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Radiografia a contrasto della proposta di legge 953

Arriva la guerra delle scuole ideologiche

Contorsioni, dissimulazioni e fondamentalismi all’opera o in agguato, come testimonia il Progetto di Legge 953 

di Giorgio Porrotto

 

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Scritto precedente; Se la politica scolastica è molto politica e poco scolastica 

 

Premessa

Chiunque intenda analizzare la Proposta di Legge 953, agli atti della settima Commissione della Camera dal 2009, e tenti di individuarne il fine ultimo e i possibili effetti, è destinato ad incontrare difficoltà interpretative frequenti e insolite. Da qui il tentativo di cercar lumi nella precedente versione del testo, quella del 2008, ovviamente decaduta ma esplicita e argomentata quanto invece quella del 2009 riesce scabra ed enigmatica. Per di più il passaggio da un testo all’altro è agevolato dalla coincidenza di contenuti tra articoli e commi. Presto però il lettore scopre che non sta perlustrando, come supponeva, proposte anche diverse ma confluenti su traguardi identici o analoghi. Ha invece davanti a sé due progetti accomunati sì dal passatismo, ma anche due diverse concezioni del rapporto tra istruzione e istituzioni. Ne dà conferma, nei paragrafi successivi, il confronto dei due testi su ogni tema. 

La PDL del 2008 mutuava dall’ondata neoliberista degli anni '70 una terna di proposte magari scioccanti, ma pur sempre integrabili nel nostro sistema d’istruzione così com’è nato e rimasto, e cioè incardinato nella struttura burocratica dello Stato al punto da oscurare la legislazione che prevede ampia autonomia professionale per l’attività di insegnamento (L. 59/97 e  DPR 257/99). Antitetica ad essa si rivela la proposta del 2009, imperniata sulla sostituzione di enti e privati allo Stato in tutto l’ambito scolastico (finanziamento a parte). Giunge a rendere incerta perfino l’unica funzione irrinunciabile dello Stato di diritto rispetto alle scuole: il rigido controllo delle leggi ordinarie nella loro legittimità costituzionale. Che prevede libertà dell’insegnamento di arti e scienze, e pieno sviluppo della persona umana senza distinzione di sesso, razza, lingua e religione. Stupisce siffatta svolta nell’iter di uno stesso progetto, ma il raffronto segnala utilmente la diversità di obiettivi ultimi tra i due testi. 

Quello originario mirava al recupero della “Moratti” (L. 53/03, osannata e inapplicata), ma ne cancellava la pretesa di accentuare la specificità del liceo classico anche come modello per tutte le superiori. Pretesa incompatibile con la separazione tettonica delle due metà del Novecento: altrove il latino obbligatorio spariva dalle scuole, e dalle chiese anche qui; la tecno/scienza stava assumendo il dominio del mondo; il “miracolo economico”, la Media obbligatoria e la televisione alzavano i minimi culturali; la politicizzazione di massa legittimava la scuola di massa. Logico che il liceo dei licei perdesse il ruolo di riserva esclusiva di un’utenza preventivamente auto/selezionata per censo e cultura: incombeva così il pericolo più temuto dal conservatorismo scolastico, aduso a erigere i propri figli a futura classe dirigente fin dai banchi di scuola, e a ridurre il classicismo ad abilità di parola nell’uso del potere. Fu la “Moratti” il primo tentativo di salvataggio, e poi si ricorse, con la PDL del 2008, a pochi ma calibrati deterrenti che consentissero una gestione differenziata delle singole scuole: bastava dotarle delle facoltà di accedere a fondazioni e a risorse aggiuntive (se potevano), di assumere gli insegnanti con propri concorsi e di differenziarne la carriera con criteri meritocratici e gerarchici. Il ruolo di genium loci spettava ovviamente a famiglie “capaci”. Il resto come prima: regole e controlli dello Stato anche su fondazioni, reclutamento e carriere; compiti di indirizzo, programmazione  e monitoraggio al collegio docenti;  programmi ministeriali “coerenti con” la “Moratti”; il dirigente ancora e sempre presidio di Stato.

L’obiettivo ultimo della PDL 2009 è, invece, l’apertura totale a scuole che non vengono definite per quel che sono, e cioè "di tendenza"; ossia ideologiche. Anzi si evita di qualificarle, con lo scoperto intento di mimetizzarle nell’alone della normalità. Una omissione ne chiama altre: non è spiegato come possa far fronte ai “compiti di indirizzo generale” l’organo denominato appunto “Consiglio di indirizzo”, al quale sono demandate in esclusiva vaste competenze insindacabili, dalla definizione e gestione dello statuto alla elaborazione e delibera del piano dell’offerta formativa. Non si capisce di quali competenze possa avvalersi, soprattutto nello specifico culturale e didattico dell’agire scolastico, se il collegio dei docenti viene soppresso, se  le rappresentanze in Consiglio di docenti, genitori ed esperti locali diventano paritetiche, se i neonati dipartimenti tecnici possono soltanto programmare l’esecuzione delle decisioni del Consiglio. L’enigma si scioglie al XIII dei 17 articoli del testo, e non certo ad opera di quest'ultimo: siccome lì si prevede che il reclutamento dei docenti avvenga mediante concorsi per titoli banditi dalle reti di scuole, e secondo le esigenze della programmazione degli istituti afferenti ad ogni rete, il lettore può dedurre di suo quanto segue: le reti non sono altro che cordate ideologiche la cui testa, molto più provveduta di una o più scuole, detta a queste ultime gli indirizzi e agli insegnanti le modalità con cui inculcare l’inculcabile.

Se poi qualcuno chiede il perché di tanta reticenza da parte sia della stessa PDL sia dei media (unica eccezione “l’inculcante”), val la pena di richiamare l’attenzione sui seguenti dati di fatto. Col recedere, dal 2000, della politicizzazione di massa, le ideologie attive sono soltanto quelle religiose. Le religioni interessate a governare le scuole sono poche ma armate di tradizioni di potere, di imprenditorialità disinvolta e di giurisprudenza fendente. È probabile che nella circostanza ripongano fiducia più nelle promesse ottenute che nella propaganda. E potranno avvalersi anche della contrapposizione, tutta italiana, tra laici e laicisti, intendendo per "laici" tutti coloro che sono interessati ad ignorare le ragioni per cui il fondamentalismo religioso è molto più lontano dalla spiritualità di quanto possa esserlo l’ateismo militante. 

