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Un incontro apuano

 

Fibula etrusca ispirata alla sanguisuga

Un incontro apuano

 

Una storia personale

 

Luciana Bussotti

 

C’è un episodio che è tanto che desidero raccontare. Un ricordo di tanti lustri fa, che contiene un incontro con un piccolo elemento naturale capace di suscitare in qualche persona meraviglia, come vuole lo spirito di questa rubrica.

Ma è insieme un incontro antropico, con un “omino” da cui abbiamo imparato tantissimo.

 

Premesse

 

La prima premessa che devo fare è cosa si intende per “omino” a Livorno e provincia, forse in buona parte della Toscana, fuori di questi confini non so.

Il termine non è dispregiativo, neppure diminutivo, al limite affettuoso: un omino è una persona di sesso maschile non precisamente giovane (per quelli si dice ragazzo), non necessariamente piccolo di statura (ma non deve essere un uomo di pansa, alto e ingombrante come un armadio; per quelli si dice un omone) che sa fare delle cose manuali sia generiche che specifiche “ho chiamato l’omino per dare una sistemata al giardino (non è giardiniere di professione, ma se ne intende un po’)“; ”ce l’hai il nome di un omino che mi dia un’imbiancata al portico?” “Vai a portare la macchina dagli omini” – nella qual specie due fratelli elettromeccanici bravi e sempre indaffarati in una officina senza sovrastrutture di prenotazioni online, un po’ alla buona ma della cui perizia ti fidi in pieno.

Categoria vasta e dai contorni imprecisi, quindi, quella degli omini, ma il cui significato si impara da piccini o sul campo.

 

La seconda premessa riguarda l’argomento della mia tesi in citologia animale: ricerca dei numeri cromosomici, ipotesi su parentele filetiche confrontando questi numeri (1) (né confronti molecolari, né, figuriamoci, comparazioni del DNA a quei tempi, ma osservazioni al microscopio delle piastre cromosomiche) degli Irudinei. Bella! Una tesi sugli Irudinei, classe di Anellidi, con morfologia assai costante ma habitat ed usi alimentari diversi, una o due ventose…

Sì, ma chi sono gli Irudinei, mi chiedevano i non addetti ai lavori. Ehm, quelle bestiole volgarmente chiamate sanguisughe. E qualcuno storceva il naso e anche ora ci sarà chi dice  “che schifo”. No, basta uno stereoscopico per ricredersi. Poi, se è vero che le sanguisughe sono Irudinei, non tutti gli Irudinei sono sanguisughe. I loro gusti alimentari sono svariati, dal nutrirsi di sangue per le vere sanguisughe, munite alla bocca di piccole lame per incidere la pelle della vittima, all’inghiottire, quasi aspirandoli, vermi e larve. In comune hanno la vita in acqua, sia dolce che marina, qualche specie scende a terra.

 

Hirudo medicinalis Pontopdella muricata Glossiphonia complanata    

A me, la mia tesi piaceva molto. Dovevo procurarmi gli esemplari da studiare in natura. Solo la Hirudo medicinalis la reperimmo in una farmacia che ancora teneva questa specie usata un tempo per i salassi; Pontopdella muricata, parassita esterna dei pesci marini, soprattutto selaci, a cui rosicchiano le carni, invece ci fu procurata da pescatori della nostra costa tirrenica. La ricerca comprendeva anche due piccole e graziose specie che abitano gli stagni, Glossiphonia complanata e Helobdella stagnalis. (2) E perciò ogni settimana facevo visita all’Orto Botanico per procurarmele, coinquiline della bella Hydra viridis, attaccate alla pagina inferiore delle ninfee e dei Nelumbium nelle vasche dedicate. Naturalmente (doppio senso) ne approfittavo per un’ora d’aria e mi facevo un bel giro dell’Orto ammirandolo anche nel suo variare stagionale.

 

 

Ora devo tornare al tema dell’incontro

 

Dovevamo procurarci esemplari di Trocheta bykowskii (3) il cui habitat più comodo per noi era rappresentato dalle vicine Alpi Apuane. Così, preparati panini bevande e macchinetta del caffè, ci avviamo in tre (il prof, Giuseppina -la dottoressa- e io) per il nostro minisafari.

Facciamo sosta presso una sorgente per bere, dopodiché cominciamo a raccogliere pietre nel rivolo d’acqua che da questa è alimentato, rovesciandole per cercarci attaccati i nostri animaletti. La ricerca appare infruttuosa.

