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Aspetti di biologia evolutiva “in frac”

 

Pinguino imperatore  

Aspetti di biologia evolutiva “in frac”

 

 

Federica Dolcemascolo (*) 

 

 

            I pinguini sono l’unica famiglia dell’ordine degli sfeniscidi (Spheniscidae). Uccelli nuotatori molto particolari, nell’ultimo secolo sono stati al centro di articoli e studi parecchio controversi, che li dipingono nelle maniere più disparate: da esempio straordinario di monogamia e sana socialità a “necrofili” e “deviati”, aggettivi connotati da una rilevante antropomorfizzazione.       
La designazione tassonomica di tutte le specie di pinguino è ancora incerta, ma ad oggi si contano circa diciotto specie diverse di pinguini, dal più comune e grande Pinguino Imperatore (Aptenodytes forsteri) al tozzo Pinguino di Adelia (Pygoscelis adeliae). Quest’ultimo è stato il soggetto privilegiato di molti degli studi qui presentati. Alcuni possiedono anche caratteristiche distintive, come nel caso del Pinguino Macaroni, conosciuto come Eudipte Ciuffodorato (Eudyptes chrysolophus), che presenta delle vistose piume in testa. Altri ancora, come si vedrà, abitano in zone della Terra impensabili secondo la visione tradizionale dei pinguini come abitatori di zone ghiacciate.

            Questo elaborato parte dall’analisi dei pinguini per affrontare temi darwiniani come l’adattamento e la biodiversità, accostati alle varie specie di pinguino analizzate nel corso degli ultimi due secoli. Si porrà l’attenzione anche sul discusso “altruismo” in natura, in rapporto alla vasta gamma di atteggiamenti studiati nella famiglia degli sfeniscidi. Si tenderà a far notare l’impronta tipicamente antropocentrica di certi studi che, seppur coerenti e appropriati, saranno rivisitati da analisi più recenti.

 

Pinguini tra selezione naturale e diversità individuale

 

            I pinguini sono un interessante modello di osservazione per ciò che, nel 1859, Darwin designò come “selezione naturale”.  
Secondo l’evoluzionismo darwiniano, gli individui che si adattano e che sopravvivono generazione dopo generazione sono coloro che possiedono le mutazioni genetiche casuali più opportune per l’ambiente in cui essi vivono, tali da avere la possibilità di sostentarsi e riprodursi. Si determina, quindi, un vantaggio adattivo che favorirà il manifestarsi di quella specifica mutazione nella prole degli individui portatori. 

            La peculiare struttura morfologica dei pinguini è contraddistinta da ali corte e massicce, le cui ossa sono dense e pesanti (e non cave, come quelle dei più comuni volatili), e piume idrorepellenti, tali da evitare l’assorbimento dell’acqua e favorire il mantenimento del calore corporeo. La differenza fondamentale rispetto a molti uccelli che usano le proprie ali per volare sono le ossa lunghe delle loro ali, le quali mancano quasi totalmente di pneumatizzazione interna. Questo conferisce ai pinguini un peso specifico di poco inferiore rispetto a quello dell’acqua, riducendo così lo sforzo muscolare per l’immersione.

            Nell’immaginario comune gli sfeniscidi sono descritti, quindi, come abili nuotatori. Tuttavia, il volo appare come una capacità adattativa estremamente utile, soprattutto per fuggire dai predatori. Quindi si è posta la questione sul motivo per cui i pinguini avrebbero fatto a meno di tale requisito, a favore di una propensione al nuoto. In uno studio condotto da Kyle H. Elliott e altri ricercatori dell’Università del Manitoba a Winnipeg in Canada, riportato in un articolo per la rivista online Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America[1], è stata descritta la perdita della capacità di volo da parte di questi animali. L’argomento centrale sta nelle diverse esigenze che bisogna soddisfare per spostarsi con efficienza nell'aria e nell'acqua.          

