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Prospettive su una scuola futura
COMeSE   Unesco    

Prospettive su una scuola futura

 

 

Sintesi dei tavoli partecipati realizzati nel corso dell’Officina 2020 “Educazione e Futuri”

 

A cura di Silvia Caravita e Claudia Pennacchiotti

 

Tra aprile e maggio 2020, nell’ambito dell’Officina: “Educazione e Futuri” si sono svolti quattro tavoli di discussione virtuale rivolti al mondo della scuola e alla comunità scientifica, con l’obiettivo di attivare una riflessione collettiva sui futuri dell’educazione e la formazione alla cittadinanza attiva. I tavoli sono stati promossi dal gruppo di ricerca “Studi sociali su scienza, educazione, comunicazione (COMESE)” dell’Istituto di Ricerche sulle Popolazioni e le Politiche Sociali del CNR, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione e l’iniziativa “Futures of Education” dell’UNESCO che, sulla scia dell’Agenda ‘20-‘30[i], promuove una riflessione collettiva sul futuro dell’educazione e sul suo valore come bene comune globale, in un mondo sempre più complesso e pieno di incertezza.

I quattro tavoli virtuali rientrano nelle annuali Officine[ii] organizzate dal gruppo COMESE  dell’IRPPS, uno spazio di co-creazione di conoscenza, di confronto e di dibattito sui temi dell’educazione e delle competenze per la società e per l’inclusone sociale; una riflessione partecipata che viene rinnovata secondo chiavi di lettura e prospettive sempre diverse, per fornire alla comunità multidisciplinare formata da docenti, studenti, ricercatori, funzionari scolastici etc,  nuovi spunti di riflessione su temi sempre diversi. In particolare, l’edizione 2020 “Educazione e Futuri” ha voluto dare ampio spazio alla voce degli studenti, ospitando, oltre ai membri della comunità di pratica Officine, la Consulta provinciale degli studenti di Roma, l’organismo di rappresentanza degli studenti delle scuole secondarie. La discussione sul futuro della scuola si è svolta durante il periodo di lock-down per la pandemia da Covid 19 e nel pieno della improvvisata e sofferta sperimentazione di scuola a distanza e didattica digitale da cui la scuola stessa ha certamente ricevuto stimoli forti a interrogarsi sulla necessità di un radicale ripensamento del sistema d’istruzione nazionale e dei modi di fare educazione.

I 4 Tavoli virtuali si sono sviluppati intorno a 3 aree tematiche:

  1. L’educazione ai tempi dell’incertezza
  2. Competenze di cittadinanza e insegnamento CLIL
  3. Futuri di cittadinanza scientifica e Global Science Opera

Trasversalmente ad essi sono stati considerati i cambiamenti legati alle dimensioni di incertezza, alle caratteristiche di complessità e interconnessione di ogni elemento del nostro pianeta e alla rinnovata consapevolezza circa la fragilità umana e del sistema in cui siamo inseriti.

Sul sito www.officinaeducazionefuturi.it si possono trovare i video e i rapporti finali, la composizione dei tavoli, le esperienze professionali dei partecipanti. Inoltre uno spazio dedicato dà a tutti la possibilità di lasciare commenti e caricare materiali.

É opportuno ricordare che i Tavoli hanno avuto luogo mesi fa e in un clima particolare che ha messo in luce tutte le deficienze della scuola e acuito l’insofferenza e l’esigenza di cambiamento.

Nelle pagine che seguono abbiamo riorganizzato in una sintesi le diverse prospettive emerse, mettendo in evidenza alcuni dei punti su cui ci sembra importante richiamare l’attenzione di un pubblico più ampio.  

Gli spazi fisici e istituzionali della scuola

La scuola “Esisterà ancora come luogo fisico? Saremo ancora forzati a vivere in una comunità-classe e ad adattarci a questa?”.

 

Queste domande di uno studente della Consulta provinciale di Roma rivelano tutta l’insofferenza per luoghi divenuti asfittici per chi, studenti e docenti, li vive tante ore della giornata.

La necessità di ripensare radicalmente gli spazi, la loro fruizione, l’organizzazione, il tempo-scuola e chi vi partecipa è stata espressa più volte, nel corso della discussione, da studenti ma anche docenti e ricercatori, consapevoli che gli spazi fisici (l’edificio, la classe, gli spazi aperti, l’esterno) condizionano i modi di insegnare e apprendere, riflettono modelli di acculturazione, sono educanti o vincolanti. Durante tutto il processo di sviluppo, competenze chiave si costruiscono dentro e fuori dalla scuola, ma devono essere “viste”, condivise nel gruppo, valorizzate, affinate al suo interno. La scuola non è solo il luogo in cui si apprendono conoscenze, è anche il luogo in cui l’individuo vive nella comunità e impara ad integrarsi in essa.

L’auspicio è dunque verso un sistema scolastico più capace di plasmarsi secondo esigenze mutevoli e che nel concreto si realizzi in istituti scolastici più permeabili al mondo, nei quali la classe non sia più il principale spazio fisico e sociale destinato all’insegnamento. Ambienti in cui l’organizzazione della comunità d’apprendimento sia pensata secondo modelli dinamici, per l’uso di risorse molteplici le cui specificità vanno rispettate nei luoghi, modi, tempi e con il coinvolgimento dei diversi attori che concorrono all’educazione formale e informale (la Scuola, l’Università e il mondo della ricerca, la famiglia, i diversi attori sociali) in un dialogo paritario e non verticistico.

Ovviamente questo comporta anche una negoziazione continua di valori nella comunità educante come processo continuo e impegnativo.

