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Nuove strade per le Scienze naturali

Saluto agli amici dell'Associazione

di Pietro Omodeo


 

Pietro Omodeo
Il Prof. Pietro Omodeo

Cari amici, quando vengo a Pisa ricordo tante persone con le quali ho contratto un debito molto, molto grande: sono coloro che mi hanno insegnato come studiare; ne citerò soltanto alcuni. Il primo è Umberto D’Ancona che, a noi giovani matricole provenienti dal liceo - siamo nel ‘36 - poneva problemi nuovi quali la struttura delle proteine, la contrazione muscolare e l'evoluzione, preparandosi sulle pubblicazioni più attuali ed avanzate. Un altro maestro per me importante è stato Remo De Fazi, che ci ha fatto entrare così dentro alla chimica organica da permetterci di affrontare e comprendere, tanto tempo dopo, i problemi della biochimica e anche della biologia molecolare. Un altro professore a cui debbo molto è stato Alberto Chiarugi, un botanico che ci ha insegnato la teoria genetica in un modo molto moderno, che ci ha aiutato a comprendere la struttura e il comportamento dei cromosomi dandoci così l'impulso per procedere nella ricerca. E potrei continuare ancora ricordando il professore di fisica, Luigi Puccianti, che era tra l'altro il maestro di Fermi, e con il quale sostenni l’ultimo esame, che avrei potuto fare meglio, ma ormai ero vestito da militare e mi toccava incominciare la mia guerra, non quella che avrei voluto, ma quella che ho dovuto sopportare.

Bene, questa giornata, nella quale ho sentito tante lodi - troppe lodi - nei miei riguardi, mi suscita ancora tanti altri ricordi che mi porterebbero a parlare su molte cose che ho fatto, tanto lavoro in tanti anni. Non voglio essere sopraffatto dai ricordi e incorrere in divagazioni fuori luogo, comincio quindi a leggere una brevissima conclusione di tanti anni di studio.
Avendo insegnato Biologia per alcuni decenni mi si è presentato a più riprese il problema del definire l'oggetto della disciplina, cioè l'insieme dei viventi. Mi sembra più opportuno parlare di esseri viventi piuttosto che di vita perché il termine astratto è ricco di pathos che può deformare la chiarezza delle idee. Di vita se ne può parlare in un secondo momento quando si è giunti a comprendere quale sia l'insieme delle caratteristiche comuni agli esseri viventi: non è un lavoro facile. Comunque per comprendere quali siano queste caratteristiche non basta frugare nella propria mente, occorre ripercorrere la storia della disciplina.
Ma forse basta prendere in considerazione le tappe, le tappe più interessanti di questa lunghissima avventura, quella di comprendere quali sono le caratteristiche proprie di tutti gli esseri viventi.
Risulta evidente che dal '500 fino all'800 gli studiosi erano tutti d'accordo che ogni organismo vivente fosse attraversato da un continuo flusso di energia e di materia. Per gli organismi fotoautotrofi l'energia è quella solare, la materia è quella fornita dall'ambiente circostante dove affondano le radici delle piante; per organismi eterotrofi il flusso di materia ed energia è unico e proviene direttamente o indirettamente dagli organismi autotrofi. A questo punto mi piace citare - ci ritornerò ancora - il canto 25 del Purgatorio di Dante, in cui si legge:


[...]
guarda il calor del sol che si fa vino,
giunto a l'umor che della vite cola.


Ove è letteralmente compreso e poeticamente esposto questo fluire dell'energia e della materia.
I fisiologi di provenienza varia, botanica, zoologica e medica, hanno poi stabilito, verso la fine dell'800, come avvengono questi flussi, come avviene l'assimilazione intesa nel senso originario del termine: ciò che è estraneo a me, il cibo, diviene materia assimilata, cioè diventa simile a me stesso.
Alla fine del secolo furono parecchi gli studiosi che si accorsero che al flusso di materia e al flusso di energia mancava ancora qualcosa per descrivere, per comprendere a fondo, che cos'è un vivente. Questo qualcosa, secondo i grandi fisiologi Claude Bernard e Walter Cannon, era che non basta descrivere il passaggio di un flusso, ma occorre chiarire come esso sia controllato attimo per attimo, momento per momento. Tale controllo, o “omeostasi”, se vogliamo usare il termine coniato da Cannon appunto, è la chiave per comprendere a fondo il funzionamento del vivente.
Devo aggiungere che per Claude Bernard mancava ancora qualcosa, qualcosa che governava l'individuo nel suo divenire, ed anche nel suo quotidiano agire, nel suo rispondere agli stimoli esterni. Questo qualcosa è stato poi chiamato “informazione”. Purtroppo gli studiosi non sono andati oltre e non hanno scavato nella realtà, si sono limitati ad utilizzare la parola.
Occorre quindi approfondire che cosa ciò rappresenti: se accettiamo che il vivente è sede anche di un flusso di informazione raggiungiamo una visione molto più definita, molto più ricca, e ci avviciniamo ad un completo intendimento del fatto che un essere vivente è sede di un flusso controllato di energia, di materia e di informazione; quando questo flusso si esaurisce non c'è più vita.

Vorrei quindi concludere con Dante, con Dante Alighieri; siamo sempre nel 25° canto del Purgatorio, dove Stazio, su richiesta di Virgilio così parla a Dante:

 

Quando Làchesis non ha più del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l'umano e 'l divino:
l'altre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto più che prima agute.
Sanza restarsi, per sé stessa cade
mirabilmente a l'una de le rive;
quivi conosce prima le sue strade. (*)

 

Di recente su questo grande tema ci sono state discussioni, alcune improvvide, altre indegne: bastava rileggere il Padre Dante per sapere quando si è vivi e quando si è morti.
Grazie

Pietro Omodeo

Pietro Omodeo e il suo gatto

 

 

 

(*) “... Quando l'anima esce dall'involucro corporeo, le facoltà organiche relative all'umano composto, quelle cioè della vita materiale o del senso, spente in quanto all'atto, sussistono ancora nell'anima solo in potenza; il contrario avviene delle facoltà sue intellettuali, parte divina dell'uomo, le quali, libere dagli impacci della materia, si fanno più vivacemente e pienamente attive. Tutta l'anima, ad ogni modo, cade immediatamente all'una delle rive, cioè o presso l'Acheronte o alla foce del Tevere.” Dante Alighieri - La Divina commedia, Purgatorio c. XXV, vv 79 - 87. Testo critico della Società dantesca italiana riveduto col commento scartazziniano rifatto da Giuseppe Vandelli Ed. U. Hoepli, Milano, 1965.