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Leggere e scrivere contro le zanzare

 

 

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Leggere e scrivere contro le zanzare

Luciano Luciani 

 

Malaria deriva da “mal aere”, termine che si trova usato per la prima volta nel 1404 dal veneziano Marco Cornaro per indicare l’aria cattiva che si formava alla foce dei fiumi: chi abitava tali plaghe conosceva un persistente stato di malessere accompagnato “da molta febre”. A Mantova, molti decessi annotati nei registri necrologici a partire dal XV secolo utilizzavano le dizioni generiche di “febri maligne”, “febre brutta”, “febre cativa” o termini più precisi come “febre terzana” o “febre quartana” ed è solo nel 1571 che malaria entra nel dizionario etimologico italiano per la sua presenza nella Idropica, commedia di un poeta ferrarese, Giovan Battista Guarini.

Nel quadro relativo alla descrizione e alla classificazione delle malattie che nel corso dei secoli hanno reso il Bel Paese un po’ meno tale, la malaria è sempre apparsa presente sin dall’antichità e in forma tenacemente endemica nelle zone paludose della penisola. Sempre imponenti le sue proporzioni che contribuivano in larga misura agli elevatissimi tassi di mortalità, soprattutto infantile, che caratterizzavano negativamente il nostro Paese.

Poco prima della faticata unità d’Italia la malaria appare ancora come un temibile flagello capace di condizionare pesantemente la vita degli uomini e l’economia. Come nella Maremma toscana: qui, secondo una stima fatta nel 1844, la percentuale dei malarici sul totale della popolazione era del 54% a Orbetello, del 59% a Grosseto, del 66% a Gavorrano, del 70% a Santa Fiora.

In alcune zone del Meridione il morbo arrivava a rappresentare tra il 20 e anche il 30% delle cause di morte: è il caso di alcune aree della Calabria come Rossano, Paola, Nicastro e di alcune zone della Sicilia come Sciacca e Piazza Armerina. Né le cose cambiarono granché all’indomani della sospirata unificazione del Paese, quando si svelò la vera realtà delle condizioni socio-economiche dell’Italia Paese che scontava secolari negligenze nel controllo dei flussi delle acque correnti e nell’imprevidente disboscamento di vaste aree collinari e montuose.

A chiamare in causa le responsabilità degli uomini e delle classi dirigenti fu Carlo Cattaneo: lo storico milanese fin dal 1863 evidenziava come la struttura del terreno, anziché essere il prodotto di circostanze transitorie e occasionali, appariva invece il risultato di uno strettissimo intreccio con le vicende storiche di lungo periodo: lo dimostravano le aree malariche dalle Maremme toscane, la Campagna romana, le inospitali terre paludose della Sardegna, il cui degrado era in buona parte dovuto alla trascuratezza e alla insipienza umane. Ancora nel 1878 il termine ‘malaria’ stava a indicare un certo tipo di febbre ricorrente caratteristica di una malattia ben definita: in un testo di Guido Baccelli, La malaria di Roma leggiamo che all’indomani di Porta Pia, nel Lazio, la malaria è un flagello che colpisce ogni anno da cinquemila a diecimila persone, specialmente nell’Agro Pontino e nell’Agro Romano.

Intanto, la scienza muoveva lenti, ma sempre più sicuri, passi in avanti, individuando non più nell’aria, ma nell’acqua il veicolo della malattia. Come è noto, solo alla fine del XIX secolo l’agente eziologico venne individuato nel plasmodium e ne furono scoperte le origini anofeliche: si cominciò così a fare definitivamente giustizia delle vecchie teorie che ne attribuivano la causa essenzialmente ai ‘miasmi palustri’, ovvero l’aria malsana che esalava dalle acque stagnanti delle paludi.

Nel 1882 l’Ufficio centrale del Senato pubblica la Carta della malaria in Italia, elaborata dopo accuratissimi studi e tenendo presenti un gran numero di osservazioni e ricerche. Secondo tale lavoro soltanto 6 province erano interamente immuni dalla malaria, 13 contenevano territori con malaria debole o grave e 21 presentavano zone colpite diversamente secondo i luoghi da malaria debole, grave o gravissima, l’ultima che allignava in zone più o meno grandi di 21 province, di cui non meno di 10 facevano parte del Mezzogiorno. Negli anni che vanno dal 1887 al 1890 la statistica delle cause di morte attribuisce alla malaria ben 68.838 vittime. Né erano migliori i Risultati dell’inchiesta istituita da Agostino Bertani sulla condizione sanitaria dei lavoratori della terra in Italia del 1890: su 8257 Comuni soltanto in 2677 la malaria era completamente ignota. Così a questa “funesta infezione" risultavano esposti il 70% di tutti gli abitanti del Regno e l’80% degli abitanti del Mezzogiorno. “Quantunque la malaria sia una malattia mondiale, l’Italia ne è una figlia purtroppo beniamina. Si calcola che il numero dei colpiti nella penisola sia di circa 2 milioni all’anno, con circa 15 mila morti. Ed è una malattia lunga, che può continuare per anni. La perdita di lavoro e di produzione e le spese necessarie per questa malattia sommano a parecchi milioni. S’aggiungono… i danni indiretti: larghe estensioni di terreno restano incolte per opera della malaria, in altre plaghe la coltivazione, sempre per colpa della malaria. è fortemente imperfetta. E dal punto di vista della solidità nazionale, sappiasi che le regioni in cui più infierisce la malattia sono tra quelle che danno il maggior tributo alla emigrazione”: così, ancora nel 1913, Alessandro Canestrini.

Forte di sempre più consolidate certezze scientifiche solo nell’ultimo trentennio del XIX secolo riuscì ad avviarsi un largo e vigoroso intervento riformatore. Per più di mezzo secolo, malaria e società italiana si fronteggeranno con alterne fortune. Una guerra che sarà vinta definitivamente solo alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso perché medici lungimiranti e un pugno di uomini politici e amministratori intelligenti compresero che la malaria era insieme causa e conseguenza dell’arretratezza e del sottosviluppo. La storia, per tanti aspetti sorprendente, di una mobilitazione che fu non solo scientifica, ma anche civile e politica e che nel secondo dopoguerra permise di sradicare la principale malattia endemica del nostro Paese, è raccontata in un documentatissimo libro di Frank M. Snowden, La conquista della malaria Una modernizzazione italiana 1900 – 1962, Einaudi, 2008: l’Autore, non ci racconta solo la storia affascinante della dura battaglia intrapresa dalle migliori intelligenze di un intero Paese, il nostro, contro la malaria, ma come questa mobilitazione rivestì un ruolo fondamentale nella promozione dei diritti delle donne, dei lavoratori e dell’alfabetizzazione su larga scala. Un testo attualissimo che sembra indicarci, in maniera esplicita, che finché non si creeranno condizioni di disponibilità di mezzi tecnici, crescita umana ed economica, stabilità politica e un minimo di giustizia sociale sarà difficile non solo sconfiggere la malaria, ma anche le altre grandi endemie del nostro tempo come la tubercolosi e l’Aids.