 

Avvertenza

Per i richiami agli articoli e ai commi dei due testi posti a confronto si ricorrerà alle sigle: V1 = PDL 953 VERSIONE 2008 *** V2 = PDL  953 VERSIONE 2009. Le Note a commento propongono interpretazioni e valutazioni delle divergenze tra i due testi. 


A. Tanto di indirizzi tanto di potere 
In V1 si prevede per ogni istituzione scolastica, in sostituzione del Consiglio di isti¬tuto introdotto nel 1974, un Consiglio di amministrazione (Art. 3, comma 1b), al quale si assegnano (Artt. 5 e 6): i  “compiti di indirizzo generale dell’attività scolastica”; la facoltà di deliberare il proprio regolamento interno; la propria composizione interna.   

In V2 si prevede invece (Art. 3, comma 1b) un Consiglio di indirizzo, anche se poi niente altro del testo precedente viene modificato (Artt. 5 e 6) per quanto concerne sia le funzioni attribuite al Consiglio stesso (rimangono sia i "compiti di indirizzo generale dell’attività scolastica" previsti in V1), sia la facoltà del medesimo di deliberare il proprio regolamento interno e la sua composizione). Ma allo stesso tempo, e a differenza di quanto stabilito in V1, compare una aggiunta che conferisce (Art.5, comma 1a) al Consiglio di indirizzo una facoltà inedita: approvare e modificare “lo statuto dell’istituzione scolastica”. Si tratta di una novità già accennata nella stessa V2 (Art. 1, comma 2) in questi termini: “Alle istituzioni scolastiche è riconosciuta autonomia statutaria, nel rispetto delle norme generali di cui alla presente legge”. A completamento della rilevanza di tale statuto si aggiunge, sempre in V2 (Art. 5, comma 5): “Lo statuto deliberato dal consiglio di indirizzo non è soggetto ad approvazione o convalida da parte di alcuna autorità esterna”. 

 

Note a commento

Nel passaggio da V1 a V2, anche se questa ultima nulla segnala in proposito, non cambia soltanto la definizione del principale organo collegiale di ogni istituzione scolastica – il “Consiglio di amministrazione” è sostituito dal “Consiglio di indirizzo” – ma cambia anche il ruolo del Consiglio stesso, ancorché i compiti affidati ai due Consigli risultino esattamente gli stessi sul piano formale (competenze statutarie a parte). Infatti, un conto è svolgere tali compiti con le limitate competenze richieste a un Consiglio di amministrazione (che, come vedremo, approva il piano dell’offerta formativa elaborato dal Collegio dei docenti), e altro conto, ben più ampio e complesso, è lo svolgimento dei “compiti di indirizzo generale” ad opera di quello stesso Consiglio di indirizzo che quei compiti ha già autonomamente stabilito (per la soppressione, come vedremo, del Collegio dei docenti). Forti elementi di differenziazione tra i due Consigli sono determinati anche dall’autonomia statutaria introdotta in V2 e costituita da ampi poteri. Poiché tale autonomia regola (Art. 1, comma 4) "l’istituzione, la composizione e il funzionamento degli organi interni nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità scolastica", e poiché ad approvarne e a modificarne le disposizioni è  il Consiglio di indirizzo, peraltro insindacabilmente, quest’ultimo acquisisce una solidità di impianto giuridico dalla quale il “Consiglio di amministrazione” è ben lontano.   

Contrasta non poco con questa preminenza del Consiglio di indirizzo la totale assenza di specificazioni circa il significato del termine “indirizzo”, che attribuisce a detto Consiglio incombenze ben più elevate di quelle riconosciute sia all’attuale Consiglio di istituto sia al Consiglio di amministrazione previsto in V1.  “Indirizzo” nel panorama scolastico può indicare aspetti settoriali anche quando è accompagnato dall’aggettivo “generale” (indirizzo generale per la valutazione degli alunni; indirizzo generale per il riconoscimento dei crediti e dei debiti formativi; indirizzo generale degli studi delle singole tipologie di istituto), così come può indicare i principi di strategia a tutto campo solitamente attribuibili al solo ministero (sia nell’ordinamento sia nella realtà operativa il sistema scolastico italiano non ha mai previsto e/o applicato la scelta degli obiettivi generali e obiettivi specifici da parte di una singola scuola). In sostanza, dunque, la precisa individuazione dei poteri effettivi del Consiglio di indirizzo risulta tanto rilevante quanto indeterminata.  E scopriremo che questa lacuna informativa ha una precisa ragion d’essere.   

Scarsità di indicazioni e mancanza di motivazioni sono riscontrabili, sempre in V2, anche per quanto riguarda i pur risoluti e vistosi passaggi di poteri dallo Stato alle singole unità scolastiche: non compare nessun accenno alle competenze residuali dello Stato; non compaiono soprattutto riferimenti alle prospettive, ricorrenti da quaranta anni nella legislazione scolastica, di decrescita del potere burocratico, di rivalutazione delle funzioni professionali e di rilancio del rinnovamento culturale. Così la PDL 953 approda, con la versione attuale, a una governance ad alti livelli di decentramento rispetto allo Stato, ma in funzione esclusiva di una ridistribuzione dei poteri decisionali interni al sistema scolastico della quale non preannuncia e non finalizza la portata. 

 

B. Fondazioni e consorzi: a chi no e a chi sì

In V1 si prevede (Art. 2, comma 1) la possibilità per "ogni istituzione scolastica" di "costituirsi in fondazioni" su proposta del Ministro della P.I., avendo come partner enti pubblici e privati, associazioni ecc., e  rispettando (Art. 1, comma 2) "l’obbligo di rendere conto alle amministrazioni pubbliche competenti delle scelte effettuate".