            Lo studio dei ricercatori canadesi si è basato principalmente sul confronto fra i pinguini e altre due specie di uccelli marini, l’uria di Brünnich (Uria lomvia) e il cormorano pelagico (Phalacrocorax pelagicus). Entrambe le specie sono capaci di volare, ma sono anche molto abili nella caccia subacquea. Inoltre, sono caratterizzati da una forma fisica molto simile a quella dei pinguini, eccetto le ali. Queste ultime, infatti, sono molto più simili a quelle dei volatili: le due specie hanno ossa leggere e molto meno spesse rispetto a quelle dei pinguini.      
A causa di queste caratteristiche appena descritte, è stato documentato che questi uccelli sprecano molte più energie in volo rispetto ad altri volatili. In acqua, invece, hanno una discreta resistenza. Essa, tuttavia, non è comparabile all’equilibrio di forza impiegata dai “cugini” pinguini che, grazie a un ridotto bisogno di ossigeno e alla particolare struttura alare[2], riescono a rimanere immersi per più tempo.
I ricercatori hanno dimostrato che i pinguini, durante la loro evoluzione, hanno raffinato le tecniche del nuoto, per raggiungere una maggiore quantità di pesci con cui cibarsi. Nello stesso tempo, quanto più le loro caratteristiche fisiche si adattavano a tale attitudine, generazione dopo generazione, tanto più la loro capacità di volare diminuiva; infatti, il movimento e la forma dell’ala più adatta al nuoto non si conciliano con le esigenze del movimento nell’aria.

           

Uria - Uria lomvia Phalacrocorax pelagicus- Linda Tanner - originally posted to Flickr as Pelagic Cormorant, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9579134    

Osservando queste notevoli differenze fra i pinguini e gli uccelli atti al volo, si possono fare degli accostamenti fra le caratteristiche degli sfeniscidi e i tre principali pilastri[3] su cui si basa la teoria darwiniana dell’evoluzione:

  • La variabilità individuale dei caratteri è una proprietà fondamentale degli organismi. I pinguini, pur essendo uccelli, presentano una mutazione morfologica tale da favorire la loro sopravvivenza tramite ali adatte al nuoto, piuttosto che al volo.
  • «Gli organismi mettono al mondo un numero di discendenti generalmente superiore a quello che l’ambiente può sostenere e non tutti potranno sopravvivere»[4]. Le varie generazioni di pinguini hanno assunto, per ereditarietà, la variazione “vincente” che consente un più favorevole adattamento all’ambiente in cui si trovano, sia per cibarsi che per riprodursi.
  • Vi sarà un accumulo graduale di «variazioni favorevoli in una popolazione per effetto della selezione naturale»[5]. I discendenti di pinguini, sempre più capaci nel nuoto, sono stati “favoriti” dall’ambiente, quindi atti a riprodursi. Anche tramite la riproduzione stessa, tali variazioni hanno avuto la possibilità di propagarsi.

            È opportuno precisare che l’adattamento dei pinguini verso una sempre più spiccata capacità di nuoto non è stato un evento di rottura “improvviso” né tantomeno ha affrontato una gradualità tale da assistere a fasi in cui le loro ali siano da considerare “inutili” o solo un “5%” di ciò che avrebbe dovuto davvero essere un’ala[6]. È più corretto riferirsi a tale forma di adattamento con “exaptation”, concetto introdotto da Stephen J. Gould ed Elisabeth Vrba nel 1972 in Exaptation, a Missing Term in the Science of Form. L’exaptation, in sintesi, è un mutamento della funzione nella continuità della struttura, anche in funzione delle varie opportunità che l’ambiente offre. Infatti, per i pinguini si tratta di una cooptazione, quindi di un cambiamento considerevole di funzione mantenendo comunque la struttura del carattere precedentemente favorito dalla selezione naturale.

            La selezione naturale agisce sul “presente”, non in una prospettiva futura secondo cui prestabilire una funzione. Senza questo assunto, ci si allontanerebbe dallo sfondo anti-finalistico, squisitamente darwiniano.    
Bisogna precisare, tuttavia, che la flessibilità adattativa è altrettanto presente negli ambienti, oltre che negli organismi. In una tale visione generale di interconnessione tra ambiente e organismi “abitatori”, non solo i pinguini hanno subito un mutamento, ma anche il loro ambiente.

