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Gott mit uns…………o no?

 

Un lungo viaggio intorno alla vita

Caro Enrico,

 

la vecchiaia ha dei segni inequivocabili: le rughe, i capelli bianchi, la perdita delle forze, la tendenza a raccontare in continuazione secondo il modulo “Ai miei tempi…”

Evidentemente io sono proprio vecchio: a parte tutti gli altri sintomi, adesso m’è venuto in mente di scrivere un piccolo pezzo su alcune mie esperienze giovanili e, quel che è peggio, di mandartelo.

Sono consapevole che il mio scritto non rientra nella linea di Naturalmente, a meno che non lo si voglia considerare come una sorta di contributo storico (non ti mettere a ridere, adesso!). Ad ogni modo, fa’ tu come meglio credi. Intanto ti saluto molto amichevolmente.

 

 

 

Giampaolo Magagnini

 

 

Un giorno d’ottobre di tanti anni fa’, quando io ero un bambino ed abitavo a Firenze, mio Padre mi accompagnò alla Stazione a vedere l’arrivo di Hitler che veniva nella nostra città ad incontrarsi con Mussolini. Quando scendemmo dal tram in piazza Santa Maria Novella c’era già moltissima gente e noi ci avviammo a piedi cercando posto più vicino alla stazione. Gli edifici ed i lampioni erano addobbati di tricolori e di bandiere con la svastica e gli altoparlanti diffondevano  in continuazione inni marziali italiani e tedeschi. L’attesa mi parve infinitamente lunga, anche se magari saranno passati solo una quindicina di minuti, ma alla fine una specie di brivido che percorse la folla accompagnato da un crescente vocio e da un’ondata di applausi mi annunciò che l’ospite era arrivato. Dopo poco, infatti, comparve un furgoncino dal quale un operatore riprendeva la scena per il cinegiornale e, a brevissima distanza, un’auto scoperta dalla quale Hitler, affiancato da Mussolini, salutava rispondendo agli applausi della folla. Penso che fra tutte quelle persone solo due non applaudissero: mio Padre, che forse si ricordava delle bastonate ricevute dai tedeschi quando era loro prigioniero nel 1917, ed io, che ero quasi schiacciato dalla grandiosità dell’evento cui assistevo e quindi respiravo appena. I giovani d’oggi forse stenteranno a comprenderlo, ma in quei tempi un bambino, anche se appartenente ad una Famiglia non certo tenera col regime (mio Nonno brontolava spesso: “Camicie nere camicie sudicie!“) viveva talmente immerso in un’atmosfera così satura di “Italia fascista”, “Destini imperiali di Roma“, “La maschia figura del Duce”, “Otto milioni di baionette“ ed altre amenità del genere (a scuola c’era anche una materia intitolata “Cultura fascista”) che inevitabilmente n’era coinvolto. Si può allora capire, credo, come il vedere di persona il capo di quelli che erano definiti “I prodi alleati germanici“ facesse al bambino un’enorme impressione, come se quell’ometto con i baffi fosse stato alto quindici metri.

 

Accadde poi, qualche tempo dopo, che a Firenze arrivarono alcuni reparti della Hitlerjugend per un incontro coi ragazzi italiani. Allora, quando il bambino, infagottato nella sua uniforme di “Figlio della Lupa“ fatta in casa alla meglio, si trovò di fronte i giovani tedeschi splendenti nelle loro impeccabili camicie brune, l’impressione che ne trasse fu, se possibile, ancora maggiore. Ne derivò anzi la convinzione che i Tedeschi erano un’altra cosa, incomparabilmente migliore e c’era quasi da meravigliarsi che, camminando, toccassero la terra coi piedi. Né la cosa finì lì.

 

Pochi anni dopo, i “prodi alleati germanici” cominciarono a scendere dal nord: quando non erano su possenti carri armati arrivavano in colonne di efficientissimi camion, seduti in due file nel cassone del mezzo, esattamente a dieci centimetri l’uno dall’altro (come i piccioni su un filo elettrico), con le divise in perfetto ordine, impettiti, fieri, come separati dal resto del mondo dalla consapevolezza della loro intrinseca superiorità. Si può ben immaginare quale fosse il risultato dell’istintivo paragone con i nostri poveri Fanti dalle scarpe di cartone, insaccati in divise cenciose e con le gambe fasciate come fossero un’armata di flebitici o di gottosi. Quando poi i tedeschi scendevano dai camion per prendere il rancio, non si comportavano come i nostri che si affollavano tumultuosi e vocianti davanti ai pentoloni: sembrava quasi che marciassero in parata, in file ordinate e senza schiamazzi. Inoltre erano tutti giovani e muniti di armi evidentemente efficientissime. Ai miei occhi di bambino il motto Gott mit uns che essi si portavano addosso parve più che giustificato: quei soldati più che uomini sembravano semidei.