In V2 (Art. 2, comma 1) si prevede la stessa possibilità ma per le sole scuole secondarie superiori, che alle fondazioni possono associare anche “consorzi”. Al contrario di quanto previsto in V1, la facoltà di istituire fondazioni e consorzi non risulta vincolata né alla proposta ministeriale né all’obbligo di rendiconto.

 

Note a commento

Sia in V1 che in V2 l’introduzione delle Fondazioni è prevista “per il raggiungimento degli obiettivi strategici indicati nel piano dell'offerta formativa e per l’innalzamento degli standard di competenza dei singoli studenti e della qualità complessiva dell'istituzione scolastica”, ma le finalità e le prospettive sono opposte: in V1 il sostegno, in quanto esteso a tutte le scuole, è rivolto anche alle fasce socialmente e culturalmente più deboli al fine implicito di ridurne gli svantaggi in vista della selezione (passaggio alla secondaria superiore); in V2 il sostegno è rivolto soltanto a quanti hanno già superato detta selezione, alla quale si sono ovviamente presentati con le chance aggiuntive garantite dal supporto culturale dall’ambiente famigliare (il CENSIS ci ricorda di rapporto in rapporto che in Italia i laureati sono figli dei laureati, i diplomati  dei diplomati…).

Ha significato anche l’esclusione in V2 di autorizzazioni e controlli – previsti invece in V1 – da parte dello Stato nella costituzione e nella gestione delle fondazioni e dei consorzi. È la privatizzazione che avanza?


C. Autarchia educativa  
In V1 (Art. 1, comma 5) si prevedono obiettivi educativi e formativi "coerenti con le indicazioni nazionali adottate in attuazione della L. 28.3.2003", e cioè con gli O.S.A. della “Moratti”.    

In V2, non si prevedono né programmi né indirizzi di emanazione ministeriale.

 

Note a commento

La divaricazione tra V1 e V2, dopo aver riguardato la ridenominazione e l’ampliamento delle funzioni del vecchio Consiglio di istituto, e le finalità e la portata dell’"indirizzo" di ogni singola scuola, è qui notevolmente allargata perché investe l’area peculiare del servizio di istruzione, vale a dire il curricolo degli studi. Siamo di fronte ad una netta contrapposizione delle due versioni della PDL: V1 non fuoriesce dal trend tradizionale dei programmi ministeriali; V2 evita qualsivoglia riferimento sia ai programmi ministeriali sia al loro opposto, i curricoli,  e pertanto scavalca di netto il problema dei contenuti e delle modalità dell’azione educativa e didattica. Questo silenzio di V2 in materia non può che richiamarci al ruolo del Consiglio di indirizzo e, nel contempo, alla questione dei significati del termine “indirizzo” di cui alle NOTA A COMMENTO del paragrafo A., Tanto di indirizzi tanto di potere. In concreto: l’esclusione di indirizzi di emanazione ministeriale –esclusione implicita nel testo della PDL 953 seconda versione– comporta che si debba attribuire alle singole scuole, nella logica di V2, la facoltà di dotarsi in proprio, grazie ai poteri del Consiglio di indirizzo, di obiettivi culturali, di indicazioni educative e didattiche, di curricoli o di tradizionali programmi? Al momento non è possibile immaginare risposte alternative, e la cosa ingenera profondo stupore, per almeno tre motivi. Il primo: anche laddove le scuole si avvalgono non di programmi ministeriali ma di piena autonomia didattica, questa è esercitata nell’ambito di indicazioni rivolte a  garantire il rispetto di principi quali "L’educazione deve mirare al pieno sviluppo della persona umana e al sostegno del rispetto dei diritti mani e delle libertà fondamentali" (“Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, ONU,1948). Il secondo: tali indicazioni risultano efficaci nella misura in cui sono predisposte da appositi centri ad alto livello di specializzazione scientifica, e sia per quanto concerne la vastità e l’evoluzione continua dei saperi, sia in relazione al trend di sviluppo della società e delle scienze dell’educazione (alle quali si deve ogni passo che si compie verso l’insegnamento-apprendimento).  

Il terzo: stupisce che una novità di così ampia portata possa essere introdotta tacitamente, e cioè senza nemmeno indicarla.     

Ed è allora il caso di avvertire che gli enigmi fin qui riscontrati nel testo della V2 sono destinati a caratterizzarla ulteriormente nelle parti successive, e quindi a complicarne l’interpretazione. Consentiranno di ottenere risposte meno ambigue soltanto nella parte finale dell’analisi interpretativa, ed esclusivamente per deduzione. 

 

D. Lo stato è sostituibile?   
In V1 (Art. 1, comma 7) sono elencate le disposizioni relative alle istituzioni educative e alle scuole paritarie.

In V2 dette istituzioni e dette scuole non sono mai nominate.    

 

Note a commento

In questo caso l’assenza in V2 di riferimenti al tema proposto in V1 può ingenerare problemi interpretativi meno complessi e, nel contempo, scioccanti più di ogni altro per quanto concerne la politica nella sua interezza e la politica scolastica in particolare. Infatti, se si prescinde, come in V2, dalla tradizionale presenza delle scuole paritarie, si lascia supporre l’intenzione di prescindere anche dalle scuole statali, giacché le paritarie possono risultare paritarie solo rispetto alle statali e non a se stesse, e altrettanto dicasi per le statali. Se così fosse, la V2 raggiungerebbe il livello massimo possibile di reticenza e di mimetizzazione: si può procedere alla cancellazione della scuola di Stato e del servizio che ha garantito per centocinquanta anni senza nemmeno dichiararne la fine?    