            Altro luogo comune quando si parla di pinguini è quello secondo cui essi vivrebbero solo ed esclusivamente nei ghiacci dell’Antartide, ma non è così. Infatti, esistono pinguini che vivono in un ambiente tropicale come Saldanha, una riserva vicina a Città del Capo, nella Repubblica Sudafricana. Questa specie di pinguini, i cosiddetti Pinguini dai Piedi Neri o Pinguini del Capo (Spheniscus demersus), fa il nido sotto gli alberi, scavando delle buche nel terreno sabbioso e mettendo come fondo foglie ed erba. Attualmente è sotto il centro dell’attenzione, in quanto si trova a rischio di estinzione per via dei vari cambiamenti climatici che stanno mettendo a repentaglio il loro approvvigionamento di cibo e le temperature miti delle acque entro cui nuotano (fondamentali per il mantenimento di una opportuna temperatura corporea anche durante il nuoto).

Pinguini del Capo - Spheniscus demersus    

            Questi particolari pinguini “tropicali", descritti già nel 1985 dal giornalista scientifico Giuseppe Mazza per Natura Oggi[7], sembrano rappresentare una manifestazione interessante della “diversità individuale” che tanto affascinava Charles Darwin nei suoi studi riguardanti le specie endemiche delle isole Galápagos. Infatti, seppur i pinguini vengano generalmente visti come animali prettamente amanti del freddo, questa specie possiede piume e strati di grasso meno consistenti rispetto ai pinguini polari, tali da consentire loro di sopportare il caldo.

            Soltanto due delle diciotto specie di pinguino attualmente riconosciute sono tipiche del freddo continente antartico, ovvero il Pinguino Imperatore e il Pinguino di Adelia. In questa famiglia di animali vi sarebbe, quindi, una predilezione per le zone temperate, più che glaciali. Infatti, come spiega Mazza nel suo articolo, «studi recenti hanno dimostrato che più che di acque gelide, questi uccelli hanno bisogno di mari a temperatura quasi costante, con variazioni annue inferiore ai 5°C»[8]. Nelle stesse isole equatoriali, luogo d’ispirazione per L'Origine delle Specie, è stata attestata la presenza del Pinguino delle Galàpagos (Spheniscus mendiculus).
Il segreto di questi uccelli, infatti, non sta tanto nella temperatura esterna degli ambienti in cui dimorano, quanto nelle particolari correnti che transitano nei mari in cui essi nuotano. Vi sono le grandi correnti oceaniche fredde di Humboldt e di Benguela che percorrono i mari che bagnano molte isole australi, dalla Nuova Zelanda al Sud America. Sarebbe proprio questa caratteristica dei fondali marini a consentire la presenza di pinguini in queste zone così temperate, se non roventi in determinate stagioni.       
Lo studio di Mazza mostra, anche tramite prove fotografiche, come i pinguini vivano in stretta connessione col mare, dal quale, infatti, non tendono a distanziarsi mai per troppo tempo. Le immersioni nelle acque marine, insieme ai rifugi nelle tane e all’ombra di rocce e arbusti, diventano per questi uccelli delle vere e proprie strategie di sopravvivenza alle temperature eccessivamente calde. Inoltre, «per disperdere il calore sollevano le piume e utilizzano speciali superfici radianti, ricche di vasi sanguigni, poste sotto le ali e sui piedi»[9].

            Si è dimostrato, dunque, come la famiglia degli sfeniscidi si possa adattare bene ad ambienti nei quali non si è soliti raffigurarli. Un altro dato interessante che si può ricavare riguardo questi uccelli è la loro origine, proprio grazie a questi studi sviluppatisi sui pinguini sudafricani.  

