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Luca Ghini: un giardino per l’estate, un erbario per l’inverno
Luca Ghini    

 Luca Ghini: un giardino per l’estate, un erbario per l’inverno

 

 Silvia Fogliato

 

Rifondata da medici-filologi come Niccolò Leoniceno, la botanica nasce come ancella della medicina. A legarla a questo ruolo è la riscoperta e la valorizzazione di Dioscoride; tuttavia, l’introduzione dell’insegnamento di Materia medica nel curriculum dei futuri medici le fa anche compiere il primo passo verso l’emancipazione, con l’istituzione presso diverse università prima di corsi, poi di cattedre di botanica farmaceutica.

A testimoniare lo statuto ancora fluido di questo insegnamento sono le diverse denominazioni in uso nel Cinquecento: lectura simplicium, lectura de simplicibus, lectio simplicium, declaratio simplicium, materia medica. Se l’ultima denominazione rimanda direttamente a Dioscoride, termini come lectura e lectio fanno riferimento a un insegnamento di tipo teorico, basato sulla spiegazione e il commento dei testi degli antichi, mentre declaratio, ovvero dimostrazione, corrisponde a un’impostazione più pratica, basata sull’osservazione dal vivo dei semplici, ovvero delle sostanze mediche usate come ingredienti dei medicamenti, i preparati galenici, non per studiarli, ma per imparare a riconoscerli. I semplici non sono solo piante: nella maggioranza dei casi sono piante officinali o loro parti, ma possono anche avere origine animale o minerale; infatti, anche queste sostanze sono trattate dai primi insegnanti di Materia medica.

A istituire questi insegnamenti sono a volte le università, a volte le autorità politiche, preoccupate di garantire la salute pubblica attraverso una migliore formazione dei medici. Il primo corso in assoluto viene istituito presso l’Università di Roma con un decreto papale datato 4 novembre 1513 che affida al medico Giuliano da Foligno (un personaggio di cui non sappiamo altro) Ad declarationem simplicium Medicinae, «dimostrazione dei semplici medici», da tenersi nei giorni festivi. Era dunque un corso ritenuto complementare, come dimostra anche il salario di 80 fiorini annui percepito dal maestro Giuliano, contro i 300 dei suoi colleghi titolari delle cattedre di medicina.

La prima esperienza romana ebbe breve durata, travolta dal Sacco di Roma del 1527 che portò alla chiusura dell’Università, e venne ripresa solo nel 1534 quando la «dimostrazione dei semplici medici» venne affidata al bellunese Giuseppe Cenci, un’altra figura oscura che non ha lasciato particolare traccia di sé. Destinata a maggior seguito (ne nascerà l’orto botanico patavino) l’istituzione di «una nuova lectura de semplici, lection molto utile et necessaria alla medicina» presso l’Università di Padova, affidata al medico Francesco Bonafede (1474-1558) che a partire dal 16 ottobre di quell’anno tenne lezioni su De materia medica di Dioscoride e De simplicium medicamentorum temperamentis et facultatibus di Galeno.

L’anno dopo fu la volta di Bologna, dove l’insegnamento de simplicibus fu affidato a un professore giovane ma molto stimato: si tratta di Luca Ghini (1490-1556), colui che molti considerano il padre fondatore della botanica moderna. Nato a Imola, si era laureato in medicina a Bologna nel gennaio 1527 e neppure un mese dopo era stato assunto presso la sua alma mater per insegnare medicina pratica; è possibile che avesse seguito qualche corso di Leoniceno a Ferrara. Nel 1532 fu nominato professore ordinario di medicina, mentre appunto nel 1534 assunse l’insegnamento della botanica medica, che il Senato accademico concepiva come strettamente subordinato alla cattedra di medicina; analogamente alle lezioni di Bonafede a Padova, il corso tenuto da Ghini era dedicato al commento del libro dei semplici di Galeno. Tuttavia, il medico imolese incominciò a sviluppare un interesse sempre più spiccato per lo studio delle piante dal vivo e ad accettare sempre meno il ruolo ancillare della botanica, tanto nel 1536 preferì lasciare l’università e andare a esercitare la professione a Fano.

