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Classificare le piante 9: John Ray

 

John Ray 

Classificare le piante 9: John Ray

 

Silvia Fogliato

 

 

 

Dopo le anticipazioni del Rinascimento e dei fratelli Bauhin, nella seconda metà del Seicento il problema della classificazione delle piante conquista il centro del dibattito tra i botanici. Con la crescita esponenziale del numero di piante che affluiscono dalle Americhe e dagli avamposti coloniali di Inghilterra, Francia e Olanda, portare ordine nel caos è sempre più urgente. L’ideale sarebbe un sistema in cui ogni nuovo arrivo vada a collocarsi al suo posto, accanto alle piante con le quali ha maggiori affinità. La discussione si fa accanita e molti propongono un proprio sistema, o metodo. Meno di mezzo secolo dopo, Linneo etichetterà i protagonisti di queste dispute come Eristici, “litigiosi” o meglio “seguaci di Eris”, ovvero la Discordia, che “si sono scambiati pamphlet grandiosi, ma irragionevolmente polemici”. Ma ben consapevole del suo debito scientifico nei loro confronti, riconoscerà la qualifica di Systematici, “creatori di sistemi”, oltre che a se stesso, proprio a due di loro, l’inglese John Ray e il francese Joseph de Tournefort, autori dei due più importanti metodi di classificazione prelinneanl.

 

Un naturalista autodidatta a Cambridge

 

Iniziamo dal primo, dando appuntamento al secondo in un prossimo articolo. John Ray (1627-1705) nacque a Black Notley, nell’Essex; il padre era il fabbro del villaggio e la madre un’erborista: da lei, che accompagnava a cercare e raccogliere piante medicinali, apprese i primi rudimenti della botanica e l’amore per la natura. Dotato di una memoria prodigiosa, di una mente metodica e di grande talento per le lingue e la matematica, a sedici anni grazie al lascito di un benefattore iniziò gli studi a Cambridge, prima al Catharine Hall quindi al Trinity. E proprio al Trinity percorse una rapida carriera accademica: associato nel 1649 e membro effettivo dal 1651, fu lettore di greco (1651), di matematica (1653), di lettere classiche (1655), praelector (1657, grosso modo equivalente a un tutor), economo del College (1659-60). Nel 1660 prese gli ordini e incominciò a predicare, con grande successo, sia alla cappella del Trinity sia a Saint Mary the Great, la chiesa principale di Cambridge.

A Cambridge aveva studiato (e insegnava) lingue classiche, matematica, teologia. Ma non scienze naturali, che all’epoca non erano comprese nel curriculum universitario. Incominciò a studiarle come autodidatta, coinvolgendo nella sua passione anche alcuni dei suoi allievi; era un insegnante carismatico, affabile, ma allo stesso tempo trascinante. Del resto, come scrisse nel più famoso dei suoi sermoni, The wisdom of God manifested in the works of the creation, la natura è la manifestazione della saggezza divina, e studiare la natura è studiare la parola di Dio.

Intorno al 1656, si era ammalato per il superlavoro, e aveva trascorso qualche mese di convalescenza a Black Notley, anche per sostenere la madre, appena rimasta vedova. Nelle campagne della sua infanzia, ritrovò quel mondo che lo aveva affascinato da bambino e, tornato a Cambridge, decise di scrivere un catalogo delle piante della zona. Nacque così la sua prima opera di botanica, Catalogus plantarum circa Cantabrigiam nascentium (1660)ovvero "Catalogo delle piante che nascono nei dintorni di Cambridge", che fu anche la prima flora regionale pubblicata in Inghilterra. Per raccogliere i materiali, batté la campagna insieme ai suoi studenti e, accanto alla sua residenza, creò un piccolo giardino sperimentale, dove studiava le strutture delle piante e fenomeni come la circolazione della linfa.

Anche se nel Catalogus le piante sono ancora elencate in ordine alfabetico, si può già notare un approccio metodico, sistematico e induttivo: “In primo luogo divenni familiare con tutta la letteratura, e incominciai a paragonare le piante che trovavo con le figure, e quando trovavo una somiglianza, con le descrizioni complete. Acquisendo abilità con l’esperienza incominciai a interrogarmi su quale tribù e famiglia appartenesse ogni pianta sconosciuta. Ciò mi insegnò ad annotare tutti i punti di somiglianza e mi risparmiò moltissimo lavoro. Desiderando aiutare anche gli altri nelle loro difficoltà e ansioso di progredire io stesso, volli coinvolgere i miei amici nelle mie ricerche. Nacque così l’idea del catalogo”.