Per tutta l’arco di vita, il tempo dell’istruzione e del lavoro, gli spazi personali, dovrebbero potersi incastrare a pettine. Ciò richiede una tensione costante verso una scuola aperta al territorio, durante e oltre l’orario scolastico, fruibile come spazio fisico e virtuale  al servizio della comunità, luogo d’eccellenza per avere scambi con i propri pari, per fare altre attività e per creare aggregazione. Una palestra di partecipazione civile.

Come sottolineato a più voci nel corso dei Tavoli, questo cambiamento parte anche da un ripensamento degli spazi fisici e dall’attenzione all’estetica dei luoghi, quale premessa perché si possa coltivare il desiderio di bellezza, di produrre cose ben fatte, di avere cura per l’ambiente: “Non viene la voglia di creare qualcosa di bello se si sta in locali tristi e squallidi”.

 

Il ruolo della scuola nella società che cambia e nel cambiamento della società

 

La distanza tra Scuola e Società è aumentata negli ultimi decenni rispetto a molti aspetti: l’utilizzo di tecnologie, le questioni di genere, la gestione ambientale, la complessità dei sistemi economici e politici globali, l’accesso alla vita lavorativa. Sono temi che non possono essere liquidati proponendo ai ragazzi progetti estemporanei come attività parallele al curricolo. Le comunità (società civile, università, scuola, mondo dell’associazionismo e mondo della ricerca, sistema imprenditoriale), in quanto luogo della produzione di senso e comprensione del mondo attraverso relazioni rette da principi di solidarietà e reciprocità, devono essere messe in condizione di partecipare responsabilmente al processo educativo.

Società in rapido cambiamento richiedono scuola in continuo cambiamento, perché è reale il rischio che il ruolo della scuola quale opportunità di avanzamento sociale, diventi marginale nella formazione dei giovani: i processi sono così veloci che non salvaguardano l’individuo, i giovani non capiscono quale dovrà essere il loro posto nella società e si dicono insicuri. La scuola, però, può accompagnarli sviluppando competenze, valutando capacità di partecipazione, di confronto con gli altri, può consentire l’avanzamento sociale dei cittadini (funzione in parte perduta) e accompagnare al lavoro i giovani non solo e non tanto in quanto attenta a formarli sulle esigenze del mercato.

Tra gli strumenti per perseguire questo obiettivo, andrebbero valorizzate le azioni in parte sperimentate fin dalla costituzione delle Agende 21, come le attività di apprendimento al servizio del sociale, svolte in modo cooperativo e le didattiche attive e integrate, finalizzate a promuovere valori democratici, a costruire conoscenza come pratica dell’esperienza[iii] e realizzare percorsi formativi partecipati tra i vari sistemi educativi, nel rispetto delle diversità. Essenziale è che in queste esperienze gli studenti siano parte del processo decisionale sull’azione da svolgere e sulla relativa valutazione.

“Non c’è dato lasciare il mondo così come è”, scrive Morin[iv].

 

CIES Futures of Education Keynote Panel    

“Andiamo verso una società tecnocratica, che ha fiducia nella tecno-scienza come auto-potenziamento di se stessa, dominata dall’efficienza della produzione e delle persone? O verso una società aperta, fatta di idee giovani, sempre pronta a cambiare?” “Il progresso non è deterministico, è scelto”.

Una scuola può essere “trasformativa” (dei ragazzi e della realtà) se esplora futuri possibili, se abitua a costruire visioni di futuro e a riflettere sui valori, in primo luogo quelli che stiamo usando nel presente. Non basta la conoscenza del passato, bisogna partire dal futuro, dare valore al futuro. E proprio il confronto con l’incertezza del futuro, ma anche di un presente sempre più complesso, rende l’individuo consapevole della necessità di prendere decisioni anche quando non dispone di tutte le informazioni pertinenti. “La consapevolezza della nostra ignoranza deve contribuire alla trasformazione dei contesti educativi (n.d.r. e delle proposte didattiche): procedere per prove, pronti a tornare indietro, e dunque accettare la pluralità e variabilità delle soluzioni possibili, non deve essere considerato segno di debolezza, ma di saggezza; vulnerabilità e fragilità non devono essere visti come impedimenti, ma come opportunità di ascolto, di riflessione e di configurazione delle molteplici declinazioni di successo formativo. Riconsiderare in positivo concetti quali tempo, ascolto, accoglienza, lentezza [v], finanche errore, deve entrare appieno nelle pratiche educative” [vi]. Creatività e “inventiva”, si allenano quando si istituiscono nessi inediti tra le cose dando vita a qualcosa di nuovo.

Questa complessità del reale è il punto di partenza ed è anche una lente con cui guardare la realtà; l’idea di complessità non è una disciplina da insegnare, ha bisogno del sostegno delle conoscenze su cui i ragazzi possano fondarla. Può diventare un’abitudine mentale durante tutta la formazione, fin dalla scuola per l’infanzia, quando l’acquisizione del sapere è accompagnata dall’impegno in attività che si confrontano con la “resistenza” del reale. Nella scuola secondaria, ad esempio, questo può accadere quando la scuola in cooperazione con il territorio, quindi in contesti conosciuti e significativi per i ragazzi, organizza e mette a disposizione servizi che identifica attraverso percorsi di co-ricerca con partner esterni (apprendimento al servizio del sociale). Si dà senso alle conoscenze che via via si costruiscono, si dà l’opportunità di sperimentare l’errore e si cominciano ad assumere responsabilità verso percorsi di conoscenza e verso le persone con cui si collabora. Una scuola che fa da ponte al passaggio dall’individuo al cittadino perché le competenze devono servire per continuare ad apprendere nel corso della vita.

