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Quei colpi di tosse...

 

Bacilli di Koch (fucsia) in tessuto (blu), colorazione di Ziehl-Neelsen

Appunti per una storia del mal di petto

 

Quei colpi di tosse...

 

Luciano Luciani

 

 

Fin dalla notte dei tempi

L’umanità convive con la tubercolosi fin dalla notte dei tempi. Come ha dimostrato la paleopatologia, questa malattia infettiva ha ucciso tanto i nostri progenitori cacciatori dell’età della pietra, quanto i faraoni dell’antico Egitto e i loro familiari. Per Erodoto erano proprio gli egiziani il popolo più immune da tale malanno, in modo particolare quelli rivolti verso i territori libici, perché in queste aree “mai non si variano i piacevoli venticelli”. Agli ammalati di mal di petto Aulo Cornelio Celso consigliava lunghi viaggi per mare: “se si tratta di vera tisi è necessario con prontezza combatterla sin dal principio, perché questa malattia, quando è inveterata, non è facile vincerla. È quindi necessario, permettendolo le forze, navigare a lungo, mutare aria, cercandone una più grossa di quella da cui proviene il malato: vanno benissimo i viaggi dall’Italia ad Alessandria”. Plinio non si limitava a raccomandare ai tisici lunghi viaggi per mare, ma vi aggiungeva anche soggiorni in prossimità di luoghi che godevano della presenza di folte foreste resinose. Claudio Galeno non assegnava particolare importanze a medicine specifiche nel contrasto della malattia, che riteneva quasi inguaribile; consigliava, invece, lunghi viaggi per mare.

 

Favorita dalle condizioni igieniche precarie, dalla cattiva alimentazione, dai lavori faticosi, la tubercolosi trovò più tardi nelle società medievali le condizioni più favorevoli per la sua diffusione. Il bolognese Taddeo d’Alderotto, una delle figure più significative della scienza medica italiana del XIII secolo, così la descrive e tenta di spiegarne sommariamente l’origine: “il catarro che discende dal cerebro nel petto lo ferisce e lo riempie tanto che non si può sputarlo e si diventa tisici”.  

Nella Firenze della prima metà del XV secolo le malattie polmonari e il catarro, definizioni generiche che indicano presumibilmente il mal di petto, determinano la morte di 80 fiorentini su 4650, soprattutto donne, soprattutto giovani. Una percentuale altissima. Tosse secca, perdita di peso e sensazione di stanchezza, emottisi, narici affilate, colorito livido, rossore dei pomelli, febbre non troppo elevata, di solito serotina e accompagnata da brividi e sudorazioni: fin dall’antichità greco-romana è stata precisa e dettagliata la descrizione dei sintomi e dell’aspetto del malato. Incerta, invece, l’eziologia della malattia, contrastata nel corso dei secoli facendo ricorso a una estrema varietà di rimedi, rivelatisi di volta in volta tutti inutili: salassi, purghe, moto e/o riposo, corse a cavallo, sanatori in montagna e soggiorni al mare, creosoto, olio di fegato di merluzzo, arsenico, interruzioni del nervo frenico, operazioni al torace, immissione di aria nei polmoni o nell’addome, piombature di paraffina...

 

La tubercolosi prima e dopo il dottor Koch

Nell’Ottocento sotto il nome di tisi, mal sottile, o mal di petto, la tubercolosi costituì il male del secolo, portando a morte tra gli altri letterati come come Alfred de Musset, forse Giacomo Leopardi, di sicuro il toscano Giuseppe Giusti. Muoiono di tisi l’inglese Keats, le sorelle Bronte, Elisabeth Barret, Katherine Mansfield. Più fortunato, invece, il poeta e letterato tedesco Wolfgang Goethe, dato per spacciato a causa della Tbc appena uscito dall’adolescenza, visse invece fino a 83 anni! Pagano, poi, il loro prezzo a questa malattia musicisti come Chopin, Mozart, Pergolesi, Grieg, Catalani, un’attrice come Eleonora Duse per limitarci solo ai più famosi.

