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Adriana Fiorentini: un insegnamento di metodo da una signora della scienza

 

 


Adriana Fiorentini: un insegnamento di metodo da una signora 
della scienza

 

Marco Piccolino ©

 

Non c’è forse nessuno tra quelli che hanno conosciuto Adriana Fiorentini, nelle diverse dimensioni della sua vita, di scienziata o meglio di “signora” della visione, di impareggiabile insegnante e speaker di primo livello in convegni internazionali (o anche in occasioni meno risonanti), capace di spiegare con parole semplici e con ragionamenti lucidi e rigorosi le moderne conquiste delle neuroscienze visive, o come maestra di giovani e meno giovani studiosi, e poi su un versante diverso di donna di fede impegnata in attività sociali e culturali con una passione che le veniva dalla lontana frequentazione della comunità che a Firenze nella parrocchia di San Procolo si riuniva attorno a Giorgio La Pira e alla sua “mensa dei poveri”, non c’è nessuno dicevo che non provi ancora la nostalgia e il rimpianto per Adriana, per questa donna elegante e raffinata, discreta ma sempre pronta a offrire un aiuto o un consiglio a chi aveva la fortuna di incontrarla nel percorso della sua vita.

Adriana ci ha lasciati quattro anni fa, il 29 di febbraio del 2016, ma il ricordo di lei è forte in chi tra di noi l’ha conosciuta direttamente, e – in particolare – in chi ha trascorso vicino a lei anni importanti della propria vita, di ricerca o di impegno sociale. Il rimpianto si fa a volte particolarmente acuto e riaffiorano allora ricordi, occasioni, momenti particolari che ce la fanno rivivere accanto. Per quanto mi riguarda, le vicende della vita accademica mi hanno allontanato da Adriana, in particolare negli ultimi venti anni della sua esistenza, ma sento in modo particolare il dovere di ricordarla, e in effetti il rimorso di non averla ricordata abbastanza. Sì perché, a dispetto dei molti che hanno scritto su di lei, sia in Italia che all’estero, sottolineando l’importanza dei suoi studi, in particolare le sue prime ricerche sul fenomeno visivo conosciuto come bande di Mach, e poi gli studi di neurofisiologia visiva condotti a Pisa nelle istituzioni del CNR, e tra questi in particolare quelli sullo sviluppo della visione nei bambini, io mi rendo conto che sulla vita scientifica di Adriana, c’è ancora tanto da scrivere. E che sono forse io, che da anni mi interesso prevalentemente di storia della scienza, ad avere per così dire il dovere “morale” di scrivere su di lei.

Grazie soprattutto alla disponibilità delle colleghe che sono state vicine ad Adriana nel laboratorio del CNR fino agli ultimi anni della sua vita (Nicoletta Berardi, Lucia Galli-Resta, Concetta Morrone ed Enrica Strettoi), ho avuto la fortuna di accedere alle carte di Adriana, e la loro lettura mi ha convinto dell’importanza di ricostruire lo sviluppo della sua attività scientifica fin dagli anni di Firenze, luogo in cui ha conseguito la laurea in Fisica nel 1948 e in cui ha iniziato la sua attività di ricerca nell’ambito dell’ottica e della psicofisica all’Istituto Nazionale di Ottica di Arcetri. 

 

Verbale dell'esame di Astronomia 

Nella foto il verbale dell’esame di Astronomia che Adriana sostenne il 28 gennaio 1948 con la commissione presieduta da Giorgio Abetti, un illustre studioso che era allora anche direttore dell’Osservatorio di Arcetri. Abetti fu anche il relatore della tesi di laurea che Adriana discusse il 30 ottobre 1948. L’interesse per la visione di Adriana ha la sua origine dalle sue prime ricerche in ambito astronomico, e fu stimolato soprattutto dal Prof. Giuliano Toraldo di Francia. (© Università di Firenze)

 

 

 