Al momento basti chiederci a che serve lo Stato nel campo dell’istruzione. Non serve se la sua gestione del servizio di istruzione rimane demandata a quella Pubblica Am¬ministrazione che non può essere tecnica in senso scolastico (peculiarità nostrana, che separa di netto il centralismo italiano da quello francese, con soddisfazione dei sindacati). Non serve uno Stato incapace di rispettare se stesso: legge dopo legge sono state costruite nell’arco di ventisette anni (dal 1973, L. 477del 1973 e i DPR 416-417-419, al 1999,  L. 1959 del 1997 e DPR 275 del 1999) le prospettive di autonomia didattica, organizzativa e di ricerca atte ad inserire la scuola italiana nei processi di modernizzazione e di crescita dei paesi più avanzati; ma dall’inizio del nuovo secolo dette prospettive sono state abbandonate e la relativa legislazione è stata disattesa.    

Lo Stato serve comunque, invece, ed è insostituibile, di fronte al più complesso dei problemi scolastici, il rapporto tra l’insegnamento e le ideologie laiche e religiose. Uno studioso della materia, Louis Legrand, invita a riconoscere che "in campo educativo (… si tratta di promuovere valori in un progetto di futuro per la gioventù…) l’ideologia è d’obbligo. Lo si voglia o no"; e, nel contempo, che l’ideologia è anche "l’origine dei fanatismi, delle guerre nazionali e delle guerre civili". Questa consapevolezza ha consentito agli Stati dei paesi ad avanzato sviluppo civile e sociale di risolvere il problema, nel secondo dopoguerra, attraverso l’educazione all’esercizio della democrazia. Lo Stato italiano si è dato in materia almeno una regola (L. 477/73, DPR 417, ora anche nel T.U. DLgs n. 297/94) che è uno dei punti più alti della nostra legislazione non soltanto scolastica: "Art. 1 – 1. Nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti dal presente testo unico, ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente.? 2. L'esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni.? 3. E' garantita l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca. Art. 2 - 1. L'azione di promozione di cui all'articolo 1 è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni.? 2. A favore degli alunni sono attuate iniziative dirette a garantire il diritto allo studio".

 

E.  Tasso di cultura e tasso di enigmaticità   
In V1 (Art. 7, comma 1) il Collegio dei docenti provvede alla "elaborazione dell’offerta formativa" e (Art. 5, comma 1b) il consiglio di amministrazione "approva il piano dell’offerta formativa".    

In V2 (Art. 5, comma 1c) il Consiglio di indirizzo "delibera il piano dell’offerta formativa". In V2 (Art. 6, comma 1b) "la rappresentanza dei genitori e dei docenti è paritetica".

 

Note a commento

Per la V1 il Collegio dei docenti, i cui membri sono dotati anche formalmente di competenze professionali specifiche, predispone il piano dell’offerta formativa e un altro organo collegiale, e cioè il Consiglio di amministrazione rappresentativo di tutte le componenti scolastiche, lo approva; questo è ciò che normalmente accade in tutti i campi in cui è possibile associare le competenze e l’assunzione di responsabilità alle procedure democratiche. Per la V2 invece la predisposizione e l’approvazione del progetto sono competenza esclusiva del Consiglio di indirizzo (in corrispondenza a questa scelta in V2 il Collegio dei docenti non è previsto, v. Nota a commento del paragrafo F., Insegnamento trasmissivo…). Questa disposizione ci riporta alla questione sopra segnalata della problematicità delle competenze del Consiglio di indirizzo, e degli enigmi che ne derivano per quanto concerne l’interpretazione della V2.  Tanto più che diventa inevitabile porsi un’altra domanda: di quali supporti culturali, generali e specifici, dispone il Consiglio di indirizzo al proprio interno? La risposta ci viene dalla sua composizione (V2, Art. 6, comma 1): ai due membri di diritto (Dirigente scolastico e Direttore amministrativo) si assommano i rappresentanti dei genitori, degli insegnanti, delle realtà locali e, nelle superiori, degli studenti, per un minimo complessivo di 7 membri e un massimo di 11, e con il vincolo della pariteticità delle rappresentanze dei genitori e dei docenti (V2,  Art. 6, comma 1). Ora, di fronte alla estrema esiguità delle risorse culturali ed educative di cui per legge il Consiglio di indirizzo può avvalersi, e di fronte alla prospettiva che esso non possa usufruire di altri contributi qualificati al momento delle scelte su obiettivi e metodi dell’insegnamento e dell’apprendimento, non si può che tornare alle considerazioni espresse nella Nota a commento del paragrafo C., Autarchia educativa. Ora si può parlare di allarme culturale?


F. Insegnamento: trasmissivo, d'ordinanza, a livello rigorosamente impiegatizio

In V1 (Art. 7, comma 1) il collegio dei docenti ha "compiti di indirizzo, programmazione , coordinamento e monitoraggio delle attività didattiche ed educative", e (Art. 7, comma 2) "è articolato in dipartimento disciplinari … ovvero in ulteriori forme organizzative".   

In V2 il collegio dei docenti non è previsto, e (Art. 7) "i Consigli dei dipartimenti, quali organi tecnici … con compiti di programmazione delle attività didattiche, educative e valutative, in attuazione del piano dell’offerta formativa deliberato dal Consiglio di indirizzo".        

 

Note a commento

Siamo di fronte ad un’altra delle discordanze più clamorose fra quelle finora riscontrate nel confronto tra V1 e V2. E non soltanto, o non soprattutto, perché il primo testo garantisce la permanenza del Collegio a pieno titolo (addirittura rafforzandone le funzioni rispetto alla normativa vigente), e il secondo lo abolisce senza nemmeno nominarlo (una contromarcia da primato, oltretutto all’interno di una stessa proposta di legge). Quel che più importa, comunque, sono i motivi dell’abolizione. Si tratta di sostituire il Collegio con un organo di altro tipo e tuttavia finalizzato alla normativa vigente (L. 477/73 e D.P.R. 416/74, art. 4), mai realmente applicata e peraltro riassunta e felicemente arricchita in V1? O piuttosto si tratta di cambiare organo e normativa? O addirittura si tratta di eliminare l’organo collegiale dei docenti comunque strutturato e comunque finalizzato? Sto proponendo interrogativi che trovano la loro ragion d’essere nei giudizi critici infittitisi attorno all’istituto del Collegio dei docenti da almeno trent’anni, e nelle conseguenti richieste di una radicale riforma del medesimo, o di un suo ridimensionamento o di una sua sostituzione.    