 

Assessment and Analytical Framework, PISA, OECD    

Del resto conoscenze, attitudini e abilità sono i 3 pilastri su cui i documenti UNESCO [vii], il concetto di Global Competence introdotto dall’OECD[viii] e i documenti della Commissione Europea[ix] e del Consiglio d’Europa[x] fondano le loro raccomandazioni per una pedagogia che educhi cittadini capaci di dare contributi efficaci per andare verso società sostenibili.

L’equità del sistema d’istruzione, l’attenzione alla dispersione scolastica – che è un prezzo altissimo che il nostro paese paga per i suoi ritardi – alla povertà educativa e alla vulnerabilità di alcune categorie, come i minori e gli adulti in carcere, i Rom, i minori stranieri, sono uno dei principali obiettivi di cui preoccuparsi guardando al futuro (A. Valente, S. Caravita 2019[xi],). Equilibrio difficile da perseguire tra il diritto collettivo di frequentare la scuola e il diritto individuale, per cui ogni intelligenza possa essere seguita, coltivata nello specifico. 

La scuola tuttavia non può essere l’unico presidio per sostenere l’inclusione; lo sviluppo formativo e lo sviluppo sociale devono progredire insieme. Per parte sua la scuola può promuovere la costruzione di un’etica del genere umano e di un senso dell’insegnare e apprendere che attraverso “il dialogo e la cura, porti a un’educazione pertinente che segua una prospettiva di lunga gittata (la centralità di alcune competenze chiave individuate dalla Commissione Europea, come le competenze digitali ed imprenditoriali, ha suscitato prospettive e posizioni diverse tra i panelisti del tavolo).In questo modo, la scuola stessa può diventare palestra di cittadinanza, un luogo in cui si sia chiamati ad imparare a imparare, ad acquisire coscienza della propria capacità di incidere, incitati alla comprensione e alle reciproche interconnessioni” .

Nella scuola, oltre a sviluppare conoscenze, si allenano forme di intelligenza sociale, che portano a pensare non come singoli ma come collettività, socializzando i saperi. In questo tipo di palestra si sperimenta come le diverse visioni possano trovare una o più sintesi efficaci perché si allenano capacità di ascolto, di confronto inclusivo delle posizioni, di critica costruttiva, di discernimento, di valorizzazione di risorse, di navigazione nell’incertezza vissuta come una prospettiva mobile.

 

 

Le aspettative verso i modi di insegnare

Prima farò alcuna esperienza, avanti ch’io più oltre proceda, perché mia intenzione è allegare prima la sperienza e po' colla ragione dimostrare perché tale esperienza è constretta in tal modo ad operare, e questa è la vera regola come li speculatori delli effetti naturali hanno a procedere (Leonardo, 1513 c.ca) [xii]

 

Ci sembra interessante mettere in risalto alcune osservazioni espresse dagli studenti della Consulta provinciale di Roma, che riassumono il vissuto di una realtà scolastica inadeguata e frustrante.

Non obbligo di studio”, “scuola vissuta come nemica”, “applicarsi ad uno studio disinteressato”, “opportunità per imparare a imparare”, “divenire capaci di comprensione autonoma nel futuro”.Stimolare l’interesse: quando c’è questo lo studente fa di tutto per superare se stesso”. “Nel gruppo di pari si possono mettere in comune gli interessi e si impara a vivere la collettività nel rispetto dell’identità dell’altro, anche divertendosi”.

In questi commenti c’è la visione di un cambiamento radicale dei modi di essere scolarizzati. Le proposte fatte non alludono tanto alla realizzazione di una istruzione personalizzata quanto di un modello di insegnamento meno irrigidito dentro interazioni docente-studenti, meno omologante. Un modello nel quale sia protagonista una comunità aperta con un grado di autonomia individuale nella partecipazione e di accesso alle risorse disponibili, composta da varie figure di adulti -docenti e discenti. Un modello di insegnamento in cui la scuola sia in grado di articolare modalità flessibili di insegnamento che pongano al centro del processo educativo lo studente, lo responsabilizzino e ne stimolino i personali processi di apprendimento, integrando spazi di apprendimento aperti, dentro e fuori la scuola, virtuali ed in presenza. Diventa così possibile sia valorizzare le potenzialità e scelte di ognuno sia farsi carico delle capacità ed “incapacità” di ciascuno, sviluppate dentro e fuori la scuola, per farle evolvere attraverso guide esperte, “fratelli maggiori”, metodi didattici molteplici, articolati per raggiungere gli studenti che hanno bisogno di approcci diversi. La didattica come primo obiettivo non ha il raggiungimento di traguardi comuni, ma riuscire a dare possibilità concrete di avanzare a tutti.

Un primo impegno di cui l’insegnamento deve seriamente farsi carico è la tensione alla transdisciplinarità. La parcellizzazione dei saperi impedisce di cogliere la “trama” della complessità; come già sosteneva Morin, il “tessuto insieme”di costituenti eterogenei inseparabilmente associati [xiii] rende spesso incapaci di effettuare il legame tra le parti e le totalità. La scuola non può lasciare all’esperienza personale o ai media la scoperta progressiva dei collegamenti esistenti tra i diversi saperi, ma deve promuovere la consapevolezza della profonda unità del sapere, oltre alla necessità di approfondimento di ciascuno di essi; deve promuovere una conoscenza capace di cogliere i problemi globali e i singoli oggetti nei loro insiemi, sviluppando quell’attitudine naturale della mente umana a situare le informazioni in un contesto. Ecco dunque che nuove e vecchie didattiche possono venire in supporto della scuola e degli insegnati, proponendo uno sguardo ampio sui diversi saperi promossi, in cui le discipline si intrecciano tra loro.