Pinguino gigante Ricostruzione di K. grebneffi    

Proprio in Nuova Zelanda, è stato scoperto un fossile databile circa sessanta milioni di anni fa, subito dopo la scomparsa dei dinosauri. Si tratta di un “pinguino gigante”, chiamato Crossvallia waiparensis e descritto sulla rivista Alcheringa: An Australasian Journal of Palaeontology da Paul Scofield e Vanesa De Pietri, curatori del Canterbury Museum, e altri studiosi[10].    
Ciò che ha tenuto a sottolineare Scofield nel suo articolo è stato il collegamento interessante tra questi resti e quelli di un altro pinguino gigante, individuato in Antartide nel 2000. Questi fossili, così simili tra loro, sarebbero non solo la testimonianza di una rilevante proliferazione degli sfeniscidi riconducibile al periodo successivo ai dinosauri, ma anche la rivelazione di una morfologia sostanzialmente diversa rispetto a quella dei più comuni pinguini viventi attualmente. Il pinguino gigante, infatti, era alto e pesante circa il doppio rispetto al Pinguino Imperatore, usato come metro di paragone in quanto si tratta della specie di pinguino vivente più grande in assoluto.     
Circa trenta milioni di anni successivi alla loro comparsa, i pinguini giganti si sarebbero estinti. Insieme a loro, si sarebbero estinte nello stesso periodo anche altre specie peculiari per le loro dimensioni, molto più grandi rispetto agli individui attualmente esistenti (come il pappagallo gigante o l’aquila gigante), i cui resti sono stati trovati, come nel caso dei pinguini giganti, in Nuova Zelanda. La risposta di Scofield, a proposito di questa ecatombe di specie dalle grandi dimensioni, sta nella comparsa di grandi mammiferi marini proprio nel periodo in questione. Tali animali avrebbero dominato i mari, così da essere i principali predatori dei pinguini di quel periodo.       

            Le attuali dimensioni degli sfeniscidi, decisamente più ridotte rispetto a quelle dei suddetti antenati, sarebbero da identificare come una forma di adattamento di questi uccelli all’ambiente e alle sue modifiche.    
È stato notato come le tane dei Pinguini del Capo, poste sotto la sabbia, siano utili anche per nascondersi dai predatori. Quindi, un’altezza che non vada oltre i 50 centimetri (dimensione che caratterizza i pinguini “tropicali”) è risultata valida. Le dimensioni dell’ancestrale pinguino gigante, invece, avranno reso decisamente complessa, se non impossibile, tale strategia di protezione.

 

Pinguini “altruisti” o pinguini “deviati”?

 

 

            Nell’immaginario comune, veicolato anche da immagini e pubblicità, i pinguini sono sempre raffigurati come mascotte di tenerezza, goffaggine e fedeltà tra simili. Li si vede spesso in video che riproducono la loro buffa camminata e in documentari, come La Marcia dei Pinguini[11], che elogiano la loro distintiva “monogamia” e il viaggio impervio che affrontano periodicamente per tornare sempre dagli stessi partner della covata precedente.          
Nel documentario appena menzionato, la voce di Rosario Fiorello accompagna la marcia del Pinguino Imperatore, il quale deve migrare per diversi mesi sia per riprodursi sia per allevare la prole. L’affascinante paesaggio antartico fa da sfondo a momenti critici di questa migrazione di intere colonie di pinguini. Alcune uova vengono danneggiate dal ghiaccio o divorate da altri animali, alcuni pinguini adulti perdono la vita attaccati dai predatori o a causa del freddo eccessivo. Da questo documentario emerge un tratto caratteristico. Le madri dei pinguini, quando il loro cucciolo muore, tendono ad attuare comportamenti altamente competitivi per cercare di appropriarsi, e così prendersi cura, o di cuccioli rimasti orfani o di cuccioli di altre madri, in vere e proprie lotte contro le stesse. Sebbene il documentario si presenti in maniera molto fedele alla realtà per contesti e osservazioni dirette su questi animali, il linguaggio utilizzato per le descrizioni appare assai viziato da una forte antropomorfizzazione dei pinguini.           
            D’altronde, anche con i nostri animali domestici, accade spesso di ricadere in spiegazioni spiccatamente vicine agli atteggiamenti umani. Ad esempio, “il migliore amico dell’uomo”, epiteto diffusissimo per i nostri cari cagnolini, è quasi un vezzeggiativo da affibbiare per sentirli a noi più vicini. Pensare di essere davvero migliori amici ci dà una sorta di rassicurazione, di filìa in senso greco. Tuttavia, appare assai forte ritenere che il nostro cane o il nostro gatto possano avere la concezione di “amico” o tantomeno di “migliore”, in quanto sono solo delle costruzioni umane.