 

Passò  ancora  del  tempo  ed  un  giorno,  come  se  non  bastasse  la  fame  che  avevamo (io, bambino  goloso,  mi  sognavo  spesso  biscotti  e  cioccolata),  cominciammo  a  sentire  in lontananza il rombo del cannone. Man mano che i giorni passavano il rombo si avvicinava finchè le cannonate cominciarono a cadere sulle nostre case. Il bombardamento durò tre o quattro giorni, poi d’improvviso cessò.

 

Accadde allora un fatto inatteso: i tedeschi tornarono a passare, solo che ora andavano verso il nord, non ne venivano. E c’erano anche altre incredibili differenze.

 

Erano tutti vecchi, stanchi, con le divise spesso lacere, polverose. Avevano pochi camion e anche  essi  parevano  invecchiati, col  telone  strappato  in  diversi  punti  e  i  parafanghi ammaccati, e nel cassone i soldati si ammassavano senz’ordine in gruppi informi. C’era anche qualche auto civile italiana, anch’essa stracarica di militari cenciosi che sventolavano stracci bianchi sui quali avevano sommariamente dipinto una croce rossa. Finite queste carcasse di auto, cominciarono a passare carri e carretti d’ogni tipo, trainati da magri ronzini o da asini. Trasportavano in genere dei feriti con la testa bendata o con gli arti malamente steccati ed erano scortati da soldati a piedi anch’essi malconci. Uno spingeva una carrozzina da lattante, trovata chissà dove, piena di stracci ed altri oggetti non bene identificabili.

Questa specie di miserevole processione si svolgeva in un silenzio che non aveva il sapore della disciplina (si sarebbero uditi almeno i secchi comandi degli ufficiali), bensì della rassegnazione e dello sconforto. Ma quello che più mi colpì furono gli occhi: dimessa la fierezza che in essi avevo conosciuto, quegli occhi cerulei mostravano soltanto fatica e sgomento.

Si sarà già capito che lo spettacolo era ai miei occhi impressionante, anzi sconvolgente.

 

Cominciai allora a comprendere il significato della parola “disfacimento”. E poi mi chiedevo: e Gott non era più con loro?

Capii solo più tardi che Gott o comunque si chiami non può essere né con gli uni né con gli altri, perché non può essere contro nessuno.

Altrimenti non si chiamerebbe Gott ma uomo.

 

A dire il vero questa piccola storia vera ha un seguito.

 

Qualche giorno dopo che il corteo dei tedeschi era finito, vedemmo arrivare degli altri soldati. Abbronzati, questi, e qualcuno decisamente nero, che parlavano una lingua un po’ più vicina alla nostra. Erano brasiliani.

Una mattina mi fermai a guardarne uno che, seduto su un muretto, toglieva da un barattolo dei biscotti tondi che chiamavamo “marie” e se li mangiava. Il mio sguardo deve essere stato molto eloquente: disse qualcosa ad un compagno seduto lì accanto e poi mi porse il barattolo. C’erano quattro biscotti. In quel momento mi guadagnai il Paradiso: ne mangiai due e gli altri li portai ai miei fratelli.

E poi c’è chi dice che l’eroismo non esiste……

 

P.S.  Devo  precisare  che  anche  se  mi  sono  guadagnato  l’eterna  beatitudine, non ho attualmente nessuna intenzione di passare a riscuotere il mio credito.

 

Giampaolo Magagnini

 

 

Pubblicazioni scientifiche di Giampaolo Magagnini

NdR Non sappiamo quando questo articolo sia stato scritto. Possiamo solo dire che ci è arrivato in una strana occasione. Diana Tonelli ha richiesto la raccolta degli scritti del professor Giampaolo Magagnini che fu un collaboratore costante per molti anni di NATURALMENTE, Fatti e trame della Scienza. Con la spedizione del pdf aggiungemmo alcune note di stima e rimpianto per il professore. Ne seguì il ringraziamento di Diana che ha lavorato con il professore ed ha aggiunto che “è lieta di inviare un brano che il Professore inviò al Signor Enrico Pappalettere ma che non vide mai la pubblicazione, dal momento che esulava dal campo scientifico. Davvero la cultura e la sensibilità del Professore trascendevano ampiamente il suo settore di studio, anche se talvolta non era apprezzato, colpevoli forse l'innocente sincerità e la tagliente sagacia che non risparmiavano nessuno e che, in ambito universitario, difficilmente creano amicizia e stima! Indubbiamente però chi lo ha conosciuto non può che ricordarlo per la sua brillante intelligenza e per la sconfinata cultura che ad essa si accompagnava.”

 

Non sappiamo, e purtroppo non lo sapremo mai, perché non venne pubblicato, lo facciamo ora a beneficio di coloro che hanno apprezzato gli scritti di Magagnini e per gli altri che avranno uno stimolo per leggere quel che ci ha lasciato.

E’ stata inviata anche una foto di alcune delle pubblicazioni di Giampaolo Magnagnini che attendono un'idonea collocazione in una biblioteca scientifica, ci sono inoltri altri scritti inediti di certo molto interessanti.