Uno dei freni maggiori a questo processo di innovazione necessaria è individuabile nella formazione degli insegnanti, perché le Università a cui essa è affidata, sono ancora largamente vincolate dall’Accademia organizzata per discipline, nonostante i tentativi di corsi che nascono nelle Facoltà da intrecci tra saperi. Ancor più conservativo è il modo di insegnare delle Università stesse, attraverso lezioni frontali, proiezioni, strumenti digitali, per cui è netto il contrasto tra la pedagogia enunciata e quella agita! Ai docenti in formazione servono buoni esempi di lavoro sul metodo ”scientifico” che non deve essere ridotto al cercare o dare risposte veloci, ma consiste soprattutto nel porsi domande che abbiano senso, sostare sulle domande, restare con risposte che si costruiscono nel tempo, che hanno bisogno di riflessione, argomentazione, scontro, ripensamento … tutto il contrario del cercare subito sul web una risposta o usare testi pieni di risposte a domande che il discente non si è posto. Non si tratta di studiare le leggi della Fisica ma di fare esperienza di movimento o meglio di poter intrecciare opportunamente queste due attività. Altrimenti si perde il rapporto con la realtà materiale e sensoriale, col corpo, con il mondo fatto di nuvole, fiori, astri, ….

Citando alcuni esempi concreti, una opportunità in grado di accogliere tutte queste istanze è ad esempio offerta dalla metodologia CLIL (Content and Language Integrated Learning) che, come sottolineato da Coyle e Marsh [xiv] individua nei concetti di trasversalità, interdisciplinarietà e in una didattica centrata sullo studente la sua cifra caratteristica.

Il CLIL, è per sua natura interdisciplinare, lo studente non studia una lingua, ma la usa per apprendere un’altra materia disciplinare, adottando gli schemi interpretativi che essa si porta dietro: come sottolineato da Elinor Parks [xv] il CLIL abitua a essere flessibili e a leggere il mondo secondo i diversi schemi veicolati dalle diverse lingue (ogni lingua porta con sé la sua storia, la sua cultura, la sua unicità, la sua visione del mondo da condividere).

Un’altra opportunità è rappresentata dalla partecipazione a reti internazionali che promuovono l’interazione tra ragazzi di diversi paesi su progetti collaborativi nei quali si impara attraverso un processo sperimentale in cui l’insegnante opera come mediatore. Ne è un esempio la Global Science Opera, dove scuole provenienti da diversi paesi, studenti e docenti, collaborano alla realizzazione di una grande opera che racconti la scienza attraverso l’arte, costruendo connessioni fra storia, scienze, studio delle lingue quale veicolo di comunicazione e arte come narrazione (http://gso4school.eu/; https://globalscienceopera.com/). Ogni volta che entra in gioco l’agire sulla realtà nasce la necessità di mettere in relazione conoscenze diverse e si capisce meglio il mondo in cui viviamo.

Il lavoro di squadra, modalità più trasversali di costruzione collettiva di conoscenza sono anche  l’occasione per esercitare ed educare la socialità, l’affettività. E dove il rispetto dell’altro è una abitudine di lavoro è possibile una competitività sana, come superamento di se stessi. Del resto la scuola è anche la sede in cui si costruiscono le prime relazioni significative esterne alla famiglia, che incidono profondamente sui processi di crescita e in cui l’affettività può diventare un “reagente” nell’apprendimento. Da questo punto di vista l’entrata in uso della didattica a distanza sta producendo dei profondi cambiamenti, non solo nelle abitudini quotidiane della società scolastica ma anche nella relazione tra docenti e studenti, creando nuovi spazi e canali di comunicazione, nuovi equilibri e in alcuni casi una nuova intesa reciproca tra docente e studente attraverso ad esempio una più ampia disponibilità a colloqui privati. E, come emerge dai tavoli, sembra aver generato anche un cambiamento nel rapporto tra docenti e genitori, portatore finalmente di un nuovo patto di collaborazione tra scuola e famiglie. Questa rivoluzione con buona probabilità si protrarrà nel tempo anche grazie al cambiamento in atto nel mondo del lavoro, non solo grazie alla stabilità che va assumendo il “lavoro agile” per molte categorie, ma anche per la tendenza sempre più ampia verso riduzioni e flessibilità negli orari di lavoro. Personalmente riteniamo che questo fatto costituirà un elemento cruciale nell’orientare le modalità di acculturazione nella società.

D’altra parte se pure le tecnologie digitali agevolano l’apertura della scuola verso la vita e offrono nuove opportunità di relazione, esse necessitano di competenze specifiche che consentano agli individui di utilizzarle in modo consapevole e critico. Come osservato da uno degli studenti della Consulta provinciale di Roma è un luogo comune dire che i ragazzi abbiano competenze tecnologiche, “molti sono analfabeti digitali, non sanno usare veramente le tecnologie, usano solo i social network” che li portano a vivere in un universo parallelo, a estraniarsi dal mondo. Un investimento maggiore in questo senso diventa quindi urgente. É infatti impensabile che le risorse digitali restino fuori dalla formazione scolastica e che al pari di altri strumenti e linguaggi non servano per comporre narrazioni, rappresentare, modellizzare, fare ricerche. Occorre però evitare che essi sostituiscano l’apertura al territorio con tutte le opportunità di incontro con la realtà concreta che questo offre.   

Analogamente, l’uso di piattaforme per la comunicazione può utilmente integrare il tempo in presenza con quello a distanza della didattica, purché si distingua il tipo di attività che è più adeguato ed efficace proporre in ciascuna delle due situazioni.

