche gli schiavi? sì, seppure il loro potenziale essere-uomini sia abbastanza <ridotto> dalle circostanze). 

 

Per natura. (Ma allora, non avere - o perdere - quel desiderio di conoscenza è contronatura? ma allora, cosa diavolo combiniamo <per lo più> nelle nostre scuole, nelle nostre famiglie, per ridurre così i nostri ragazzi?).

 

  Qualcuno, oggi, parla ufficialmente (in ambito di Europa) dello <stifling> (soffocamento) di preziose potenzialità umane - a partire da curiosità, creatività, flessibilità … - prodotto in media dal ‘normale modo di insegnare sotto gli otto/dieci anni. È ovvio, allora, che nessuno può provare gusto nell’essere soffocato. ( Né, ovviamente, nel soffocare). E le ‘motivazioni’? (<Lontanando, morire a poco a poco>).  Ma allora, questo qualcuno sta guardando/vedendo i fatti che abbiamo sotto gli occhi come Aristotele?

 

  Torniamo a lui: se negli umani c’è desiderio di sapere, è evidente che dagli umani in quanto tali conoscere deve essere visto come un ‘bene …; quindi, deve essere associato a uno specifico ‘piacere …; questo, <per lo più> prodotto dal superamento di uno stato di meraviglia-incertezza-disagio-bisogno …; tanto è vero che (al termine della ‘Metafisica’) <è ovvio che anche i matematici devono considerare, fra le cause, questo piacere che nasce dal [senso di appropriazione del] ‘bello’>.

 

 

   Proviamo a riflettere … proviamo a dirci …

  

  Dunque. Riflettendo sulla trasmissione culturale (in casa e fuoricasa, a scuola e fuori scuola) la prima cosa che viene in mente è che ‘bisogna’ (bisognerebbe …) cominciare dal chiarirsi almeno un po’ su un serio ‘problema a monte’: ma, noi umani, chi siamo?

 

  Siamo quello che siamo diventati: attraverso tempi e contesti quasi inimmaginabili di ‘progressiva’ evoluzione, in cui fisiologia cognitività affettività cultura … si sono strettamente e irreversibilmente sovrapposte e intrecciate.

 

  E di questo nostro ‘essere-diventati’ c’è, fra tanti altri, un primo aspetto-chiave.

 

  La nostra progressiva ‘neotenia’: cioè il fatto che lo sviluppo di ‘autonomia’ individuale è stato, via via, sempre più ritardato a tempi (anni e anni …) dopo la nascita; e che, in stretta correlazione, è progressivamente cresciuto l’impatto ‘epi-genetico’, fisico e mentale, che può essere esercitato più o meno direttamente dalle ‘cure parentali, dalle ‘pressioni’ del gruppo, dalla ‘trasmissione finalizzata di saperi e comportamenti generalmente culturali. E questo fino a incidere profondamente sulla stessa progressiva ‘variazione-selezione evolutiva, individuale e di gruppo, che ci ha portato a essere gli umani che siamo. Siamo cioè, ci sembra oggi di ‘scoprire scientificamente in forma di schematico autoritratto, una specie raffinatamente (esplosivamente) <auto-addomesticata> (cfr. R. C. Francis); pur con tutto il suo connaturato bagaglio di specifica e diffusa <imperfezione> (cfr. T. Pievani).

 

Ma c’è un secondo aspetto-chiave.

 

  Condizione e al tempo stesso risultato di ogni forma di efficace ‘epi-genesi’ (sviluppo ‘sopra-genetico’) è la progressiva risonanza fra una ‘azione esterna’ che sollecita variazioni finalizzate e una ‘reazione interna’ che seleziona le sollecitazioni, eventualmente traducendole in ‘appropriazioni’. (‘Assimilazioni’ e ‘accomodamenti’ avrebbe detto J. Piaget, forse sottovalutandone la dinamica profonda). Dove (e non è un gioco di parole) ‘interno’ e ‘esterno’ si possono riferire sia all’individuo, come sta via via diventando nell’ambiente che tende a con-figurarlo; sia all’ambiente stesso (a sua volta in lenta trasformazione) nei confronti delle reazioni selettive esercitate da individui che sono sempre vincolati dal loro presente modo-di-essere. Con tutto il dirompente significato associato alla nozione di risonanza (e, quindi, dissonanza), senza cui sembra difficile interpretare non solo lo sviluppo individuale, ma anche le trasformazioni evolutive: in generale, ma in particolare quelle ‘culturali’. (Basta pensare alle correlazioni risonanti fra pensiero e linguaggio, percezione e azione, ‘convolutÈ in progettualità e metacognizione, che ci caratterizzano come umani

  

  Certo: detto così, in due parole, può sembrare complicato; o, anche, fuori tema rispetto al fare-scuola-oggi.

 

  Ma dovremmo riuscire a vedere un’implicazione cruciale. Oggi, ogni umano che nasce si aspetta, per propria natura evolutivamente acquisita, di essere accudito-sollecitato anche culturalmente, e con efficacia: cioè in un modo che sia percepito e riconosciuto, individualmente e socialmente, come cognitivamente ed emotivamente risonante all’interno di ogni livello di sviluppo globale; e al tempo stesso si aspetta che questo avvenga attraverso una mediazione, esercitata da parte di altri umani, che coinvolga in ogni modalità sia le comuni potenzialità cognitive e affettive, sia le ‘protesi’ culturali che di fatto definiscono il modo di vivere del gruppo di appartenenza. Tenendo presente che in gioco non ci sono specifici ‘comportamenti’ più o meno ‘precoci’, ma proprio gli stessi ‘principi’ (come li chiamavano gli antichi) che hanno radicato in ogni umano la potenzialità di sviluppare una correlazione totalizzante fra la propria ‘natura’ e la circostante ‘cultura’. Mentre in gioco non c’è tanto la ‘cultura’ in quanto tale, ma i modi umanamente risonanti di proporla (i modi non umanamente risonanti di imporla: a cominciare dai continui tentativi, oltretutto maldestri, di addestramento-condizionamento).

  

Dopotutto, su questo potrebbero concordare Stefano e Aristotele, insieme a chi nota la carenza di lampioni e occhiali adeguati.

Dopotutto, è quello che ben intravedeva L. S. Vygotskij parlando di ‘spazio di potenziale sviluppo mediato’ come luogo privilegiato di interazione fra natura umana e cultura umana.

 

E dopotutto, <in scienza e coscienza>, come fondamentale risultato di decenni di ricerca: quello che si può sviluppare mettendo in forma e modulando ‘secondo risonanza’ la progressiva trasmissione culturale è ben di più, in qualità e quantità, di quello che a parità di sforzi e tempi si ottiene in modi ‘normali’.

 

Con questa fiducia-speranza potremmo, allora, prima o poi ‘ri-partire fruttuosamente.

 

O forse deciderci a ‘partire: guardandoci intorno con cura sufficiente, esplorando percorsi di trasmissione e condivisione culturale che siano coerenti con una nostra crescente auto-consapevolezza (con il <conosciamo noi stessi> di così antica memoria).

 

 

  Bibliografia

 

  

 Richard C. Francis, Addomesticati - L'insolita evoluzione degli animali che vivono accanto all'uomo, Bollati Boringhieri  2016 ISBN9788833927312 Pagine: 488

 

 Pievani T, Imperfezione - Una storia naturale, Raffaello Cortina Editore, 2019, ISBN 9788832850901 pag, 198