E’ a quel punto che compare un uomo locale magro e di mezza età, di identità e professione a noi sconosciute, vestito come si addice al luogo, quindi con le physique du role per il titolo di “omino”.

Ci salutiamo e, educatamente e con quello speciale accento apuano, il nostro ci chiede cosa stiamo cercando. Spieghiamo, senza però parlare in termini scientifici né tanto meno di sanguisughe. Lui non ci guarda come esseri scesi da Marte, sorte che spesso tocca ai naturalisti sul campo, anzi soppesa le nostre parole, poi ci chiede se abbiamo del formaggio (!). Per miracolo (le due ragazze non ne sopportano neppure l’odore) il prof ne ha. E qui comincia quella che fu per noi scoperta e meraviglia: lui, l’omino di cui non sappiamo neppure il nome, mette un po’ di formaggio alla base della sorgente e ci dice di aspettare. Siamo ancora scettici. Chi arriverà, se mai qualche animaletto arriverà?! Con gli occhi ci diciamo “ma chi abbiamo incontrato?” Ma non passa troppo tempo che vediamo giungere nuotando controcorrente un piccolo invertebrato di colore marrone, dal corpo allungato e appiattito dorso-ventralmente. Occhi sgranati vediamo che arriva proprio lei, la nostra ricercata Trocheta. E intanto, nello stupore, registriamo come nuota e capiamo che ha dei sensori chimici che le dicono “cacio!”.

Siamo strabiliati, ma le sorprese non finiscono qui: l’omino non è il solo a conoscere questa manovra e ci racconta che la gente a volte cattura queste sanguisughe  per…inghiottirle vive in caso di ulcere gastriche! E prosegue ancora “io sono uno che le cose le vuole sperimentare, non sentirsele raccontare e basta, così anch’io ne ho inghiottita una (o forse più, questo non lo ricordo) e non mi ha fatto male”!! 

L'empirismo prima della scoperta medica.

Io non so se sono riuscita a trasmettere lo stupore di quella visione, di quelle parole. Il mio prezioso materiale scientifico faceva parte (lo farà ancora?) di un bagaglio culturale popolare. Per il mio studio era necessario addormentare gli animali, alcuni molto mobili o contratti. Usavo l’acqua di seltz: l’anidride carbonica le addormenta facendole distendere e l’acido carbonico, irritando la cute, provoca la secrezione di abbondante muco, che può essere rimosso per l’osservazione stereoscopica che spesso riguardava anello per anello. Ma è proprio quel muco l’effetto positivo in caso di ulcere allo stomaco (4). 

 

Quanta sorpresa e quante domande da quell’incontro! Una fra tutte: chi sarà stato il primo o la prima a scoprire questo effetto, a sperimentare questa procedura?

 

 

Note

 

(1) Imparai a mie spese che la legge della costanza del numero cromosomico, fisso per ogni singola specie, -pilastro della citologia tassonomica- è la grande verità di base, che gli studi affiancheranno in seguito con le eccezioni; e queste eccezioni hanno aperto nuovi studi.

La Scienza procede così: prima il modello generale e poi casi particolari che confermano oppure, non sovvertendolo, ne precisano i confini registrando altre regole.

 

(2) Glossiphonia complanata ed Helobdella stagnalis, due piccoli irudinei appiattiti lunghi non più di due centimetri; in entrambe lo sviluppo embrionale non avviene all’interno di bozzoli, come nelle altre specie, ma in una sorta di tasca ventrale temporanea fino al suo termine.

 

(3) Trocheta bykowskii era fino a quel momento non segnalata per l’Italia; queste sanguisughe nuotano con movimenti a onda dorso-ventrali.

 

(4) Credo che l’uso delle lumache per analogo scopo sia molto antico; da anni utilizzo per me (e per mio figlio anche quando era piccolo e ignaro) lo sciroppo di lumache contro la tosse catarrosa ed ora la “bava di lumache” ha raggiunto prezzi elevati per la cosmesi e non fa più cosi senso. Ho visto in TV recentemente un’azienda dove si allevano chiocciole per uso alimentare ma che si è allargata con la produzione di “bava” per l’industria sia farmaceutica che cosmetica. Ma di bava di irudinei non ne ho mai sentito parlare.

 

Le fibule etrusche dette “a sanguisuga”, vedi foto iniziale, si ispirano a quegli irudinei che si muovono avvicinando la regione posteriore incarcandosi, poi l’anteriore si distende, avanzando si fissa con la ventosa boccale e procede in avanti (noi mimiamo questa andatura con indice fisso, pollice che si avvicina ad esso e si fissa, indice che avanza, e così via).