 

In una visione di scuola futura, più articolata negli spazi, nei modi, nei tempi, nei partecipanti alla comunità educante, la valutazione richiederà un ripensamento sia rispetto alla sua funzione che a chi la opera. Attualmente succede anche che essa appaia agli studenti “usata come arma” contro la persona più che come mezzo. Invece essa dovrebbe rappresentare per il docente, lo strumento per comprendere l’andamento dei processi di apprendimento e per lo studente un memorandum per capire dove si trova. Il voto presentato come l’obiettivo da raggiungere finisce per confermare nei ragazzi la sensazione di studiare per essere valutati, che è la totale negazione del valore della formazione.

 

Intrecciare arte e scienza – un esempio di didattica transdisciplinare

 

Una scienza “incarnata” che si avvale del proprio corpo per conoscere, sentire, apprezzare, riflettere sulla bellezza. Ci sono matematici, fisici che parlano di bellezza delle dimostrazioni, delle formule o delle teorie a cui sono arrivati e che la includono tra i criteri per valutare i risultati. Sanno cioè riconoscere la bellezza in qualcosa di astratto,. É un modo di amare la realtà. Sentirsi coinvolto emotivamente e affettivamente da questa è la premessa necessaria per sentirsi pronti a intervenire per proteggerla.

 

La conoscenza dell’arte (pittorica, musicale) sviluppa il senso estetico, accresce capacità di astrazione e di guardare secondo le categorie mentali di forma e struttura, offre occasioni per riflettere su qualità come simmetria, proporzione, equilibrio, armonia. Anche la descrizione scientifica della realtà fisica e biologica evidenzia queste qualità e il loro ruolo nei processi naturali di continua costruzione e trasformazione della materia. Diderot definì bello “tutto ciò che contiene in se la capacità di risvegliare nel mio intelletto l’idea di rapporti” [xvi]

Tuttavia, a scuola l’Arte oltre che come fruizione di opere artistiche dovrebbe entrare come produzione, ricerca espressiva attraverso linguaggi.

Occuparsi di scienza implica anche la costruzione di oggetti funzionali ad un percorso di ricerca e di comprensione di fatti, serve a dare una concretezza ai concetti che va oltre la definizione attraverso le parole. Questa produzione è parte importante della buona didattica perché permette di capire anche con le mani e di utilizzare la fantasia, accresce la soddisfazione per ciò che si fa e si può mostrare, non trascurando il valore estetico.

I bambini hanno naturalmente il piacere di manipolare le cose in libertà e sono quasi forzati durante la crescita a perdere questo piacere di riconoscere le qualità delle cose, la combinazione delle qualità e delle forme, delle proprietà. La sapienza tacita che ne deriva, non sempre esprimibile ed espressa, sta al fondo della conoscenza del mondo ed ha all’origine intuizioni. Per gli artisti viene prima l’intuizione e poi la sua declinazione all’interno dei vincoli del mezzo espressivo; per gli scienziati l’analisi formale preceda l’intuizione, sostengono i manuali, ma dalle narrazioni scritte da molti di loro emerge come l’intuizione abbia sempre un ruolo cruciale.

 

Proprio come qualunque tipo di linguaggio artistico impone le sue regole quando lo si esperimenta per creare qualcosa di significante, così ci si accorge che la realtà, sia fisica che biologica, ha delle regole di funzionamento, impone vincoli alla manipolazione. Sono appropriazioni cognitive che passano attraverso il vissuto personale e non attraverso la descrizione di qualcuno altro. L’insegnamento scientifico più che alla costruzione di singoli concetti dovrebbe mirare a costruire concezioni che unificano dentro un modello i modi di essere, di funzionare, di cambiare, di trasformarsi, di opporre resistenze … di un ambito di realtà. Così possono formarsi le strategie di pensiero e operative coerenti, le domande “giuste”, nel senso di adeguate rispetto ad una specifica realtà, la capacità di cercare e individuare le relazioni significative – tra componenti, tra osservazioni, tra informazioni – dalla comprensione di regole complessive di funzionamento di quella realtà.

 

La tecnologia digitale offre ulteriori strumenti alla manipolazione delle cose, per dare concretezza alla immaginazione, per costruire scenari e futuri possibili a partire dalla conoscenza di quelli reali, con l’applicazione di regole decise dall’utente, modificabili sulla base dei risultati ed esercitando inventiva Queste risorse sono alla portata della scuola anche come costi e praticità e non sono da trascurare pregiudizialmente.

 

La formazione scientifica per allenare alla cittadinanza

 

Nel corso del tavolo sul tema “Futuri d cittadinanza scientifica e Global Science Opera” è stata individuata la seguente definizione di cittadinanza scientifica: “esercizio informato dei diritti di cittadinanza, in un contesto – “la società della conoscenza”- in cui la conoscenza è il primo motore della dinamica sociale, economica, culturale, lo sviluppo tecnologico è sempre più rapido, e sempre più spesso siamo chiamati a prendere parte a processi decisionali che includono forti componenti tecnico-scientifiche Nasce quindi una domanda di diritti di cittadinanza scientifica quale presupposto per la realizzazione di una democrazia sostanziale”.(…).

La necessità di elevare il grado di alfabetizzazione scientifica della popolazione è da alcuni decenni un obiettivo riconosciuto in tutti i paesi del mondo, in particolare quelli più industrializzati; le modalità per raggiungerlo continuano ad essere oggetto di ricerca scientifica e di riflessione nella scuola e nelle comunità che si occupano di comunicazione pubblica.