Malattia romantica per eccellenza si alimentava oltre che dei vecchi guasti sociali anche di quelli della recente rivoluzione industriale: l’urbanesimo e i suoi mali, lo sfruttamento in fabbrica della classe operaia, gli orari di lavoro interminabili, le donne e fanciulli schiavizzati giorno e notte alla macchina in ambienti insalubri. La natura esatta della Tbc rimase sconosciuta fino a quando Robert Koch, un medico tedesco, attraverso un percorso di ricerca durato qualche anno, riuscì ad isolarne il bacillo, Mycobacterium tubercolosis, detto appunto “bacillo di Koch”. Modesto medico condotto, ma laureatosi presso la prestigiosa università di Berlino, Koch era partito nella sua indagine da un’epidemia di carbonchio, che nel 1876 aveva colpito la Slesia. Individuato nella milza dei bovini infetti il batterio specifico che causava il carbonchio, riuscì a trasferirlo nelle cavie, trasportando l’infezione da topo a topo e recuperando alla fine gli stessi bacilli. Il medico tedesco apprese a coltivare i batteri all’esterno dell’organismo vivente, usando siero di sangue a temperatura corporea e quindi imparò a fare uso di mezzi solidi: gelatina o un carboidrato complesso chiamato agar agar, estratto dalle alghe marine. I batteri coltivati in questi ambienti perdevano in mobilità e, se si trovavano isolati, attraverso divisioni successive, davano origine a un gruppo di discendenti senza incrociarsi con varietà esterne. I batteri potevano poi essere trasmessi agli animali o lasciati ad avviare nuove colture con la certezza di lavorare solo con una particolare varietà. Koch, insomma, dava applicazione pratica alla teoria dei germi patogeni elaborata da Pasteur nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta del XIX secolo, dimostrando come i batteri patogeni potessero essere isolati; quindi usati per riprodurre la malattia; poi ricavati dall’animale malato, e infine utilizzati per individuare una forma di prevenzione o una cura. Alcuni anni più tardi Koch riuscì ad isolare il batterio che causava la tubercolosi: era il 1882. Koch credette di ottenere la guarigione dalla tubercolosi iniettando sotto la pelle un estratto glicerolato di colture tubercolari riscaldate, che fu da lui chiamato tubercolina e dall’opinione pubblica linfa di Koch: i risultati furono deludenti. Alla fine dell’Ottocento la tisi uccideva ancora oltre 90.000 persone l’anno nella sola Prussia, 15.000 a Parigi. Per arrivare a medicine capaci di inibire il Mycobacterium tubercolosis bisognerà attendere ancora qualche decennio. Nel 1944 negli USA S. Waksman scopre la streptomicina, un antibiotico usato nel trattamento di batteri gram-negativi e particolarmente efficace nei confronti dei micobatteri: quasi contemporaneamente in Europa si sintetizza l’acido para-amino salicilico (Pas) e nel 1951-1952 l’isoniazide (Inh).

 

Insomma, cos’è questo “mal di petto”? La tubercolosi è una malattia infettiva, provocata dal bacillo di Koch e caratterizzata dalla formazione di noduli infiammatori, detti tubercoli. La sua forma più diffusa è quella polmonare, ma il processo infettivo può focalizzarsi anche nella pelle, ossa, articolazioni, intestino, reni, vescica, apparato genitale, ghiandole linfatiche. Esistono diversi tipi del bacillo di Koch: umano, bovino e aviario. Se quest’ultimo riveste scarsa importanza per quanto riguarda la possibilità di contrarre la malattia, invece il bacillo della tubercolosi bovina è patogeno anche per la specie umana nella quale causa per lo più le forme extrapolmonari, interessando ghiandole linfatiche, reni, intestino, ossa e articolazioni. È sufficiente, però, sottoporre il latte al processo di pastorizzazione perché questo tipo di bacillo perda di virulenza come agente patogeno. I bacilli della tubercolosi penetrano nell’organismo umano attraverso quattro vie: l’apparato respiratorio, tramite l’inalazione dei bacilli presenti in goccioline o particelle infette, disseminati dai malati nel tossire, nello starnutire o con l’escreato, l’apparato digerente attraverso cibi infetti; per contatto diretto con una sorgente infettiva; più raramente per via cosiddetta transplacentare, dalla madre malata di tubercolosi al feto.