Il più dotato di questi “amici” era Francis Willughby (1635-1672), unico erede di ampi possedimenti nelle Midlands; di intelligenza pronta e di interessi enciclopedici, arrivò a Cambridge nel 1657, a 22 anni, e fu subito coinvolto nelle ricerche di Ray. Quest’ultimo, dopo la flora di Cambridge, era intenzionato a continuare su questa strada, scrivendo una flora inglese, ma era anche interessato ad altri argomenti, in particolare alla riproduzione degli uccelli. Per raccogliere esemplari per la flora e approfondire le sue ricerche, prese a dedicare le estati a viaggi scientifici nel paese: nell'estate del 1658, da solo, erborizzò in Galles e nelle Midlands; nel 1660, insieme a Willughby, visitò l'Inghilterra settentrionale e l'isola di Man; nel 1661 si spinse in Scozia con un altro allievo, Philip Skippon. Nel viaggio del 1660, Willughby ebbe probabilmente modo di scoprire la sua vera vocazione: più che alla botanica, i suoi interessi andavano alla zoologia, soprattutto agli uccelli e alla fauna marina. Insieme al maestro, fu tra i primi a intuire il fenomeno della migrazione degli uccelli, postulando che le rondini non andassero in letargo, come supponeva Aristotele, ma partissero per climi più miti.


Dai viaggi a una tranquilla vita in campagna

 

Nel 1662, dopo la restaurazione della monarchia, Ray, vicino alle posizioni dei puritani, rifiutò di aderire all'Act of Uniformity e fu costretto a lasciare la carriera universitaria. Da quel momento, per vivere, dovette "confidare nella Provvidenza e nei buoni amici; ma la libertà è una bella cosa!" La Provvidenza assunse il volto di Francis Willughby, che gli propose di accompagnarlo in un vero e proprio Grand Tour attraverso l'Europa. Il viaggio durò tre anni e li portò nei Paesi Bassi, in Germania, in Svizzera, in Italia, dove incontrarono naturalisti e visitarono importanti istituzioni scientifiche. Soprattutto poterono studiare dal vivo una natura multiforme, mettendo insieme vastissime collezioni di piante essiccate, animali, fossili, rocce, reperti naturali, archeologici, etnografici.

Nel 1664 Willughby rientrò in Inghilterra, richiamato dai suoi doveri di possidente, mentre Ray proseguì da solo, visitando anche la Francia. Al suo ritorno, nel 1666, si stabilì a Middleton Hall, la residenza di Willughby, con il compito ufficiale di catalogare le enormi collezioni raccolte durante il viaggio (anche se il lavoro venne condotto a quattro mani, con una specie di divisione del lavoro, con il maestro più orientato alla botanica e l’allievo più alla zoologia). Quando Willughby si sposò ed ebbe tre figli, Ray fu incaricato della loro educazione.

Entrambi furono ammessi alla Royal Society (all’epoca un'istituzione recentissima, fondata appena nel novembre del 1660), Willughby nel 1664 e Ray nel 1667. Nel 1669 presentarono insieme una memoria sulla circolazione della linfa (Experiments concerning the Motion of Sap in Trees). Nel 1670, Ray completò infine il suo lavoro sulla flora britannica, pubblicando Catalogus Plantarum Angliae et Insularum Adjacentium (1670), dedicato all’amico e mecenate. Tuttavia, nel 1672, a soli 37 anni, quest’ultimo morì improvvisamente di pleurite, lasciando una gran quantità di manoscritti ed opere incompiute. Una tragedia inaspettata che impresse una nuova svolta alla vita di Ray.

Per qualche tempo, egli continuò a vivere a Middleton Hall come curatore delle collezioni e precettore dei bambini, ma Emma, la vedova di Willughby, gli era decisamente ostile; nel 1675, dopo la morte della madre di Willughby e il nuovo matrimonio della sua vedova, lasciò la casa insieme alla giovane moglie, Margaret Oakley, trasferendosi dapprima a Coleshill, quindi a Sutton Coldfield, un cottage a quattro miglia da Middleton, una distanza che gli garantiva l’accesso alle collezioni e ai manoscritti dell’amico e protettore scomparso. Sentiva infatti il dovere morale di assicurare la pubblicazione delle sue opere. Nel 1676 uscì, sotto il nome di Willughby, Ornithologia libri tres, tre volumi corredati da splendide (e costose) illustrazioni finanziate dalla vedova Emma.

Contemporaneamente, Ray continuava a riflettere sulle piante e il 17 dicembre 1674 comunicò alla Royal Society due importanti memorie. Nella prima, On the seeds of Plants, dimostra che alcune piante hanno un cotiledone, oltre due, distinguendo per la prima volta in modo non intuitivo monocotiledoni e dicotiledoni; nella seconda, The Specific Difference of Plants, fissa criteri precisi per determinare una specie; vanno esclusi elementi accidentali come le dimensioni, il colore, l’odore, il gusto, la presenza di variegature, a favore dell’insieme della morfologia della pianta. Le parti principali da osservare, quelle che non variano da individuo a individuo, sono il fiore, il calice, il seme e il ricettacolo dei semi.