Direttamente o indirettamente le motivazioni di queste richieste hanno avuto a che vedere con la subordinazione generalizzata dell’organo al potere, ora formalizzato ora strisciante, delle organizzazioni sindacali (simbolo di tanta conquista sono le RSU). Un potere finalizzato non alla qualificazione e alla modernizzazione della funzione docente, ma all’incremento del numero dei docenti, e pertanto incline ad inasprire le logiche dell’uniformità e del formalismo demotivante già intrinseche all’amministrazione burocratica della scuola italiana (si pensi al deficit di aggiornamento disciplinare in itinere, ridotto a episodi, e al deficit totale di formazione professionale, con l’eccezione dello striminzito decennio della SSIS). Anche se lo svilimento professionale e culturale prodotto nella scuola dall’invadenza sindacale è parallelo al disimpegno (o al tradimento?) della politica alta e della cultura accademica.     

La risposta ai quesiti di cui sopra ci è offerta appunto dal confronto  tra l’art. 7 di V1 e  l’art. 7 di V2, riservati il primo al Collegio docenti e ai dipartimenti disciplinari, e il secondo ai Consigli dei dipartimenti (col sottinteso, facile da afferrare, che questi ultimi sostituiscono il Collegio dei docenti). In V1 "Il collegio dei docenti è articolato in dipartimenti disciplinari", e dunque i dipartimenti contribuiscono a svolgere i compiti del Collegio (giova ripeterli: "compiti di indirizzo, programmazione, coordinamento e monitoraggio delle attività didattiche ed educative"). In V2 i Consigli dei dipartimenti svolgono soltanto "compiti di programmazione delle attività di-dattiche, educative e valutative" in limiti ristrettissimi e residuali, e cioè "in attuazione del piano dell’offerta formativa deliberato dal Consiglio di indirizzo". La differenza sostanziale la fa il termine indirizzo: in V1 l’elaborazione dell’indirizzo spetta al Collegio e ai dipartimenti disciplinari, in V2 non spetta né al Collegio, che non c’è, né ai Consigli dei dipartimenti, che devono limitarsi a dare "attuazione" all’indirizzo prestabilito dal Consiglio di indirizzo. Tiriamo le fila: l’obiettivo specifico della V2 è quello di sottrarre a qualsiasi organo collegiale dei docenti –e quindi in primo luogo al Collegio, entità numerica e professionale non facile da scavalcare– la formulazione dell’indirizzo. Come del resto testimoniano altre due peculiarità introdotte da V2 e già segnalate: la rappresentanza paritetica di genitori e docenti, e la definizione di "tecnico", vale a dire di esecutivo, assegnata alle funzioni dei dipartimenti. Dato che la cacciata degli insegnanti non è ancora prescritta non si può parlare ufficialmente di insegnante-fobia. Ma evidentemente non basta che fino ad oggi la funzione docente sia risultata ambigua perché, pur essendo stata separata dalla categoria degli “impiegati dello Stato”, non è stata valorizzata in quanto professionalità specifica (non si prevede che il docente aggiorni le sue conoscenze e le sue competenze metodologiche, e chilo fa è un missionario). D’ora in poi possiamo anche essere certi che la PDL 953 è rivolta a irreggimentarla in una classificazione definitivamente, esclusivamente e forzatamente impiegatizio. E con esiti paralleli –ma questa volta determinati scuola per scuola dal Consiglio di indirizzo– a quelli ottenuti dal regime sindacale.

Sulla questione del significato del termine indirizzo in V2 ora si può almeno supporre che si tratta di ciò che, in fatto d’istruzione ed educazione, sovrasta tutto il resto. Sulla questione del come il nuovo sistema scolastico possa avere la propria base di sostegno nei Consigli di indirizzo anche per quanto riguarda le competenze culturali ed educative, l’enigmaticità è ormai altissima. 


G. Libertà di insegnamento e formalismo rituale
In V1 (Art. 12, comma 4) "Sono assicurati ai docenti la libertà di insegnamento e l’autonomia professionale, quali strumenti per l'attuazione del pluralismo e per perseguire la qualità e l'efficacia della prestazione professionale ... In particolare, è assicurata a ogni docente la libertà di scelta dei contenuti e delle metodologie didattici, nel rispetto degli obiettivi generali del processo formativo e del piano dell'offerta formativa elaborato dal collegio dei docenti".

In V2 (Art. 7, comma 1) la libertà di insegnamento è citata in tre occasioni: Art. 7, comma 1, "Per l’esercizio della libertà di insegnamento, sono istituiti in ciascuna istituzione scolastica i Consigli dei dipartimenti, quali organi tecnici …"; Art. 11, comma 1, "La Repubblica assicura la libertà di insegnamento, riconosce e valorizza l’autonomia e la crescita professionale dei docenti, attraverso una formazione specifica iniziale e continua, un efficace sistema di reclutamento e uno sviluppo di carriera e retributivo per merito."; Art. 16, comma 1, "Al fine di garantire l'autonomia della professione docente e la libertà di insegnamento, è istituita una specifica area di contrattazione dei docenti".         

