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Una Beroe

Una Beroe (?)

di Luciana Bussotti


17 agosto 2011: primo giorno di mare! Colpevolmente, perché il daffare, vero, non giustifica un’estate senza voglia di prendere asciugamano e borsa, maschera e crema protettiva e farsi quell’oretta o due di mare, visto che abito a Livorno. Ma tant’è! Oggi fa caldo, ma sul mare soffia un piacevolissimo venticello rinfrescante.

Panchina - Livorno Accademia navale
Panchina - Livorno Accademia navale

Il luogo, gli Scogli dell’Accademia: una piattaforma di panchina che si protende nel mare dalla strada per qualche decina  di metri. La panchina è erosa in numerose buche di varia forma e grandezza, via via più profonde più ci si allontana dalla riva.

 

Queste pozze, isolate o in continuità con il mare a seconda della marea, rappresentano dei miniambienti interessanti e anche molto studiati dai biologi marini, popolati da alghe e animali diversi a seconda della distanza dal mare aperto, dal periodo e dall’andamento climatico dell’anno. Come dire: non sai mai cosa ci trovi. Perché il massimo del divertimento, per me, è passarle e ripassarle per osservarne i popolamenti algali e andare a caccia di possibili prede. Ben inteso, o prede morte, come conchiglie disabitate e chele di favolli, o prede fotografiche (ricordate la colonia di Briozoi, uno degli oggetti misteriosi di Naturalmentescienza? Riuscimmo a fotografarli all’interno di una pozza della panchina, davanti alla Terrazza Mascagni).

Negli anni passati raccoglievo anche le alghe per esaminarle al microscopio e osservare i piccoli oraganismi che abitano le loro “fronde” (per riportare il tutto indietro il giorno dopo). Oggi niente; non avrei il tempo per l’osservazione pomeridiana. Passata l’ora d’aria (e di sole, visto che è il primo giorno) si torna indietro ed ecco l’incontro ravvicinato: appena sotto il pelo dell’acqua, alta una decina di centimetri, galleggia una “medusina” che non è rosa, come le piccole Pelagia noctiluca, ma soprattutto non mostra tentacoli: infatti medusa non è. Il corpo è come un sacchettino ovoidale, appena color beige quasi trasparente, lungo 4 centimetri circa. Lo riconosco: probabilmente è una Beroe, sicuramente è uno Ctenoforo suo parente, una specie comunque priva dei due lunghi tentacoli (innocui per altro, meglio ribadire). Proviamo con la macchina fotografica, ma è troppo poco visibile, dello stesso colore del fondo e soprattutto si muove attivamente. La perdiamo di vista; ce ne andiamo augurandole buona fortuna, quella di non rimanere intrappolata nelle pozze durante la bassa marea; proseguiamo e ne incontriamo una seconda un po’ più grande della prima. Abbiamo potuto solo osservare come fosse in grado (in virtù delle 8 fila di pettinini) di spostarsi attivamente anche contro corrente.

Ho una gran passione per gli Ctenofori, tra l'altro bioluminescenti; quando frequentavo il vecchio Acquario Comunale della città ho visto delle Beroe nelle vasche, ma in mare mai, nemmeno con maschera e cannello. Oggi due di loro hanno voluto rendere più bello il mio primo giorno di mare dell’anno. 

 

PS Un amico che frequenta il nostro mare per tutta l’estate e oltre, mi ha poi detto che quest’anno ci sono state fortunatamente poche meduse, ma tanti altri animalini trasparenti…. E’ stata la volta degli Ctenofori, almeno nelle acque di Livorno.
Uno dei miei incontri “mancati”: non ho mai visto dal vero un Cinto di Venere, anche quando passavo delle ore in barca in mare aperto. Però lo “raccontavo a scuola” (il Cinto di Venere va spiegato, per quel suo sviluppo che lo fa crescere quasi in una sola direzione, e quindi - esageriamo- in due sole dimensioni: un animale quasi buono per Flatlandia), ma anche raccontato per la sua bellezza estetica, pari almeno alla bellezza biologica - o sono la stessa cosa? -; ed un giorno, quando l’alunno velista mi ha detto di averne visto uno, i suoi occhi e la sua voce erano proprio come speravo, sognavo (ogni tanto, in almeno qualcuno dei moltissimi): tali da farmi ritrovare, riflessi in quello specchio speciale, il mio stesso stupore e il mio stesso piacere per un incontro ravvicinato del mio tipo.
 

PPS Un po’ meno piacevole. Leggo in internet che questa estate c’è stata un’invasione di Ctenofori alieni nel Mediterraneo, una popolazione alloctona, ritrovata anche presso le coste del Mar Ligure. Che c’è di male, se sono innocui? Restano comunque belli, un bell’incontro. Purtroppo se il mio ctenoforo è una specie aliena (potrebbe essere Mnemiopsis leidyi), non è proprio quella che si chiama bella notizia; infatti anche questi organismi si nutrono di plancton, che sottraggono alle specie autoctone, e soprattutto, fanno stragi di uova di pesci, con grande danno per l’ittiofauna. Come se il Mediterraneo ne avesse bisogno! Dalla foto che abbbiamo linkato non sembra essere la specie osservata.