Più volte ho pensato di impegnarmi in questo sforzo di ricostruzione storica, e non solo per l’affetto e la riconoscenza che ho per Adriana, ma anche per l’importanza di una ricerca, che permetterebbe di seguire una delle linee importanti dello sviluppo della fisiologia visiva nella seconda metà del Novecento; quella che - a partire dagli studi di psicofisica condotti ancora con le metodiche ottocentesche, ampiamente soggettive, di Ernst Heinrich Fechner, di Gustav Theodor Weber e di Ernest Mach giunge alla neurofisiologia visiva moderna, basata sull’uso di microelettrodi e di approcci computazionali nuovi, passando attraverso l’impiego dell’elettroretinogramma (tecnica anch’essa di lontane ascendenze ottocentesche).

 

Ricostruire in modo esauriente il percorso scientifico di Adriana richiede però molto impegno e molto tempo, ed è anche difficile perché le sue ricerche soprattutto nella fase iniziale si avvalgono di metodiche matematico-fisiche abbastanza complesse e non facili da seguire per uno come me, laureato in medicina. Varie volte ho pensato di scrivere un libro su Adriana e subito ho desistito rinviando l’opera a occasioni future. Non ho certo il tempo di farlo ora, eppure sento la necessità di ricordare Adriana in un modo diverso da come è stato fatto sinora. Lo faccio andando a scavare nei suoi scritti poco esplorati, in uno in particolare che mette in luce una delle doti più evidenti di Adriana: la cristallina chiarezza di esposizione che risaltava dalle sue lezioni e dalle sue conferenze, e che era frutto di una grande lucidità di pensiero e soprattutto di una grande serietà nello studio e nell’approfondimento dei temi che si trovava a trattare.

  

Adriana mentre tiene una lezione ad Arcetri negli anni ’50 del Novecento. (© Vanna Bartoli) 

Lo faccio con riferimento a un’immagine di lei che ho avuto insieme a molte altre dalla sua gentile nipote, Vanna Bartoli. Adriana è ritratta mentre tiene una lezione ai suoi studenti del corso di Ottica dell’Istituto di Arcetri. E’ giovane, ha forse meno di trent’anni, e la sua espressione è caratteristica. Il tema della lezione è quello della visione dei colori. Chi abbia avuto la fortuna di ascoltarla, anche in epoche meno lontane, spiegare le complessità di questo avvincente problema di fisiologia visiva, potrà avere un’idea, da una parte di quanto i suoi allievi dovessero essere incantati dalle sue spiegazioni, e dall’altra forse cogliere un indizio al suo un po’ misterioso sorriso (è bello insegnare qualcosa che si ama e che si è studiato con passione!).

 

E’ difficile rievocare lo straordinario fascino delle lezioni di Adriana senza ascoltare di persona le sue parole scandite con chiarezza e senza alcun ornamenti retorico. Ricorro dunque al testo trovato tra le carte di Adriana, che esemplifica la sua capacità didattica nella versione dello scritto invece che dell’espressione orale. Pubblicato nel 1953 negli Atti della Fondazione G. Ronchi, e intitolato Vetro e cristallo, riguarda come dice il titolo la distinzione tra i concetti espressi da queste parole “di uso così comune - dice Adriana subito all’inizio - che nessuno metterebbe in dubbio di conoscerne esattamente il significato. Che tuttavia esse si prestino a degli equivoci lo dimostra proprio l'uso che fa di esse, e specialmente della seconda, la maggior parte delle persone. I bicchieri di Boemia, i vasi di Murano sono per chi li vende e per chi li possiede di ‘cristallo’, quasi che questa parola più sonora che non l'altra usurpata ‘vetro’ richiami alla mente di chi l’adopra il tintinnio più argentino è l'aspetto più fragile ed elegante di questi oggetti di pregio”. In effetti cristalli di Boemia e i vasi di Murano sono fatti di null’altro che di vetro, le cui speciali caratteristiche sono dovute alla presenza di un metallo, il piombo, all’interno della loro compagine molecolare.