Nelle società attuali sono diventate impellenti nuove esigenze per esercitare diritti di cittadinanza scientifica: crescono le diseguaglianze tra paesi e tra classi sociali e questo limita anche l’accesso alle applicazioni della scienza e alle tecnologie. I finanziamenti alla ricerca pubblica diminuiscono e aumenta il dominio delle multinazionali e delle imprese private. In questo risiede una delle cause dell’aumento di diffidenza verso la scienza, che assume anche la forma di teorie complottiste più o meno ben argomentate. Questa risposta pubblica, in parte anche giustificata, è l’unica possibile quando mancano strumenti di conoscenza ma non fa che accrescere la confusione nel discorso pubblico e non è utile a produrre cambiamento virtuoso. Le scelte a monte delle politiche di ricerca non possono essere fatte solo all’interno dell’Accademia; è responsabilità dei ricercatori trovare forme di ascolto e di interazione con le comunità, essere guidati nella programmazione anche dalle consapevolezze, esigenze, priorità espresse dalla società, che comprende anche i politici. D’altra parte, la formazione scientifica dei giovani dovrebbe includere la conoscenza della organizzazione sottostante la produzione di scienza, la circolazione dei risultati, la produzione di innovazioni. La comprensione delle implicazioni politiche, economiche ed etiche che orientano l’utilizzo della ricerca non può che accompagnare la costruzione di conoscenze e la discussione su questi aspetti.

 

La situazione determinata dalla pandemia da Coronavirus è l’esempio più recente di come le persone “subiscano” decisioni urgenti motivate da fatti e analisi di fatti non del tutto comprensibili e non valutabili dalla maggioranza, su cui anche la scienza non può esprimere certezze. La comunicazione dei media inonda gli spettatori con quantità di numeri riguardanti l’andamento della pandemia. I numeri diventano fatti con cui orientare le opinioni. Quanto sono evidenti i rapporti tra numeri assoluti, le percentuali, le frazioni, …in assenza del laboratorio mentale che avrebbe dovuto accompagnare la formazione matematica dei cittadini e che invece di solito manca?

La comunità scientifica è divenuta in questi anni più aperta alla comunicazione con il pubblico, ma la narrazione che offre di se stessa non è sempre aderente al suo fare scienza oggi.

Spesso “gli esperti” si adeguano alle richieste di certezza che provengono dalla società e soprattutto dalla politica, dalla continua consultazione mediatica, per esempio sui rischi della pandemia. Rimane sempre fuori scena il fare scienza come capacità di muoversi nell’incertezza, come atto creativo, capacità di usare strumenti e risorse ri-contestualizzandole nella ricerca attorno ad un problema.

 

Il tema della salute si è imposto all’attenzione. Salute come stato dinamico di benessere fisico, mentale e sociale e come tema multi- e trans-disciplinare di cui la formazione scientifica deve occuparsi per dare alle persone la possibilità di guardare al mondo biologico e all’ambiente con uno sguardo meno deterministico e meno antropocentrico [xvii][xviii].

La consapevolezza dei rischi per la salute e dei meccanismi regolativi di difesa che il corpo sa mettere in atto si fonda sulla comprensione del sistema corpo-mente, del sistema ambiente come sistemi dinamici adattativi e regolativi, in continua inter-relazione. É importante che lo studio dell’anatomia e fisiologia sia intrecciato con il vissuto del proprio corpo, con l’esplorazione dell’emotività che sempre lo accompagna, influenzata dai contesti fisici, sociali e culturali nei quali esiste, agisce, ha una sua storia.

Saranno sempre più possibili (ma forse non per tutti) esami diagnostici e interventi sulle strutture biologiche a livelli micro, sfuggenti alla comprensione e tuttavia invasivi anche della identità delle persone, alle quali sarà richiesto il consenso “informato”. Saranno quindi necessarie capacità di riflessione sugli aspetti etici, giuridici e sulle loro interconnessioni.

 

Le criticità della pratica, i vincoli frapposti dal sistema scolastico alle innovazioni dell’insegnamento che le tante sperimentazioni convalidate dalla ricerca hanno suggerito, sono da decenni ampiamente (e viene da dire inutilmente) discussi in convegni e pubblicazioni nazionali e internazionali. Ricordiamo Science for 21st century, Science for all, Agenda 20/30… La distanza tra scuola e società è molto aumentata da allora, ma le conclusioni ricavate da quegli studi e dibattiti sono in gran parte tutt’ora valide. Più che nuove idee occorrono politiche scolastiche convinte che incidano sui nodi da sciogliere. 

Si continua a osservare che la realtà dell’insegnamento delle scienze nei vari ordini di scuola è generalmente inadeguata rispetto alle esigenze, sia quelle individuali che quelle della collettività, aumentate per i cambiamenti rapidi delle società e delle applicazioni della scienza: è una istruzione poco appassionante, poco empirica, poco riflessiva, poco critica, che non allena la creatività, incapace di creare le condizioni in cui gli studenti possano connettere quello di cui parlano le lezioni e i libri con i problemi concreti del mondo in cui vivono. Il ruolo centrale che le attività in laboratorio cominciano ad assumere anche negli Istituti Professionali ha senso ed è efficace solo se poggia su una interazione tra i docenti che si occupano della pratica e quelli che insegnano la teoria, altrimenti il rischio è la perdita di consapevolezza di quel “tessuto insieme” che costituisce la complessità del mondo che ci circonda, di cui parlava Morin e che costituisce una fondamentale chiave interpretativa del reale.