            In questo elaborato non si vuole mettere in dubbio il senso di affezione che gli animali possono provare sia nei confronti degli umani sia tra simili. Non si tenderà a sottovalutare la struttura mentale degli animali, né tantomeno a porla in confronto con quella umana. Non sono argomenti inerenti alla tesi qui discussa.

            Tornando alle caratterizzazioni tipiche attribuite agli animali, una delle più discusse è quella dell’altruismo. Molti racconti e varie teorie riconoscono forme di altruismo tra gli animali. Il vocabolario online Treccani riporta che l’altruismo è «amore verso il prossimo, […] l’atteggiamento di chi orienta la sua opera verso il fine di raggiungere il bene altrui (o, se si preferisce, di trovare il bene proprio nel bene altrui), e la dottrina che giustifica e propugna tale atteggiamento»[12].
Si parla di un “orientamento verso un fine”, dunque si sottintende una ben precisa intenzione e un certo ragionamento. Soprattutto, viene preso in considerazione il “bene altrui”, quindi un vantaggio per gli altri. Inoltre, nell’immaginario collettivo, viene spesso implicato anche un senso di sacrificio: un individuo viene ritenuto realmente altruista, nel senso pieno del termine, quando è capace anche di mettere in discussione il proprio bene, di rinunciare a qualcosa, per favorire il bene dell’altro.

            A proposito di questa tendenza di gratuità dell’altruismo, Charles Darwin nella sua teoria precisa che «la selezione naturale non può produrre modificazioni in una specie esclusivamente a vantaggio di un'altra specie, benché nella natura una specie continuamente si avvantaggi e si approfitti delle strutture di altre. [...] Se si potesse provare che una qualsiasi parte della struttura di una specie è stata formata per esclusivo beneficio di un'altra specie, ciò distruggerebbe la mia teoria, poiché quella parte non potrebbe essersi prodotta attraverso la selezione naturale»[13].

            In una visione ancor più generale, che abbraccia la filosofia del linguaggio e certi studi di etologia, l’idea di altruismo comprende anche il concetto di “sé” e di “altro da sé”. Ma c’è di più, infatti non vengono implicate solo tali nozioni, ma anche la costruzione stessa di un concetto.            
È stato ormai accettato da più correnti di pensiero che il linguaggio, nella sua totalità, non comprende solo quello verbale, ma anche quello sonoro, gestuale, simbolico e tutto ciò che consente la trasmissione di un messaggio. Un linguaggio è tale, perciò, quando è atto a comunicare qualcosa. In particolare, il linguaggio verbale finora viene attribuito soltanto agli esseri umani. Non ci si soffermerà sulle varie teorie al riguardo, se ne farà soltanto qualche accenno. Inoltre, le teorie riguardanti il linguaggio e l’eventuale intenzionalità in esso insita sono attualmente in discussione, soprattutto in ambiti come la filosofia della mente e le neuroscienze.

            Vi è uno studio etologico interessante avvenuto nel Novecento. I coniugi Allen Gardner e Beatrix T. Gardner utilizzarono la lingua dei segni americana, cercando di insegnarla a Washoe, uno scimpanzé femmina di 10 mesi. Ciò avvenne attraverso imitazione e, in altri casi, attraverso addestramento specifico. Washoe imparò a combinare i segni per indicare le cose più basilari, come “bere” o “mangiare”, in modo abbastanza simile ai bambini di due anni; tuttavia si è osservato che l’ordine dei segni nella produzione di Washoe era molto più caotico rispetto a quello dei bambini. Inoltre, lo scimpanzè non era in grado di formulare spontaneamente domande o frasi, al contrario dei bambini. Infine, si è notato come l’animale imitasse semplicemente i movimenti che produceva il suo istruttore.