 

Che Adriana parta dall’uso comune di un concetto per poi sovvertirne il significato con il ragionamento scientifico richiama il metodo didattico di Galileo, uno dei riferimenti fondamentali per lei, cattolica impegnata, ma pensatrice decisamente libera e laica come il grande pisano (pensate al movimento che continua indefinito in assenza di una forza, e al moto uguale di una piuma o di una palla di piombo che cadano nel vuoto).

Molti di noi con una certa conoscenza della scienza sanno che il vetro è come si è sentito dire più volte uno strano liquido o un colloide, e quindi non un cristallo, termine della fisico-chimica riservato alle strutture stabili che caratterizzano lo stato solido. Pochi però, a parte gli addetti ai lavori, sono andati oltre per cercare di capire come possa essere liquido un materiale che come il vetro ha le caratteristiche di durezza e di solidità (seppur fragile) normalmente proprie dello stato solido tipico dei cristalli veri. Cioè di quei corpi - Adriana specifica poi per non lasciare nulla all’approssimazione del linguaggio comune - “le cui particelle elementari (atomi, ioni) occupano posizioni fisse nello spazio secondo determinate leggi di simmetria, posizioni che si possono pensare come i vertici di un reticolo tridimensionale”.

Per spiegare poi il mistero del vetro “liquido-solido”, Adriana espone le conoscenze scientifiche sul passaggio di stato tra liquido e solido, facendo ricorso alle ricerche allora più recenti, e soffermandosi in particolare sul fenomeno del cosiddetto “sottoraffreddamento”, cioè di quella situazione di solito instabile in cui viene a trovarsi un liquido raffreddato in modo relativamente rapido al di sotto del “punto di fusione”.

Pur non esitando a menzionare le opinioni diverse riguardo al fenomeno, Adriana espone con grande chiarezza gli aspetti fondamentali dei processi che impediscono alle particelle del vetro di assumere la conformazione tipica dei veri cristalli. Come si sa, con il raffreddamento diminuisce l’agitazione termica delle particelle, e questo se da una parte favorisce la transizione verso lo stato cristallino, può avere esiti diversi per certi materiali la cui struttura è caratterizzata “da un poliedro costituito da un ione positivo di forte carica e di piccolo numero atomico, circondato da ioni ossigeno”. Vi possono essere configurazioni diverse di questi poliedri: “ad esempio si può avere un tetraedro formato da quattro ioni di ossigeno, al cui centro si trova un ione Si4+. Oppure un triangolo di tre ioni ossigeno che circondano un ione B3+, e così via. Questi elementi strutturali possono raggrupparsi in maniere diverse per dar luogo a diversi tipi di reticoli cristallini. Ciò dipende dal numero di ioni con cui è legato ogni ione negativo, in definitiva quindi dipende dalla carica del ione positivo”.

Facendo ampio ricorso a immagini, Adriana passa poi a considerare le configurazioni delle particelle costitutive di questi materiali nello stato liquido, mettendo in evidenza come, a seconda della loro composizione elementare, le strutture tridimensionali in questo stato possono avere stabilità diversa. Nel prosieguo approfondisce il discorso considerando le varie teorie dell’epoca sulla vetrificazione, e in particolare analizza il ruolo degli ioni ossigeno che vengono a trovarsi in posizione diversa nei poliedri delle strutture elementari, e discute il ruolo che possono avere, nel processo, ioni metallici indicati come “modificatori”. Sono questi ultimi - come accade per il piombo per i cristalli di Boemia - a dare ad alcuni vetri la brillantezza e trasparenza che caratterizzano il “cristallo” apparente del vasellame di pregio.