Temi economici e sociali si sono imposti all’attenzione dell’educazione scientifica anche a seguito dello sviluppo delle tecnologie biologiche e mediche. Nuovi  studi sui Primati [xix] hanno evidenziato il ruolo della collaborazione e dell’empatia nella evoluzione della specie. E dunque, nel quadro teorico di riferimento per la progettazione dell’intervento didattico, sono entrate nuove parole chiave: sostenibilità, bene comune, comportamenti altruistici, valori, inclusività, diritti, tolleranza, equità.

Secondo la prospettiva di Morin [xx] a scuola si impara la condizione umana, l’etica del genere umano che rende possibili i Futuri, ma solo riunendo e riorganizzando le conoscenze disperse nelle scienze della natura, nelle scienze umane, nella letteratura e nella filosofia. É su queste consapevolezze che può crescere la capacità di assumersi responsabilità. Tutti abbiamo diritto di conoscere lo stato dell’ambiente, ma questo diritto non è solo fine a se stesso, è propedeutico all’agire, con consapevolezza. La conoscenza è un bene che acquista valore nel tempo e con l’uso; a differenza degli altri beni, più viene usata più aumenta ed è su questa caratteristica che potremmo costruire una società nella quale la scienza è a beneficio dell’umanità, come già auspicava Francis Bacon [xxi]. I media e il mondo della ricerca hanno certamente un ruolo, ma la palestra in cui la prossima generazione sarà educata per conquistare i diritti di cittadinanza scientifica non può che essere la scuola, sebbene la scuola che conosciamo non abbia proprio le caratteristiche giuste per esercitare questo tipo di allenamento.

L’esperienza di questi ultimi mesi, che ci ha portato ad accettare passivamente decisioni prese da un comitato tecnico-scientifico senza avere la possibilità non solo di partecipare, ma anche di comprendere a pieno i dati su cui quelle decisioni si basavano, ha mostrato quanto siamo lontani dall’esercizio partecipato di una cittadinanza scientifica multidimensionale. L’educazione alla cittadinanza è quella che evidenzia gli scarti maggiori tra asserito e agito nell’istituzione e nell’insegnamento. Non si può costringere dentro progetti di poche ore inclusi nell’offerta formativa come paralleli alla programmazione curricolare complessiva, temi e obbiettivi che implicano il ripensamento dell’intero curricolo, con una progettazione verticale che sviluppi temi in archi lunghi di tempo e con modalità trasversali di costruzione collettiva di conoscenza. Occorre potenziare lo sforzo educativo all’uso dell’informazione, per non cadere nelle trappole delle fake news, per orientarsi nel mondo della rete, per ragionare sulla libertà di stampa, i suoi limiti, la “verità”.

I giovani devono essere capaci di sintonizzarsi su problemi globali e devono acquisire gli strumenti per gestire la relazione politica con le istituzioni, anche nei suoi aspetti di lotta e di resilienza.  

 

 

Auspici conclusivi e interrogativi aperti

Come si può vedere, le convinzioni e le prospettive espresse in questi Tavoli di discussione disegnano un progetto di Scuola che poggia sia su un vissuto scolastico sia su osservazioni scientifiche che da tempo circolano nel mondo professionale e accademico ma che hanno avuto scarse ricadute concrete. Forse la novità potrebbe venire da una apparente più diffusa consapevolezza da parte della società dell’importanza dell’istruzione per la tenuta culturale, politica ed economica del nostro paese. Le persone sembrano aver toccato con mano che dalla capacità di interpretazione della realtà e di azione riflessiva delle giovani generazioni dipende la possibilità di sognare futuri. Se così fosse, ci auguriamo di assistere a un coinvolgimento maggiore di tutta la cittadinanza nel reclamare il cambiamento, l’assegnazione di risorse per conseguirlo, nell’esercitare un più attivo controllo sull’operato politico di chi ha responsabilità di scelte e decisioni in proposito.

Un primo nodo cruciale su cui intervenire resta la formazione degli insegnanti, a cui si affiancano alcuni interrogativi circolati nella discussione ma ancora aperti, su cui la comunità scolastica ed educante è chiamata ad avviare una riflessione:

In una società sempre più complessa, in cui è necessario fare costantemente i conti con l’incertezza ma che al contempo rifugge e stigmatizza l’errore, come ridisegnare il ruolo della scuola quale luogo in grado di coltivare nei ragazzi le competenze necessarie a confrontarsi con l’incertezza del reale? A prendere decisioni anche quando non si disponga di tutte le informazioni necessarie? Una scuola che insegni al procedimento per tentativi? A riportare nelle pratiche educative concetti come tempo (necessario ad apprendere), ascolto, accoglienza, lentezza, vulnerabilità e fragilità non intesi come impedimenti, ma come opportunità di ascolto, di riflessione?

Ed in questo contesto quali strade perseguire nella ricerca di una didattica che superi la frammentazione dei sapere e promuova una conoscenza interdisciplinare, che consenta allo studente di costruire schemi interpretativi utili a far fronte alla complessità del reale?

E inoltre, di fronte ad una sempre più urgente necessità di immaginare i futuri possibili e agire per promuoverli, quale è il possibile apporto della scuola e della comunità educante?

Questi ed altri interrogativi potranno rappresentare il punto di partenza per ulteriori riflessioni da avviare dentro e fuori la comunità delle Officine.