Nel 1539, la sua fama crescente indusse il Senato accademico a richiamarlo e ad istituire appositamente per lui una cattedra innovativa, detta «de simplicibus medicinalibus». Superando la bipartizione tra teoria (le lezioni sui testi di Dioscoride e soci) e pratica (l’ostensione dei semplici), è di fatto la prima cattedra di botanica della storia. Alle necessità della nuova cattedra sono legate le altre due innovazioni introdotte da Luca Ghini: l’orto botanico e l’erbario.

Per insegnare ai suoi studenti come riconoscere le piante, non bastavano né le carenti descrizioni dei classici né le imperfette illustrazioni degli «erbari figurati», ovvero quei libri dove le descrizioni delle piante erano affiancate da immagini quasi sempre molto stilizzate. Per il nuovo insegnamento occorrevano piante da osservare dal vivo; ecco perché Ghini chiese al Senato cittadino che gli fosse assegnata un’area dove creare un «orto dei semplici». Di fronte al rifiuto delle autorità cittadine, egli cercò di sopperire con le piante coltivate nei giardini di amici e parenti, ma si trattava di una inadeguata soluzione di ripiego.

Continuando la tradizione inaugurata da Leoniceno, insieme ai suoi allievi, Ghini faceva escursioni botaniche nelle campagne bolognesi, e prese l’abitudine di scambiare esemplari di piante essiccate con amici e altri studiosi. Naturalmente, egli non fu il primo a essiccare piante: ad esempio, nell’ambito della polemica su Plinio, già nel 1493 Pandolfo Collenuccio aveva allegato alcuni esemplari essiccati a una lettera a Poliziano. Ma fu il primo a farne uno strumento didattico creando l’erbario nel significato moderno del termine: una raccolta di piante essiccate e pressate con tecniche particolari, etichettate con il loro nome e preferibilmente il luogo e il momento della raccolta, organizzate in modo da poter essere facilmente consultate e utilizzate per lo studio. All’epoca lo chiamavano hortus siccus, «giardino essiccato», in contrapposizione all’hortus vivus, ovvero l’orto botanico, ma anche hortus hiemalis, «giardino d’inverno», a ricordarci che nei mesi invernali, con molte piante in riposo vegetativo, i fogli d’erbario diventavano il principale strumento didattico.

Nel 1542 il duca di Toscana Cosimo I (nel 1569 sarebbe diventato il primo granduca) decise di riaprire l’Università di Pisa. Era un «principe nuovo» molto attento alla sua immagine come protettore delle arti e delle scienze e chiamò ad insegnare nel restaurato ateneo prestigiosi docenti italiani e stranieri. A tenere la neo-istituita cattedra di simplicibus avrebbe voluto Leonhart Fuchs, che, essendo protestante, referì rinunciare; Cosimo si rivolse dunque al candidato più naturale, il nostro Luca Ghini.

Nell’estate del 1543 quest’ultimo accettò e il contratto venne siglato già quell’anno, anche se Ghini dovette trattenersi a Bologna ancora vari mesi, fino alla scadenza del suo contratto con l’Università. Finalmente realizzava un sogno: aveva convinto il duca a creare un orto botanico universitario; a tal fine gli venne messo a disposizione il giardino del Convento di san Vito, nei pressi dell’Arsenale, e fin dal 1543 gli fu assegnato un compenso di 250 lire per le spese di allestimento. Per raccogliere materiali necessari al corso e presumibilmente anche piante da trapiantare nell’orto, Ghini inviò a erborizzare nei dintorni di Lucca e Livorno uno dei suoi allievi, Luigi Squalermo detto l’Anguillara.

 

Orto botanico di Pisa

Ghini arrivò a Pisa insieme allo stesso Anguillara e altri due allievi, Maranta e Cesalpino, forse alla fine del 1543 o all’inizio del 1544 e iniziò le sue lezioni a marzo. Anche il lavoro per l’allestimento dell’Orto botanico dell’Università di Pisa dovette proseguire con alacrità, se in due lettere del 2 febbraio e del 4 luglio 1545 al maggiordomo ducale poté dichiarare di aver raccolto e fatte «piantar con molta diligenza in un giardino in Pisa» molte belle piante utili per gli studenti. Il primo documento ufficiale sull’Orto botanico risale invece al 1547; attesta che l’Ostensio simplicium in horto, la dimostrazione dei semplici nell’orto, accompagnava e seguiva le lezioni teoriche («potesse mostrare dopo le lettioni pubbliche li semplici alli scholari»).

