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Antonio Musa Brasavola, medico sperimentatore

 

Antonio Musa Brasavola

Antonio Musa Brasavola, medico sperimentatore

 

Silvia Fogliato

 

Niccolò Leoniceno ebbe vita lunghissima (si spense novantaseienne e fu attivo fino a tardissima età) e poté educare al suo metodo innovativo diverse generazioni di studiosi, creando una vera e propria scuola di medici-filologi presso lo Studio ferrarese. Tra tutti il personaggio più celebre è senza dubbio Antonio Musa Brasavola (1500-1555). Di famiglia nobile e di genio precoce, a soli diciannove anni si laureò in filosofia e medicina. Entrato al servizio dei duchi Alfonso I e Ercole II, accompagnò quest’ultimo in Francia dove ebbe modo di dimostrare le sue conoscenze enciclopediche e la sua abilità dialettica in tre giorni di discussione de quodlibet scibile (ovvero su qualsiasi argomento, a scelta del pubblico) di fronte ai dottori della Sorbona; ammirato, il re Francesco I gli conferì la croce di San Michele e lo ribattezzò Antonio Musa, vedendo in lui la reincarnazione del sapiente medico dell'imperatore Augusto.

Il soprannome rimase e dal quel momento il nostro fu per sempre Antonio Musa Brasavola. Se il suo maestro Leoniceno aveva osato mettere in discussione Plinio, lui non accettava a priori nessuna autorità: voleva sottoporre a verifica le reali proprietà e l’efficacia dei semplici citati nelle opere degli antichi, inclusi i venerati Dioscoride e Galeno. Seguendo l’esempio del maestro, cercava di identificare le piante dal vivo, spingendo le sue scorribande botaniche fino all’Appenino; approfittò anche dei viaggi diplomatici per procurarsi piante rare; altre, attraverso agenti del duca, gli giunsero da paesi esotici, in particolare dal Mediterraneo orientale (ovvero l’area originaria delle piante citate in Materia medica di Dioscoride).

È possibile che Brasavola le coltivasse o le facesse coltivare in una sorta di orto botanico (ingens viridarium) situato su un isolotto messogli a disposizione dal duca Alfonso; ci è giunta una lettera in cui il duca, malato, promette al suo dottore di fare allestire per lui questo giardino, ma ignoriamo se e quando venne effettivamente impiantato, anche se Aldovrandi conferma l’esistenza a Ferrara di un orto botanico ducale. Poiché Alfonso I morì nel 1534, questo giardino precederebbe di almeno un decennio il primo orto botanico noto, quello creato da Ghini a Pisa per Cosimo I de’ Medici intorno al 1534. Tuttavia, a differenza di quello, non era aperto al pubblico e non aveva finalità didattiche, ma sperimentali.

Sempre grazie alla benevolenza del duca, il medico ferrarese poté condurre esperimenti sui semplici in uso nelle farmacie della città non solo su cani, ma anche su detenuti, usati come cavie umane. I risultati furono esposti nell’opera maggiore Examen omnium simplicium medicamentorum, "Esame di tutti i semplici d'uso medico" (1536); si tratta sia di un catalogo di tutte le piante, i semi, i frutti (nonché, secondo il dettato di Dioscoride, le pietre, terre e metalli con proprietà medicamentose) in uso nelle farmacie di Ferrara, sia di una discussione delle loro reali proprietà medicinali basata dalla verifica sperimentale. Secondo l’uso umanistico, ha forma di dialogo tra tre personaggi: lo stesso Brasavola, un erborista e un farmacista che dibattono sulle piante medicinali e la loro identificazione durante una spedizione erboristica in montagna.

Come tutti i botanici del tempo, Brasavola si preoccupa della corretta identificazione delle piante citate dagli antichi; ad esempio osserva che il cedro descritto da Teofrasto e Plinio è tutt'altra cosa di quello che cresce in Liguria e in Campania, quindi non ha senso attribuire al secondo le proprietà del primo. Ma va molto più in là: è perfettamente consapevole dell'inadeguatezza delle conoscenze degli antichi: «E’ certo che neppure la centesima parte delle erbe è stata descritta dagli antichi ma ogni giorno impariamo a conoscerne di nuove».

Le conoscenze mediche dei classici, oltre ad essere spesso inficiate dai fraintendimenti dei copisti e da cattive traduzioni, erano limitate e infarcite di errori; né si può respingere ciò che gli antichi non conoscevano e l'esperienza dimostra efficace: «Noi non vogliamo imitare coloro che rifiutano l'uso del decotto di guaiaco perché gli antichi non ne hanno parlato»Con parole quasi identiche a quelle celebri di Leonardo («l'esperienza è madre di ogni certezza») Brasavola sottolinea la funzione insostituibile dell'esperienza, «signora di tutte le cose», sia nella ricerca di nuove specie vegetali sia nella verifica delle loro proprietà medicinali.