 

Note a commento 

Per quanto riguarda V1 la definizione della libertà di insegnamento e dell’autonomia è da considerare compatibile nelle prospettive di fondo, e in alcuni tratti addirittura vicina al DPR 275/99, vale a dire al Regolamento dell’autonomia ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n 59, in vigenza soltanto formale perché non compatibile con le vigenti leggi sugli ordinamenti. Per quanto riguarda V2 è inevitabile costatare che nessuna delle tre indicazioni in essa previste per l’effettivo esercizio della libertà di insegnamento e dell’autonomia didattica trovano corrispondenza nel sopracitato DPR 275/99, o in altre disposizioni della legislazione scolastica che abbiano attinenza con la libertà di insegnamento e con l’autonomia didattica. Per quanto riguarda in particolare l’Art. 7 comma 1 di V2, si rimanda a quanto sottolineato in Nota a commento paragrafo F., Insegnamento: trasmissivo... relativamente alla estrema limitatezza delle funzioni dei Consigli dei Dipartimenti. Per quanto riguarda l’art. 11 di V2 non si capisce come la libertà di insegnamento possa avere le sue premesse nella formazione, nel reclutamento e nella carriera se tutte e tre queste fasi della carriera dell’insegnante sono mirate all’adeguamento del medesimo al particolare "indirizzo" della rete in cui viene reclutato (v. Note a commento In I., relativamente al reclutamento dei docenti). Per quanto riguarda la "specifica area di contrattazione dei docenti", di cui all’Art. 16 comma 1 di V2, non si trovano nel testo elementi che consentano di individuare la natura dell’"area" citata. Pertanto i richiami alla libertà di insegnamento costituiscono in V2 un atto di rispetto formale della Costituzione (Art. 33, comma 1),  ma non prefigurano in alcun modo né la messa in atto di tale libertà né le finalità educative a cui devono essere rivolte (v. Nota a commento paragrafo I, L’insegnante …).

 
H. L’integrale e l'integralismo 
In V1  (Art. 12, comma 3) "La funzione docente è rivolta prioritariamente a educare i giovani all'autonomia personale e alla responsabilità, nonché a perseguire, per ogni allievo, idonei e certificati livelli di competenza culturale, tecnica, scientifica e professionale, nel rispetto delle differenze individuali e delle singole personalità".                       

In V2 (Art. 11, comma 3) "La funzione docente è rivolta prioritariamente alla formazione integrale della persona e all’educazione dei giovani all'autonomia personale e alla responsabilità, nonché a perseguire, per ogni allievo, idonei e certificati livelli di competenza, nel rispetto delle differenze individuali e delle singole personalità".     

 

Note a commento

La divaricazione fra V1 e V2 si ripercuote anche nell’ambito più strettamente educativo. Si noti in V1 l’accento di modernità con cui sono indicate le competenze che per i giovani è necessario perseguire. Si noti in V2 il rilievo conferito alla formazione integrale della persona, che per i cattolici significa centralità del messaggio religioso cattolico. Ecco qui di seguito alcune riflessioni sulla formazione integrale. "Ciò richiede lo sviluppo di tutte le dimensioni della personalità: fisiche, intellettive, operative, morali, spirituali e sociali" (C. Antonelli) "Specialmente l’integralismo religioso appare pericoloso per una organizzazione sociale autenticamente democratica, in quanto conduce facilmente all’intolleranza" (P. Bertolini) "Poiché ogni persona si forma nell’interazione tra la propria individualità e l’ambiente, la formazione va intesa non tanto come mèta quanto come processo, come una conquista che ognuno è chiamato a realizzare … Non esiste una formazione in astratto, poiché essa è condizionata da fattori sociali, economici,  culturali, politici e religiosi, e spesso questo condizionamento può essere negativo" (E. Baudo) "Tendere al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali significa formare degli individui capaci di autonomia intellettuale e morale, ma capaci di rispettare questa autonomia negli altri, precisamente in virtù della regola di reciprocità che la rende legittima per loro stessi" (J. Piaget) 


I. L’insegnante indirizzato: atto generativo del nuovo sistema scolastico

In V1 (Art. 16, comma 1) "… il possesso dell’abilitazione all’insegnamento … costituisce … requisito esclusivo per l'ammissione ai concorsi per docenti, che sono banditi dalle istituzioni scolastiche statali con cadenza almeno triennale, secondo le esigenze della programmazione …".       

In V2 (Art. 13, comma 1) "Il reclutamento dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado avviene mediante concorsi per titoli banditi dalle reti di scuole, anche eventualmente costituite appositamente, secondo le esigenze della programmazione degli istituti afferenti ad ogni rete di scuole e al fine di coprire i posti disponibili e vacanti accertati dagli organismi competenti, nel rispetto delle disposizioni stabilite con regolamento nazionale del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca".   

 

Note a commento

L’unico elemento in comune tra i due articoli è la fine della storica funzione dell’Amministrazione scolastica centrale e periferica nell’assegnazione della sede di servizio agli insegnanti: saranno le scuole ad assumerli, previo concorso inteso ad accertare la corrispondenza delle caratteristiche professionali dei candidati alle esigenze di programmazione dell’istituto di destinazione. È l’accoglimento di una proposta avanzata da più parti con crescente insistenza da almeno trent’anni, ed è una forma di reclutamento largamente praticata in altri sistemi scolastici anche molto diersi. Per il resto la differenziazione è costante e  sempre ad elevato livello di significatività.  In V1 il concorso per il reclutamento è bandito dalla singola scuola, e non si precisa se si svolgerà per titoli ed esami o per soli titoli: questa sospensione delle modalità di svolgimento del concorso non può non essere finalizzata che all’esercizio della libertà di programmazione di ogni singola scuola. In V2 il concorso è bandito da reti di scuole e si precisa che si svolgerà per soli titoli, il che significa che è rigorosamente finalizzato all’uniformità di programmazione di tutte le scuole che aderiscono ad una stessa rete. L’espressione "secondo le esigenze della programmazione degli istituti afferenti ad ogni rete di scuole" sottintende necessariamente, infatti, l’esistenza di una regia capace e incaricata di predisporre la programmazione per tutte le scuole “afferenti”.  Sottintende soprattutto l’atto generativo del nuovo sistema scolastico inteso come sistema di reti: le reti sorgono, si distinguono e si impongono come bastioni del nuovo sistema scolastico se e come, se e quando, se e quanto riescono a compattare attorno ad un preciso indirizzo educativo –che per risultare tale deve avere base ideologica– un numero di insegnanti sufficiente per fondare un certo numero di reti. L’inquadramento degli insegnanti in un preciso “indirizzo” pedagogico è la premessa prima, decisiva, della formazione di ogni rete. La loro capacità di far capo a precisi riferimenti filosofici, etici, religiosi…, e non ad altri, diventa l’elemento distintivo e la risorsa competitiva della singola rete. La loro disponibilità e la loro preparazione a fare squadra risulta, ora, l’obiettivo di fondo delle principali differenziazioni previste in V2 rispetto a V1 relativamente al corpo docente: l’esclusione di organi collegiali in cui quest’ultimo possa risultare autonomo o maggioritario, la prevalenza delle altre componenti nelle scelte di indirizzo culturale ed educativo, la riduzione dell’esercizio della libertà di insegnamento a chance marginali o variamente valutabili. In V1 la scelta di indirizzo è espressione esclusiva degli organi collegiali della scuola (Dipartimenti, Collegio docenti, Consiglio di amministrazione), e dei confronti e delle mediazioni all’interno di essi e fra di essi, e può variare in relazione al manifestarsi di nuove esigenze all’interno della singola scuola. In V2 la scelta di indirizzo si riduce ad un atto di adesione alla proposta esterna, formulata da una o più scuole e soprattutto dal loro referente ideologico mai nominato ma determinante a tutti gli effetti, e comporta adeguamenti, compromessi e vincoli di lunga durata, e comunque sovrapposti alla realtà effettiva della singola scuola. In V1 la capacità di elaborazione dell’offerta culturale e formativa da parte delle scuole è stimolata e integrata da indicazioni ministeriali che possono risultare di mag-giore o minore gradimento, ma che si collocano in ogni caso nella logica della regolamentazione democratica del rapporto persona –scuola– società. In V2 non compaiono riferimenti alla medesima logica.   In V1 la scelta di indirizzo, in quanto comprensiva anche degli orientamenti degli organi collegiali della scuola, può favorire una larga aderenza alle caratteristiche e alle prospettive del territorio. In V2 tale aderenza può essere condizionata anche fortemente dalla necessità di non limitare le connotazioni ideologiche della rete. Tutte quante le differenziazioni tra V1 e V2 che abbiamo registrato in questa Nota a commento e in quelle precedenti concorrono a confermare l’ampia contrapposizione fra le due versioni della PDL 953, in quanto diversi sono gli obiettivi centrali. 