Sul modello di Pisa, il duca incaricò Ghini di predisporre un orto dei semplici anche a Firenze, destinato a completare la preparazione degli studenti pisani durante le pause semestrali. A partire dalla fine del 1545, venne sistemato in un terreno presso il convento di San Marco e affidato alla direzione di un altro allievo di Ghini, Luigi Leoni.

Ghini insegnò a Pisa per circa dieci anni, fino al 1554. Intorno a lui si creò una scuola che ne disseminò l’insegnamento in Italia e all’estero. Tra i suoi allievi italiani troviamo Luigi Odone, che gli succedette alla cattedra di Bologna; Luigi Anguillara, che fu il primo prefetto dell’orto botanico di Padova; Bartolomeo Maranta, che portò gli insegnamenti di Ghini a Napoli; Andrea Cesalpino, il vero fondatore della botanica sistematica; Ulisse Aldrovandi, che riuscì finalmente a convincere le autorità bolognesi a istituire l’orto botanico e creò uno dei primi musei di storia naturale. Tra i suoi numerosi allievi stranieri citiamo almeno l’inglese William Turner e il fiammingo Matthias de L’Obel. Era inoltre in corrispondenza con innumerevoli

 

erbario figurato erbario figurato: papavero    

colleghi, tra i quali Leonhart Fuchs, al quale inviò piante disegnate e esemplari essiccati, e Mattioli, al quale, in vista del suo commento a Dioscoride, inviò le sue osservazioni sulle identificazioni delle piante descritte in De materia medica, accompagnate da esemplari essiccati. Il botanico senese, solitamente piuttosto burbero, se ne servi ampiamente ed espresse ripetutamente la sua gratitudine e la sua ammirazione per Ghini nei Commentarii.

Sappiamo che progettava una storia naturale per la quale aveva raccolto molti materiali, ma l’uscita degli erbari illustrati di Brunfels (1530) e Fuchs (1542) lo convinse che non aveva senso pubblicare un’opera priva di illustrazioni, né aveva disponibilità finanziarie sufficienti per una costosa edizione illustrata. Vi rinunciò consapevolmente e decise di mettere in circolo le sue acquisizioni condividendole con i suoi corrispondenti, e soprattutto con i suoi allievi; una parte dei suoi insegnamenti confluì dunque nelle opere di Cesalpino e Aldrovandi. Tuttavia, il suo maggiore lascito alla scienza delle piante sta nell’aver inaugurato l’insegnamento della botanica farmaceutica come scienza autonoma e nell’aver creato «i due principali strumenti di conoscenza, ricerca e didattica nella scienza delle piante, cioè a dire l’Orto botanico e l’Erbario» (C. Nepi).

 

  

 

 

Bibliografia

Bellorini C. (2016), The World of plants in Renaissance Tuscany. Medicine and Botany, Rutdledge, New York 2016.

Nepi C. (2016), L’erbario e l’orto botanico, un dialogo mai interrotto, in Orti botanici. Eccellenze italiane, a cura di M. Clauser e P. Pavone, Thema edizioni, Firenze.

Engelhardt, D. von (2012), Luca Ghini (1490-1556). Il padre fondatore della botanica moderna nel contesto dei rapporti scientifici europei del sedicesimo secolo, «Annali del Museo civico di Rovereto», vol. 27, pp. 227-246.

Findlen, P. (2017), The death of a naturalist: Knowledge and community in late Renaissance Italy, in G. Manning, G. - Klestinec C. (a cura di), Professors, Physicians and Practices in the History of Medicine, Springer, New York, pp. 127–167).

Meschini, F. A. (2000), «Ghini, Luca», in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma, vol. 53, https://www.treccani.it/enciclopedia/luca-ghini_%28Dizionario-Biografico%29/.