            Formarsi un concetto di qualcosa implica la costituzione di un pensiero tale da comprendere in sé tutti quegli aspetti della realtà che si riferiscono alla “cosa” designata e che possano imprimersi in mente per indicare sempre “quella cosa” e non altro (lat. concipere = cum-capere, comprehendere)[14].
Si tratta di un complesso fenomeno mentale che prevede il rapporto tra sé e la realtà circostante. Vi sono due differenti approcci rispetto a tale rapporto: la prospettiva esternista e quella internista. La prima sostiene una costante correlazione della mente col mondo in cui essa agisce. Viene meno così l’idea di autonomia delle dinamiche cognitive, e viene evidenziata l’essenza oggettiva del significato che si dà alle “cose”. La prospettiva internista, invece, difende l’indipendenza dei fatti mentali, affermando l’autonomia della mente rispetto al mondo esterno.

            Il filosofo Thomas Nagel è uno dei maggiori esponenti della teoria internista e un suo saggio fondamentale, in tale prospettiva, è Che cosa si prova a essere un pipistrello?[15]. È interessante scoprire perché abbia scelto proprio il pipistrello come protagonista del suo scritto, leggendo le sue parole: «ho scelto i pipistrelli invece delle vespe o dei passeri perché se ci si allontana troppo dall'albero filogenetico, gli uomini perdono gradualmente la fiducia sul fatto che vi sia realmente esperienza. I pipistrelli, benché più vicini a noi che le altre specie citate, presentano tuttavia una gamma di attività e un apparato sensorio così differenti dai nostri che il problema che desidero porre è eccezionalmente nitido (sebbene possa certamente essere sollevato anche a proposito di altre specie)»[16].          
Possiamo notare come Nagel introduca la sua tesi con lieve ironia, notando come gli umani abbiano, in genere, la necessità di sentire qualcosa vicina, se non analoga, a sé per poterla comprendere a pieno. Uno dei nodi fondamentali su cui si concentra Nagel, e che qui ci interessa, è il carattere soggettivo dell’esperienza. Si parte dal presupposto che il pipistrello, così come ogni altro animale, abbia delle proprie esperienze soggettive di ciò che lo circonda.       
Il sonar del pipistrello, ad esempio, è ciò che permette a questi animali di percepire il mondo esterno, tramite ultrasuoni. Per quanto potrebbe risultare facile paragonare ciò al nostro udito, Nagel precisa che non vi sono né prove né motivi per fare accostamenti con ciò che possiamo sperimentare noi umani. Non perché vi sia una sorta di gerarchia che pone noi in un posto privilegiato rispetto a loro, piuttosto perché abbiamo strutture mentali e morfologiche diverse.
La nostra immaginazione si serve degli elementi forniti dalle nostre esperienze in quanto esseri umani. Dunque, cercare di immaginare di avere le ali o di possedere il sonar non potrà mai corrispondere alla stessa realtà degli animali portatori di essi, quanto piuttosto a come si comporterebbe l’umano, qualora li avesse. L’umano, infatti, non potrà mai andare più in là delle risorse della sua mente, e queste risorse non saranno mai tali da consentire un’esatta comprensione di tali particolari; al contempo, l’animale non può che guardare con i suoi filtri determinati atteggiamenti che osserva negli umani.
Allo stesso modo, un umano non potrà mai comprendere fino in fondo un particolare comportamento che può osservare in una specie animale. Può solo rapportarlo al suo spettro di idee e di esperienze, definendolo con termini antropocentrici, perché quello è l’unico modo con cui può spiegarsi ciò che lo circonda. Nell’Antica Grecia, d’altronde, i fenomeni atmosferici e certe catastrofi venivano spiegati tramite le azioni di dei antropomorfi, quasi per far rientrare quel dato inspiegabile osservato entro una visione più vicina a sé stessi.       
Ecco perché in questa tesi si vuol fare notare come risulti in molti casi pericoloso ricondurre determinate osservazioni in natura a termini come “altruismo”, “monogamia” e simili.