Considerazioni finali sul machiavello delle scuole di tendenza

V1 è stata ideata come versione italiana, peraltro molto tardiva, delle tesi diffuse da Milton Friedman nell’area anglosassone in tema d‘istruzione: scuole con finanziamento di base a carico dello Stato ma presidiate dai genitori della media e medio-piccola borghesia per garantire ai loro figli istruzione migliore, e per frenare l’assalto di massa alla “scuola di tutti e per tutti”. Il perno della V1 è rappresentato dall’introduzione della scuola-fondazione, che integra i finanziamenti dello Stato e che non esclude del tutto gli allievi svantaggiati (per evitare inutili contenziosi sul diritto all’istruzione), ma tende a liberarsene in punto di fatto. Si tratta di una visione classista e ideologica del servizio di istruzione, ma più classista che ideologica, nel senso che si esprime attraverso la fondazione e la gestione delle scuole piuttosto che attraverso l’imposizione di singoli credi ideologici. Una visione peraltro capace –almeno così accade fuori d’Italia– di riflettere nel contempo le logiche della democrazia anglosassone, giacché è votata, con l’eccezione di aree isolate, alla pluralità e quindi alla concreta li¬bertà delle religioni, alla scienza e alla tecnologia e quindi alla modernizzazione.

V2 propone anch’essa un ruolo forte per la famiglia, ma s’incardina su una pluralità di reti di scuole delle quali non viene data nessuna definizione: la qual cosa sta a  significare la  predisposizione di un campo per sfide ideologiche non mediate dal Parlamento, e quindi non controllate in forza di una legislazione liberal-democratica. E quando nel nuovo millennio si parla di ideologie si dà per scontata la prevalenza, se non proprio l’esclusività, di quelle religiose. Che dunque in V2 sono destinate più e meglio di altre a dettare la linea culturale ed educativa dei Consigli di indirizzo, rimediando alle loro plateali insufficienze culturali e professionali, ripetutamente evidenziate nei paragrafi precedenti, e ispirando e sostanzialmente governando gran parte delle reti. Le quali funzionano, nella progettazione di V2, come canali di comunicazione capaci di compattare le scuole, e in particolare gli insegnanti appositamente selezionati, in funzione di distinti obiettivi ideologici. Nulla a che vedere con le reti che l’articolo 6 del DPR 275/99 prevede –anche se ormai senza effetti applicativi– come strumento di collaborazione tra le scuole impegnate nell’autonomia di ricerca in funzione dell’autonomia didattica; e se è vero che le poche reti attualmente in circolazione sono formalmente legittimate da quell’articolo, è altrettanto vero che si occupano non di ricerca e di autonomia didattica, ma di micro finanziamenti locali o di meno ancora.      

E com’è possibile, allora, moltiplicare e trasformare le attuali reti –difformi quanto a motivazioni, e scarse di presa e di durata– in un meccanismo capace di di-rezionare il nuovo sistema scolastico? Bisogna immaginarle miracolosamente ristrutturate in possenti organizzazioni formalmente spontanee, della cui costruzione la V2, more solito, nulla accenna. Non resta che ipotizzare cunicoli non meglio identificabili in cui le scuole dovrebbero infilarsi per rispuntarne schierate in steccati identitari, vale a dire in reti caratterizzate ciascuna da un preciso indirizzo valoriale e capaci di ingaggiare fra loro perpetua ed accanita concorrenza. Si arriva così alle “scuole di tendenza”, cosiddette per le scelte ideologiche a cui sono vincolate e per la compattezza di intenti con cui riescono a diffonderle. È prevedibile per tutte –e lo si sente affermare frequentemente in termini che mancano solo di ufficialità– il finanziamento dello Stato attraverso il buono-scuola.   

L’indeterminatezza e le reticenze alle quali il testo di V2 ricorre per prospettare la nuova governance della scuola e le fasi del suo insediamento –aspetti segnalati più volte nel corso di questa analisi– sono probabilmente da imputare alle esigenze tattiche dell’azione politica prevista per l’approvazione in parlamento della PDL. C’è poi da chiedersi perché quest’ultima preveda, ovvero imponga, soltanto scuole di tendenza. Una ragione probabile: una scuola di tendenza in mezzo ad altre che non siano tali rimarrebbe isolata, auto-ghettizzata, scarsamente concorrenziale; e questo non si addice, per esempio, ad una religione che si propone soprattutto come dominante.    