Nel 1677 la Royal Society gli offrì la segreteria, ma egli rifiutò, nonostante le sollecitazioni degli amici, sia per la sua naturale modestia, sia perché si assegnava ben altro compito: pubblicare una storia generale delle piante, cosa che nessuno aveva fatto “a mia conoscenza dai tempi di Bauhinus” (ovvero del Pinax di Caspar Bauhin). Preferì tornare in Essex e dal 1679, alla morte della vecchia madre, si stabilì con la moglie nella sua casa natale a Black Notley, da dove non si sarebbe più mosso fino alla morte: una vita tranquilla e ritirata, ma estremamente produttiva sul piano scientifico.

  

METHODUS PLANTARUM NOVA

Un metodo “naturale” e empirico per classificare le piante

 

Non dimentico del debito di riconoscenza verso Willughby, ne curò un’altra opera, Historia piscium, uscita nel 1687 a spese della Royal Society, così costosa da esaurire le risorse dell'istituzione, tanto da costringerla a procrastinare la pubblicazione dei Principia Mathematica di Newton. Ma soprattutto, poté dedicarsi ai propri studi, primo fra tutti il suo grande progetto botanico; presto fu in grado di pubblicare il proprio metodo di classificazione delle piante, in Methodus plantarum nova (1782) che riprende e sviluppa le conclusioni di The Specific Difference of Plants.

Nella prefazione Ray insiste sulla natura empirica e per così dire in progress della sua classificazione, basata sull’osservazione metodica e il confronto del maggior numero di caratteristiche possibili. Di fatto, il suo metodo si basa essenzialmente sui fiori, sui semi e sui frutti, con qualche allargamento alle foglie e più raramente alle radici. Nel Methodus le piante sono divise in 23 categorie, ancora mantenendo la tradizionale divisione in erbe, arbusti e alberi (eliminando però i suffrutici). Una scelta forse di comodo, in contraddizione con i suoi convincimenti profondi; infatti, a tale proposito, egli afferma lucidamente: “Questa divisione deve essere considerata più popolare e accidentale che accurata e filosofica”. Infatti non di rado gli arbusti possano assumere portamento arboreo, e viceversa, in base al luogo in cui vivono o alle condizioni di coltivazione. Anche la divisione tra erbe e suffrutici è sfumata e non ha ragione di essere. Nella divisione tradizionale, inoltre, si separano specie con grandi affinità, come dimostra l’esempio del sambuco erbaceo e del sambuco arbustivo (oggi rispettivamente Sambucus ebulus e S. nigra).

Nel 1786 Ray è finalmente in grado di dare alle stampe il primo volume di Historia Plantarum generalis, sotto l’egida della Royal Society che, però, ancora a corto di quattrini per le ragioni che già conosciamo, non può finanziare la pubblicazione. A farlo saranno, a titolo privato, diversi soci. La conseguenza è che i volumi non contengono immagini, con grande rincrescimento dell’autore per il quale un libro di botanica senza figure è come un atlante senza carte. In tre volumi (il secondo uscirà nel 1688 e il terzo nel 1704) è un’opera gigantesca, di oltre 3000 pagine, con la trattazione di circa 18.000 specie.

Il primo libro del primo volume è quasi un manuale di botanica generale, un compendio di tutto ciò che era stato scritto fino ad allora sull’anatomia, la fisiologia, la riproduzione, la morfologia delle piante. In un passo importantissimo per la storia della scienza, Ray vi dà la prima definizione di specie in termini biologici: “Non ho trovato alcun criterio per determinare le specie delle caratteristiche distintive che si perpetuano nella propagazione da seme. Quindi, indipendentemente dalle variazioni che avvengono negli individui o nelle specie, se derivano dal seme di una stessa pianta, sono variazioni accidentali e non tali da distinguere una specie [...] Allo stesso modo gli animali che differiscono per specie preservano permanentemente le loro specie distinte; una specie non nasce mai dal seme di un'altra né viceversa”.

Con il secondo libro inizia la trattazione delle piante raggruppate in gruppi “naturali” (la parola compare nel sottotitolo dell’opera: Genera […] METHODO Naturae vestigiis insistente disponuntur), che Ray chiama genera, un termine di portata molto più ampia dell’uso attuale, corrispondendo di volta in volta a classi, ordini, talvolta famiglie. Essi si dispongono in un percorso ideale che va dall’imperfetto e incompleto al perfetto e compiuto, che per Ray esprime l’ordine impresso al mondo da un creatore saggio e perfetto.