           

   

Tornando ai pinguini, i suddetti termini sono stati parecchio usati in diversi studi. Uno degli studi che più ha stupito vari studiosi, fu ciò che si riesumò dagli appunti del dottor George Murray Levick, il quale partecipò nel 1910 alla spedizione Terra Nova, un viaggio d’esplorazione del Polo Sud capitanato da Robert Falcon Scott.
Le scoperte fatte da Levick circa alcuni comportamenti dei Pinguini di Adelia lo sconvolsero a tal punto che scrisse alcune parti del suo report in greco antico, così da esser compreso da pochi e non rischiare di essere allontanato dalla comunità scientifica del tempo. Ci si trovava nell’epoca Edoardiana, in cui l’omosessualità destava ancora scalpore.           
Il suo report, inoltre, comprendeva ben altro rispetto ai soli episodi di omosessualità fra pinguini (episodi oggi notati in più specie animali). Il chirurgo definì certi comportamenti dei pinguini come “necrofilia”, “prostituzione”, “depravazione”. Aveva osservato, infatti, rapporti sessuali di esemplari maschili con cadaveri di femmine di pinguino. Le femmine, sempre secondo il suo resoconto, si prestavano a rapporti sessuali con individui maschi per ottenere in cambio “denaro”, ovvero ciottoli con cui costruire il nido.

            Queste osservazioni che potevano stupire tanto un biologo del XX secolo, fanno sorridere i biologi del XXI. Quella che da Levick veniva scambiata per necrofilia altro non è che incapacità di distinguere, nella foga riproduttiva, i corpi vivi delle femmine da quelli morti rimasti nella stessa posizione, tipica dell'accoppiamento. Infatti, negli studi più recenti, è stato notato che durante l’accoppiamento le femmine di pinguino restano in posizione supina.       
Queste rivisitazioni del resoconto di Levick sono state presentate in un articolo di Douglas Russell, curatore del Natural History Museum di Tring (Regno Unito) e colleghi[17].       
Nell’articolo per la rivista Polar Record gli autori rinnovano più volte il merito del dottor Levick per le importanti e interessanti scoperte che ha fatto sui Pinguini di Adelia, definendolo come “pioniere” di tale ricerca. Tuttavia, è stato riportato anche l’esperimento compiuto da David Ainley, uno degli autori dell’articolo: dei pinguini maschi di età adulta furono posti in presenza di modelli simili a femmine della stessa specie con visibili ferite. Gli esemplari maschi si sono approcciati a quei modelli, semplicemente per la posizione da essi assunti, atta all’accoppiamento[18].      
Inoltre, per quanto riguarda la cosiddetta “prostituzione” che sarebbe comune fra femmine di pinguino, i più recenti documentari della BBC[19] fanno notare che anche i maschi spesso si impegnano nella costruzione dei nidi in attesa di una compagna. Dunque, le osservazioni di Levick, in questo caso, non possono che essere annoverate come mere coincidenze.

            Sebbene si rischi la deriva antropocentrica trattando di altruismo, egoismo, depravazione, monogamia e simili in natura, vi sono altri modi per descrivere gli atteggiamenti in questione. Adottando, ad esempio, le nozioni di cooperazione e competizione si delineerebbe un panorama coevolutivo meno carico di stereotipi e antropomorfizzazioni ma comunque adatto all’analisi del mondo animale, senza negare la coscienza di sé riscontrata in natura[20]. Usando i termini altruismo o egoismo, invece, si rischiano fraintendimenti.

 

 


Note

 (*) Studentessa del corso magistrale in Filosofia  presso l'Università "la Sapienza" di Roma Si tratta di Filosofia. Testo elaborato per il corso di "Filosofia e Scienze del Vivente". 