Per quanto riguarda le premesse culturali, politiche e parlamentari di cui la PDL 953 potrà avvalersi nel suo iter è opportuno ricordare almeno le seguenti: 

 

1. Il vuoto di idee e di propositi che è riscontrabile, prima ancora che negli schiera-menti politici, nei disparati ambiti della cultura (accademici, editoriali, imprenditoriali, sindacali ed associativi ecc.) relativamente alle urgenze di rivalutazione della funzione docente (v. Nota a commento paragrafo F., Insegnamento trasmissivo…), facilita l’ulteriore declassamento di quest’ultima previsto dalla PDL: l’asservimento di un intero corpo docente ad una ideologia è inimmaginabile nei paesi in cui la libertà di insegnamento è espressione di una coscienza democratica diffusa, e quindi viene tradotta nelle competenze culturali e professionali necessarie all’autonomia didattica (prevista invano dalla legislazione scolastica italiana antecedente alla PDL  953).   

 

2. Assume cogenza politica la evidente corrispondenza del testo attuale della PDL al concetto di "scuola libera" che la chiesa cattolica ha coniato, e che soprattutto ha ufficialmente inserito nella terna dei suoi "principi non negoziabili", vale a dire nei temi su cui reclama con la massima determinazione provvedimenti legislativi dello Stato italiano; in altri termini, il silenzio con cui la PDL è al momento protetta dagli stessi promotori può corrispondere semplicemente ad una esigenza tattica, quella di scatenare le polemiche soltanto quando stanno per diventare inutili.  

 

3. La ormai indubitabile preminenza tra le organizzazioni cattoliche di quelle a tendenze fondamentalista, che non riconoscono le competenze degli Stati e delle organizzazioni sovranazionali in materia di educazione, rende credibile il disegno della cancellazione della scuola di Stato attraverso la approvazione della PDL 953 (v. Nota a commento paragrafo D., Lo Stato è sostituibile?). Ecco una delle loro tesi: "Non è il diritto positivo, nazionale o internazionale, che fonda la centralità della persona umana nel processo educativo. È il contrario… La Dichiarazione dei diritti dell’uomo è certo un fatto di grande civiltà, ma…non può essere assunta a fondamento della dignità della persona umana: è il contrario" (Mario Mauro, Le prospettive secondo Forza Italia – Orientamenti di politica scolastica nella Casa delle Libertà, AVIO AUTONOMIE, Armando Ed., anno 4 n. 1, Gennaio-Giugno 2006).

 

4. L’assenza di progetti di riforma del sistema scolastico alternativi alla PDL 953, e le  evidenti connessioni di quest’ultima con i recenti e reiterati interventi del Presidente del Consiglio sulla scuola (condanna morale e politica di  "quegli insegnanti di sinistra che nella scuola pubblica  inculcano ideologie e valori diversi da quelli delle famiglie"), avallano anche a livello di cronaca l’ipotesi dell’imminenza del tentativo parlamentare di varare la "scuola libera", e di demolire quella statale. 

 

5. È ampia la diffusione, in ambienti politici e culturali di tradizione laica, della tendenza ad accettare –in virtù della distinzione tra laicità e laicismo, e quindi della opportunità di una "laicità non competitiva"– l’estensione negli spazi pubblici dei poteri della religione maggioritaria, non escluso l’avvento della scuola libera; il tutto nel periodo in cui la chiesa cattolica, che nel mondo è l’unica eretta a Stato come è l’ultima delle monarchie assolute,  si impone anche come il solo "grande Potere oggi in Italia, il più compatto, il più solido, il più vero" (Paolo Mereghetti, Corriere della sera del 15.4. 2011), e resta indifferente di fronte alla degenerazione dell’etica privata (di millenario e incontrastato dominio cattolico) nei rapporti con l’etica pubblica (ormai valutata ai limiti della sopravvivenza).

 

Una citazione non dimenticabile

«Quale Libertà?… I sostenitori della scuola privata rivendicano la libertà dei genitori di scegliere l’indirizzo educativo dei propri figli. La cosa ha una sua plausibilità fintanto che il bambino vive… nell’orizzonte familiare… Ma quando il ragazzo entra nell’adolescenza l’orizzonte protettivo diventa soffocante… Di quale libertà si intende parlare? Quella dell’individuo, alunno o professore che esso sia, oppure quella dell’istituzione sul cui schema l’individuo deve plasmare la propria identità? Nella scuola di Stato l’insegnante può vivere il suo interiore itinerario con serenità, alla luce del sole, come arricchimento personale e nuovo contributo di stimoli per gli alunni. In una scuola “libera” invece, se la nuova visione del mondo viene in contrasto con l’ideologia ufficiale, non potrà… intessere il dialogo culturale che stimola il cammino di maturazione. L’istituzione, minacciata nell’ortodossia, prima o poi deve ricorrere ai meccanismi di autodifesa. Inevitabile quindi la condanna… Una analoga esperienza traumatica può essere vissuta dall’alunno. Se… si piega alla pigra indifferenza o al conformismo, non avrà più senso parlare di educazione e tanto meno di libertà… L’interminabile conflitto dell’Irlanda del nord dipende anche dal sistema delle scuole private in mano alle fazioni opposte, dove l’educazione viene piegata… alla opposizione ideologica, che inevitabilmente sfocia in quella armata. Se i giovani cattolici e protestanti vivessero assieme nella stessa aula… imparerebbero… a convivere pacificamente oltre le diversità religiose e sociali. Con l’aumento della presenza degli islamici l’Italia potrebbe trovarsi di fronte a un analogo problema.»

 

Don Vittorio Mencucci, Parroco di Scapezzano, diocesi di Senigallia (An), in ADISTA, N. 27, 2 aprile 2011.