Non seguiamo oltre le spiegazioni di Adriana, che pur nella loro chiarezza fanno risaltare (come di solito avviene nella scienza) la complessità dei fenomeni studiati. Ci limitiamo a riprendere un passaggio nella parte conclusiva dell’articolo: “A questo punto ci si potrebbe domandare: ma allora cos'è il vetro? Un solido a struttura interna priva di simmetria, un corpo a reticolo rigido irregolare, una sostanza le cui particelle sono soggette a dei legami misti, un particolare tipo di polimero? Certamente tutte queste proprietà contribuiscono all'attuale concezione della struttura del vetro, e forse altre ne verranno messe in luce a completare la fisionomia di questa complessa sostanza. Per ora sembra difficile riassumere tutti in una chiara ed esauriente definizione di vetro come è difficile scegliere tra le diverse proposte da numerosi autori”.

Dalla lettura dell’articolo di Adriana impariamo molto della differenza tra “vetri” e “cristalli”, ma impariamo soprattutto quanto sia difficile categorizzare il reale e inscriverlo nell’ambito di concezioni semplici e incontrovertibili.

Si potrebbe dire con Socrate che la scienza ci insegna socraticamente di non sapere.

Ancora più pertinente è però il riferimento a Galileo il quale sottolineava la straordinaria “ricchezza della natura nel produr suoi effetti con maniere inescogitabili da noi”, e, in una famosa favola inserita nel Saggiatore (un libro caro ad Adriana,) parlava di “un uomo dotato da natura d’uno ingegno perspicacissimo e d’una curiosità straordinaria” che si mette in viaggio per cercare di capire i molti modi in cui in natura si generano i suoni, da quello “delicato” dello zufolo fino all’“altissimo stridore” della cicala, e - incapace alla fine di capire il meccanismo di produzione dello stridio di questi insetti - “si ridusse a tanta diffidenza del suo sapere, che domandato come si generavano i suoni, generosamente rispondeva di sapere alcuni modi, ma che teneva per fermo potervene essere cento altri incogniti ed inopinabili”.

Nella sua attitudine galileiana, con il suo prezioso testo su vetro e cristallo Adriana ci ricorda come la scienza rifugga da conclusioni certe, e che sia da assimilare a un cammino in divenire piuttosto che a un arrivo sicuro. Ma questo lungi dal rappresentare la debolezza è in effetti una delle forze della conoscenza scientifica; e dovrebbe servirci - al di là del tecnicismo scientifico in senso proprio – come lezione etica utile a proteggerci dai dogmatismi e dalle certezze troppo facilmente manipolabili.

 

 

Una delle immagini utilizzate da Adriana per spiegare la particolare natura del processo di vetrificazione.

Ringraziamenti

 

Ringrazio Giovanni Bottaro, un caro amico molto affezionato al ricordo di Adriana, che mi ha segnalato l’anniversario della sua scomparsa, e  Vanna Bartoli, la nipote di Adriana, per le belle immagini della zia che mi ha inviato. Ringrazio inoltre la dottoressa Fioranna Salvadori per l’aiuto che mi ha dato nel reperire la documentazione relativa ad Adriana nell’Archivio storico dell’Università di Firenze, e il dottor Ronco per i documenti relativi ad Adriana presenti nell’Archivio storico dell’Università di Pisa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

Berardi N., Morrone M. C., Spinelli D. (2016) Professor Adriana Fiorentini:1/11/1926– 29/2/2016.  i-Perception, May-June 2016, 1–3 DOI: 10.1177/2041669516653543 (e anche al sito: http://www.pisavisionlab.org/pdf/Adriana.pdf

 

Fiorentini A. (1953) Vetro e cristallo. Atti della fondazione Giorgio Ronchi, 8 (4) 1-10 

 

Fossetti A. (2016) La professoressa Adriana Fiorentini ci ha lasciatihttps://www.irsoo.it/contenuti/07-03-2016---la-professoressa-adriana-fiorentini-ci-ha-lasciati/889

 

Meucci, G. (a cura di) Adriana Fiorentini a Pisa 1968-2016. La bellezza di un cammino tra scienza e fede.  Pisa: Pacini Editore),

 

Piccolino, M. (2016) Adriana: Signora della Visionehttp://marcopiccolino.org/sample-page/adriana/

 

Spillmann L (2016) Adriana Fiorentini: Eminent Vision