Dottissimo in molti campi, medico appassionato e celeberrimo, conteso da sovrani e pontefici (fra i suoi pazienti illustri si annoverano, oltre ai duchi d'Este Alfonso I e Ercole II, Francesco I di Francia, l'imperatore Carlo V, Enrico VIII d'Inghilterra, il papa Paolo III), Brasavola era così dedito anche al più umile dei malati da fare sempre tenere pronta la mula - quasi uno status symbol del medico del tempo - per accorrere in caso di necessità a loro capezzale anche più volte al giorno. Dimostrò la sua indipendenza di pensiero confutando le teorie che vedevano nella sifilide (il terribile "mal francese" che aveva cominciato a imperversare in Italia dopo la calata di Carlo VIII del 1495) una punizione divina, identificandone correttamente l'origine e introducendo cure innovative, tra cui, appunto, l'uso del legno di guaiaco. Anche in questo seguì l’esempio di Leoniceno, che già all’apparire del temibile morbo aveva confutato quanti lo attribuivano all’influsso degli astri.

 

Bressavola tuberculata Brassavola nodosa      

Sicuramente, per gli appassionati di orchidee il nome del nostro dotto medico non avrà mancato di evocare una delle loro beniamine. Questo nobile ferrarese, di casa alla corte di principi e pontefici, ha infatti avuto la ventura di donare il suo nome alla sontuosa Brassavola (con due esse, mentre nella grafia del cognome del dedicatario si alternano le forme Brasavola / Brassavola), un'orchidea che Robert Brown ribattezzò in suo onore nel 1813, quando stabilì il genere staccandolo da Epidendrum.

Proprio come Antonio Musa Brasavola, pioniere della ricerca sperimentale e dell’orto botanico, nonché di audaci operazioni chirurgiche (si dice che sia stato il primo a praticare una tracheotomia), anche la Brassavola ha giocato un ruolo pionieristico nella storia della coltivazione delle orchidee. Nel 1698 B. nodosa fu la prima orchidea esotica ad essere importata e coltivata in Europa: dalla nativa Curaçao, grazie alle navi della Compagnia delle Indie occidentali, approdò a De Hortus, l'appena inaugurato orto botanico di Amsterdam, come attesta il catalogo redatto da Caspar Commelin, e vi fiorì la prima volta nel 1715. Con i suoi delicati fiori bianchi e il soave profumo citrato che inizia a diffondersi verso sera, si guadagnò il soprannome di "signora della notte" e inaugurò l'inarrestabile passione per le orchidee. Linneo la descrisse in Species plantarum, assegnandola al genere Epidendrum, da cui sarà separata, appunto, per opera di Brown. 

       

Il genere Brassavola comprende una ventina di specie, tutte americane (dal Messico fino al Brasile, passando per le Antille), epifite o litofite, con uno pseudobulbo allungato da cui nasce un'unica foglia carnosa. I fiori, solitari o raccolti in racemi, bianchi o bianco-verdastri, colpiscono per le forme singolari: il labello cuoriforme di B. nodosa oppure i lunghissimi sepali e petali di B. cucullata che la fanno assomigliare a un insetto stravagante. Sono proprio queste forme estrose ad aver suscitato l'interesse degli ibridatori. Com'è noto, nella famiglia delle Orchidaceae è possibile ottenere ibridi fertili anche incrociando generi diversi, purché non troppo lontani geneticamente; è quello che, avviene per esempio, incrociando Brassavola con Laelia Cattleya (i tre generi appartengono alla medesima sottotribù); ecco allora x Brassocattleya, i meravigliosi ibridi tra Brassavola Cattleya; x Brassolaelia, ibridi tra Brassavola Laelia; x Brassolaeliocattleya, che discendono da tutti e tre i generi.

 

Bibliografia

 

A. M. Brasavola, Examen omnium simplicium medicamentorum: quorum in officinis usus est, impensis et laboribus Antonii Bladi, Roma 1536.

A. M. Brasavola, Examen omnium loch, […], quorum apud Ferrarienses pharmacopolas usus est, ubi de morbo Gallico [...] tractatur, apud Iuntas, Venetiis, 1553.

Gliozzi, G. (1972), «Brasavola, Antonio, detto Antonio Musa», in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma, vol. 14, https://www.treccani.it/enciclopedia/brasavola-antonio-detto-antonio-musa_(Dizionario-Biografico)/.

A. Lazzari, Uno scienziato Ferrarese del Cinquecento: Antonio Musa Brasavola, in «Atti della Accademia delle Scienze di Ferrara», 1952, 29, pp. 151-183.

Liboni, G. (2016), L'experimentum nella medicina pratica di Antonio Musa Brasavola, in «Schifanoia», 50-51, pp. 21-34.