 

APPENDICE

Di seguito si riporta l’elenco dei Tavoli realizzati nell’ambito dell’Officina 2020 Educazione e Futuri, a partire dai quali si sono sviluppate le riflessioni sopra riportate:

TAVOLO L’educazione al tempo dell’incertezza: lo sguardo degli studenti della Consulta Provinciale di Roma - Risultanze di un dibattito vivace sui futuri dell’educazione da cui emergono confluenze e distanze su metodi e finalità della didattica nella scuola

Studenti partecipanti: Jacopo Augenti, Matteo Baldassari, Daniele Conti, Tommaso Esposito, Gabriele Francesconi, Flavia Lepizzera, Gabriele Manzo, Benedetta Gaia Meloni, Maria Monina, Silvia Pagliarulo, Giovanni Sicca, Daniele Svolacchia, Leonardo Soffientini, Erica Tomassetti

Coordina: Adriana Valente

TAVOLO “L’educazione al tempo dell’incertezza”, Prospettive, preoccupazioni e visioni dell’educazione nel lungo periodo con riferimento alle fasi di incertezza ed emergenza.

Panel: Clementina Cantillo, Tommaso Castellani, Elena Gaudio, Annamaria Greco, Rita Locatelli, Filomena Maggino, Ada Maurizio, Michela Mayer, Maria Chiara Pettenati, Giovanni Sicca, Andrea Vargiu

Coordina: Adriana Valente

TAVOLO “Competenze di cittadinanza e insegnamento Content and Language Integrated Learning (CLIL)” - 

Panel: Cristiana Alfonsi, Letizia Cinganotto, Francesca d’Alessio, Anita de Giusti, Raffaella de Luca, Giordana Francia, Antonella Fucecchi; Gisella Langé, Bruno Losito, Irene Rinaldi, Simona Rotondi, Giampiero Ruggiero, Fabio Saglimbeni, Ulrike Tietze

Coordina: Claudia Pennacchiotti

TAVOLO “Futuri di cittadinanza scientifica e Global Science Opera”, Il ruolo della science education e le opportunità della didattica che unisce arte e scienza nel costruire futuri di cittadinanza scientifica.

Panel: Paola Boggetto, Silvia Caravita, Rosanna Colombrita, Elisabetta Falchetti, Pietro Greco, Cristina Imperato, Alba L’Astorina, Nicoletta Lanciano, Maria Monina, Leonardo Soffientini, Elisabetta Tola, Alessia Vagliviello

Coordina: Valentina Tudisca

 

NOTE


[i] ONU Assembrlea Generale, Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 25 settembre 2015

[ii] Pennacchiotti C., Valente A., Tudisca V. a cura di,  OFFICINA Curriculum e Competenze - Giornata di studi su innovazioni curriculari e sviluppo di competenze Rapporto finale, E-Publishing IRPPS, 2019

[iii] Dewey, J. Apprendere tramite l’esperienza è alla base dell’insegnamento in Esperienza e educazione, la Nuova Italia 1938.

[iv] Morin E.,  La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milan, Raffaello Cortina Editore, 2000

[v] Con riferimento alla “slowness of learning in the human life cycle”, si fa rinvio al CIES Futures of Education Keynote Panel del 24 March 2020,  e in particolare alle riflessioni di Arjun Appadurai e di Karen Mundy.

https://en.unesco.org/futuresofeducation/news/vcies-keynote-panel-discussion-futures-education

[vi] Valente A. et al, 2020, Rapporto del Tavolo di Lavoro della comunità scientifica ed educante sul tema: L’educazione al tempo dell’incertezza, www.officinaeducazionefuturi.it

[vii] In molti dei suoi documenti, UNESCO definisce l’apprendimento come l’acquisizione o la modifica individuale di conoscenza, attitudini, valori, abilità o comportamenti attraverso l’esperienza, la pratica, lo studio o l’insegnamento (learning as the “individual acquisition or modification of information, knowledge, understanding, attitudes, values, skills, competencies or behaviours through experience, practice, study or instruction.”).

[viii] OECD, PISA 2018 Assessment and Analytical Framework, PISA, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/b25efab8-en, 2019.

[ix] A livello europeo - European Commission, 2018, Council Recommendation on Key Competences for Lifelong Learning, a seguito di riflessioni elaborate nel corso degli anni, le competenze (competencies) sono state considerate costituite da conoscenze (knowledge), abilità (skills) e attitudini (attitudes).

[x] Council of Europe, Competences for democratic culture: living together as equals in culturally diverse democratic societies, 2016

[xi] Valente A,  Caravita S, Minori e giovani stranieri nelle carceri e formazione: percorsi di successo e criticità, in La formazione dei rifugiati e dei minori stranieri non accompagnati. Una realtà necessaria, a cura di  Colombo M  Scardino F. Quaderni CIRMiB (2): 99-112, 2019

[xii] Capra F, La scienza universale. Arte e natura nel genio di Leonardo, Milano, Rizzoli, 2017

[xiii] Morin E., Introduction à la pensee complexe, Sperling & Kupfer, 1993

[xiv] Coyle D.,  Hood P. and Marsh D., ,CLIL: Content and Language Integrated Learning, Cambridge University Press 2010

[xv] Parks E.,  Developing Critical Cultural Awareness in Modern Languages,  Taylor & Francis Ltd 2020

[xvi] Diderot D, Lettera sui ciechi per quelli che ci vedono (1749) in: Neuroscienze della bellezza, Changeux, J-P. Roma, Carocci, 2018, p. 112

[xvii] Huber M, Knotterus J A, Green L. et alt., How should we define health? British Medical Journal, 343, d4163, 2011.

[xix] De Waal F, L’ultimo abbraccio, Milano, Cortina, 2020. Tomasello M, Diventare umani, Milano, Cortina, 2019

[xx] Morin E., , I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore 2001

[xxi] Bacon F.,  Pensieri e conclusioni sull’interpretazione della natura o sulla scienza operativa, in Scritti filosofici, edizioni Utet  pp. 388-389 2009.