[1] Kyle H. Elliott, Robert E. Ricklefs, Anthony J. Gaston, Scott A. Hatch, John R. Speakman, Gail K. Davoren, High flight costs, but low dive costs, in auks support the biomechanical hypothesis for flightlessness in penguins in «Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America» (4 Giugno 2013), pg. 9380-9384

[2] Vedi sopra, pg. 1

[3] Cfr. Telmo Pievani, Introduzione alla filosofia della biologia, Laterza, Roma 2019, pg. 5-8

[4] Ibidem

[5] Ibidem

[6] Ivi, pg 147

[7] Giuseppe Mazza, I pinguini che stanno al caldo in «Natura Oggi» (1985), pg. 94 - 103

[8] Ivi, pg. 102

[9] Ibidem

[10] Gerald Mayr, Vanesa L. De Pietri, Leigh Love, Al Mannering, R. Paul Scofield, Leg bones of a new penguin species from the Waipara Greensand add to the diversity of very large-sized Sphenisciformes in the Paleocene of New Zealand in «Alcheringa: An Australasian Journal of Palaeontology» (12 Agosto 2019), pg. 194-201

[11] Luc Jacquet, La Marcia dei Pinguini (2005)

[12] Treccani.it, definizione di “altruismo

[13] Charles Darwin, L'origine delle specie, trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1967, pg. 259

[14] Cfr. Treccani.it, definizione di “concetto

[15] Thomas Nagel, Che cosa si prova a essere un pipistrello? in «The Philosophical Review» (Ottobre 1974)

[16] Ibidem

[17] Douglas G.D. Russell, William J.L. Sladen, David G. Ainley, Dr. George Murray Levick (1876–1956): unpublished notes on the sexual habits of the Adélie penguin in «Polar Record» (22 Maggio 2012), pg. 387-393

[18] Ivi, passim

[19] BBC Earth, Pinguini in lutto tentano di rubare i piccoli altrui (2018)

[20] Cfr. Philip Low et al., Dichiarazione di Cambridge sulla Coscienza (7 Luglio 2012), Cambridge

 

 

Riferimenti                  

Pinguini in lutto tentano di rubare i piccoli altrui. Diretto da BBC Earth. 2018.

Darwin, Charles. L'origine delle specie. Torino: Bollati Boringhieri, 1967.

Elliott, Kyle H, Robert E. Ricklefs, Anthony J. Gaston, Scott A. Hatch, John R. Speakman, e Gail K. Davoren. «High flight costs, but low dive costs, in auks support the biomechanical hypothesis for flightlessness in penguinsProceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 04 06 2013: 9380-9384.

La Marcia dei Pinguini. Diretto da Luc Jacquet. 2005.

Low, Philip, e et al. «Dichiarazione di Cambridge sulla Coscienza.» Cambridge, 2012.

Mayr, Gerald, Vanesa L. De Pietri, Leigh Love, Al Mannering, e R. Paul Scofield. «Leg bones of a new penguin species from the Waipara Greensand add to the diversity of very large-sized Sphenisciformes in the Paleocene of New

ZealandAlcheringa: An Australasian Journal of Palaeontology, 12 08 2019: 194-201.

Mazza, Giuseppe. «I pinguini che stanno al caldo .» Natura Oggi, 1985: 94-103.

Nagel, Thomas. «Che cosa si prova a essere un pipistrello?» The Philosophical Review, 10 1974.

Pievani, Telmo. Introduzione alla filosofia della biologia. Lecce: Laterza, 2005.

Russell, Douglas G.D., William J.L. Sladen, e David G. Ainley. «Dr. George Murray Levick (1876–1956): unpublished notes on the sexual habits of the Adélie penguinPolar Record, 05 2012: 387-393.

Treccani. Altruismo. s.d. http://www.treccani.it/vocabolario/altruismo/.

—. Concetto. s.d. http://www.treccani.it/enciclopedia/concetto/.