Si parte dalle Plantae imperfectae, ovvero quelle che mancano tanto di fiori quanto di semi, seguite dalla categoria intermedia delle piante prive di fiori ma con semi minutissimi disposti sulle foglie (noi li chiamiamo spore: sono i muschi, gli equiseti e le felci). Con il quarto libro, inizia la trattazione delle Herbae, le piante erbacee, che occupano il resto del primo volume e circa metà del secondo. I criteri essenziali per individuare i diversi “genera” delle piante erbacee sono le caratteristiche dei fiori e dei frutti, anche qui in un ideale percorso verso la perfezione: dai fiori imperfetti, ovvero dotati di stami ma privi di petali, a quelli perfetti e regolari; dai semi “nudi” (in realtà, frutti secchi indeiscenti, ad esempio acheni) a quelli rivestiti e protetti da un frutto carnoso. Per discriminare tra gruppi simili, vengono però prese in considerazione anche le foglie e, per il gruppo delle Bulbose (le uniche esplicitamente descritte come monocotiledoni) anche le radici. E’ sicuramente la parte in cui emerge con maggiore evidenza la profonda conoscenza delle piante di Ray, che individua (con altri nomi) un certo numero di gruppi corrispondenti alle nostre famiglie: le Asteraceae (distribuite in quattro genera, in base alla diversa morfologia dei fiori e dei frutti), le Rubiaceae, le Lamiaceae, le Brassicaceae, le Fabaceae. Mentre nel Methodus i gruppi di Herbae erano venticinque, in Historia plantarum sono soltanto venti. Ma la differenza maggiore tra i due testi sta nella trattazione degli alberi e degli arbusti, che occupano la seconda parte del II volume sotto il titolo Dendrologia; gli arbusti non ricevono più una trattazione separata, ma confluiscono nelle otto categorie già definite nel Methodus per gli alberi. Si tratta di raggruppamenti abbastanza artificiali, che in genere funzionano meno bene di quelli individuati per le piante erbacee.

 

HISTORIA PLANTARUM 

Il terzo volume costituisce un’appendice in cui Ray tratta le numerose specie esotiche che nel frattempo erano state pubblicate da molti illustri colleghi o gli erano state comunicate da suoi corrispondenti (tra cui padre Kamel, dalle Filippine), corregge errori e risponde alle polemiche. In effetti, la pubblicazione del Methodus e dei primi due volumi aveva innescato un dibattito con i botanici continentali, in particolare con il francese Joseph Pitton de Tournefort e con il tedesco August Bachmann detto Rivinus, che criticarono Ray per aver basato la sua classificazione su caratteristiche non essenziali. La risposta più articolata di Ray venne però in De Variis plantarum methodis dissertatio brevis (1696), in cui egli difese il suo metodo empirico e negò la possibilità di discriminare a priori ciò che è essenziale da ciò che non lo è: “L’essenza delle cose prima [dell’osservazione] ci è ignota.”

Ray applicò il suo metodo anche a una nuova flora dell’Inghilterra, Synopsis methodica stirpium britannica (1690) e diede un importante contributo anche alla sistematica degli animali, con Synopsis methodica animalium quadrupedum et serpentini generis (1693), Methodus insectorum (1705) e Historia insectorum, incompleta e uscita postuma (1710). E’ considerato il precursore della classificazione naturale e uno dei padri delle scienze biologiche.

 

 

Bibliografia

 

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S. McMahon, “John Ray (1627-1705) and the Act of Uniformity 1662”, Notes and Records of the Royal Society of London, Vol. 54, No. 2, pp. 153-178

S. Müller-Wille, “Systems and How Linnaeus Looked at Them in Retrospect”, Annals of Science, Vol. 70, No. 3, pp. 305–317.

J. Ray, De Variis Plantarum Methodis Dissertatio Brevis, London, Smith & Walford, 1696

J. Ray, Historia Plantarum Species hactenus editas aliasque insuper multas noviter inventas & descriptas complectens, E Societate Regia, London, Clark, 3 voll.: Vol 1 1686, Vol 2 1688, Vol 3 1704

Ray, John (1682). Methodus plantarum nova: brevitatis & perspicuitatis causa synoptice in tabulis exhibita […], London, Faithorne & Kersey, 1682

P.R. Sloane, “John Locke, John Ray, and the Problem of the Natural System”, Journal of the History of Biology, Vol. 5, No. 1, pp. 1-53

J.S. Wilkins, John Ray, https://www.researchgate.net/publication/334559521_John_Ray