 

Un po’ di Zoologia


Il Phylum Ctenophora è costituito da organismi marini (poche specie di acque salmastre), con corpo gelatinoso e trasparente, per lo più pelagici, di dimensioni variabili da pochi cm al metro e mezzo. La principale caratteristica è la loro simmetria di tipo bilaterale doppio (con abbassamento del grado di simmetria rispetto ai “vicini” Celenterati, ad organizzazione radiale): il corpo presenta due piani di simmetria, longitudinali e ortogonali tra loro, che non dividono il corpo in 4 quarti uguali: le due metà “uguali”* rispetto a un piano, non sono uguali a quelle dell’altro piano. L’apertura boccale si trova in posizione opposta a quella di un organo sensoriale, per cui si distinguono un polo orale, tenuto generalmente verso il basso, ed uno apicale, portato per lo più, nel movimento, in avanti. Sono organismi triblastici, costituiti quindi da tre foglietti embrionali, ecto-endo-e mesoderma, da cui originano le strutture corporee. Per questo sembrano rappresentare un passo avanti nell’evoluzione rispetto ai Celenterati. Esternamente il corpo è percorso in senso meridiano da 8 bande di palette oscillanti, ciascuna delle quali risulta formata da ciglia agglutinate vibratili. Ogni serie di palette rassomiglia ad un pettine, da cui il nome Ctenofori (portatori di pettini). Le vibrazioni coordinate delle ciglia imprimono al corpo dell’animale una spinta, determinandone la locomozione, coordinata da cordoni nervosi che si diramano dal centro nervoso apicale (organo apicale). Il sistema digerente è a fondo cieco (organismi aprocti), quindi con un’unica apertura, la bocca, attraverso la quale avviene l’assunzione di cibo, l’espulsione dei cataboliti solidi e delle cellule riproduttive.I canali alimentari si diramano seguendo i piani di simmetria. Non è presente apparato respiratorio né circolatorio (diffusione delle molecole attraverso i tessuti); due piccoli canali che sboccano apicalmente pare assolvano alla funzione escretoria.

Gli Ctenofori sono ermafroditi; sempre solitari, mai organizzati in colonie per mancanza di riproduzione vegetativa. Si alimentano di plancton che seguono nei loro spstamenti giornalieri e stagionali; alcune specie sono parassite.

 

La presenza o meno di tentacoli contraddistingue le due Classi in cui sono divisi gli Ctenofori: la Classe dei Tentacolati ne possiede due, spesso lunghissimi, talvolta pennati, forniti di cellule agglutinanti, i colloblasti, con cui vengono catturate le prede; questi organi sono in parte alloggiati in tasche tentacolari simmetriche. Talora i principali mancano e sono sostituiti da piccoli tentacoli secondari con disposizione diversa. Le specie appartenenti alla Classe dei Nudi ne sono sprovviste; comune rappresentante mediterraneo di questa Classe è Beroe ovata, bioluminescente. La forma più comune degli Ctenofori è ovoidale-sferoidale o a “pera rovesciata”. Ma questo piano organizzativo generale è modulato in tante varietà, anche assai discordanti dal disegno base, derivato dai primi stadi embrionali. Infatti alcune specie sono compresse secondo l’uno o l’altro piano di simmetria: il “magnifico Cinto di Venere” (il noto Cestus Veneris, così definito da Giuseppe Colosi), dal corpo nastriforme, ha 4 serie di palette appena accennate e le altre 4 lunghe quanto l’intero corpo (fino a un metro e mezzo). Altre invece sono appiattite secondo l’asse apicale-orale (generi Ctenoplana e Coeloplana), specie bentoniche striscianti. 

 
E ora un po’ di storia della scienza o meglio di storia dell’interpretazione filogenetica tra i vari Phyla animali.
“Ai miei tempi” (devo per forza dire così) l’aspetto appiattito dei Plactictenoidi, rammentati prima, faceva interpretare questo Ordine degli Ctenofori sulla linea evolutiva direttamente portante ai Platelminti, quasi un fermo immagine evolutivo, un similare di un certo anello - mancante? -, per spiegare l’origine di un altro Phylum. Ora sappiamo che quelle considerazioni erano ben lontane dal descrivere una storia reale dell’evoluzione; sappiamo ragionare piuttosto in termini di convergenze evolutive: la stessa pressione selettiva, condividendo alcune specie habitat simili, indurrebbe il raggiungimento di forme analoghe, funzionali, ma non con diretta derivazione (nemmeno da un presunto “antenato comune”). In parole crude: i Platelminti non derivano necessariamente da Ctenofori appiattiti, come Ctenoplana, ecc. (Ma il bello è esserci, quando sorgono ragionamenti nuovi, nuove teorie, e partecipare delle nuove conoscenze).
 

 

(*) Vogliamo ricordare che “simmetricamente uguale” è un’immagine leggermente diversa se riguarda la geometria oppure la biologia e la cristallografia (tra un concetto astratto e il comportamento della Natura, ci corre).


Luciana Bussotti