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Estendere la Sintesi Moderna

Estendere la Sintesi Moderna


Introduzione e traduzione di Fabio Fantini

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In un’intervista di aprile 2015 che si può ascoltare e leggere all’indirizzo Richard Dawkins è tornato a illustrare in modo chiaro e sintetico le proprie concezioni sulla vita e sull’evoluzione, centrate sul concetto di sopravvivenza differenziale dei replicatori. Edoardo Boncinelli ha commentato questa intervista nella sua rubrica su Le Scienze in due puntate consecutive nei mesi di luglio e agosto, con una sostanziale adesione al punto di vista dello scienziato inglese e con un paio di distinguo non proprio irrilevanti.

La visione della vita che Dawkins sostiene è un distillato della Sintesi Moderna, il pensiero meritatamente dominante nella biologia evolutiva della seconda metà del XX secolo. Esposta con un linguaggio semplice e brillante, la SM si mostra teoria nitida ed elegante, dotata di una potente logica interna, capace di fornire un’interpretazione rigorosa e coerente della storia della vita sulla Terra. Si tratta di qualità apprezzate dai docenti di scienze, che possono offrire agli studenti la sicurezza di un quadro unitario capace di abbracciare i campi principali della biologia, dall’evoluzione alla sistematica, dalla biologia molecolare alla fisiologia comparata, dall’etologia alla genetica.

L’eleganza e la completezza di una teoria la rendono attraente, ma non costituiscono una garanzia di inattaccabilità. Nel corso della sua ascesa pluridecennale, la SM ha via via inglobato teorie apparentemente rivali, come l’ipotesi neutralista, ha integrato al proprio interno dati sperimentali in contrasto con alcuni dei propri assunti originari, come per il modello degli equilibri intermittenti che smentisce il gradualismo dei processi evolutivi, ha elaborato spiegazioni complesse e articolate per rendere ragioni di fenomeni che sfuggirebbero alla sua logica, come nel caso delle mutazioni adattative.

Una quantità crescente di osservazioni e di dati sperimentali ha duramente messo alla prova, a partire dagli anni Novanta, la tendenza ecumenica della SM ad abbracciare eccezioni e anomalie al proprio interno. Va però ricordato una sorta di avvertimento a futura memoria che Dawkins stesso ripete da almeno due decenni e che riaffiora anche nell’intervista citata sopra. La teoria dell’evoluzione per sopravvivenza differenziale dei replicatori rende ragione dei fenomeni evolutivi nelle condizioni più restrittive possibili e dimostra che la varietà del mondo vivente può essersi originata attraverso la selezione cumulativa di mutazioni casuali. Se poi emergessero possibili scorciatoie in questo processo, molti aspetti della teoria potrebbero dovere essere rivisti, ma rimarrebbe inalterato il nucleo fondamentale dell’evoluzione per selezione naturale.

Tra i biologi evoluzionisti è ormai diffusa laconvinzione che l’ambiente non si limiti a selezionare la variabilità, ma giochi un ruolo rilevante nel determinare e modellare le variazioni. Secondo questo punto di vista, i fattori evolutivi canonici della SM, vale a dire selezione, deriva genica, mutazioni e flusso genico, sono solo una parte dei processi che guidano i fenomeni evolutivi. Nell’ottica della formulazione di una teoria più ampia, una Sintesi Estesa, per dirla con i suoi fautori, andrebbero considerati tra i fattori evolutivi anche le influenze e i vincoli del processo di sviluppo embrionale (adattamento fenotipico); la capacità dell’ambiente di modellare i caratteri degli organismi (adattamento genetico); l’ereditarietà di informazioni diverse da quelle contenute nei geni (ereditarietà epigenetica); le interazioni simbiotiche nell’olobionte (eredità simbiotica); la reciproca influenza tra l’organismo che si sviluppa e l’ambiente nel quale l’organismo vive (costruzione di nicchia).

Questi fattori, tutti fortemente legati alle influenze ambientali, sono descritti nel capitolo finale del testo di Gilbert e Epel, Ecological Developmental Biology, Sinauer Associates, 2015. La traduzione di parte di questo capitolo è acclusa come Appendice 1; nella traduzione alcuni passi sono stati sintetizzati e le descrizioni dei dati sperimentali sono state omesse. Per la consultazione completa dell’originale, in particolare delle figure, cliccando sul bottone sample content si scarica il pdf del capitolo, mentre cliccando sul bottone Table of contentes si accede all’indice dell’opera.

Accludo anche la traduzione, sintetizzata in alcuni passi, di un noto articolo comparso su Nature nell’ottobre del 2014, Does evolutionary theory need a rethink?, di Kevin Laland e altri, nel quale si confrontano le opinioni di sostenitori e critici della SE (Appendice 2).

 



 

 

 

Ecological Developmental Biology

Ecological Developmental Biology

 


APPENDICE 1

da Gilbert, Epel: Ecological Developmental Biology, Sinauer Assosciates, 2015


 

Sintesi Moderna (SM) E Sintesi Estesa (SE)

L’ambiente non si limita a selezionare la variabilità, ma aiuta a costruire e a modellare le variazioni. La disciplina eco-evo-devo mira a scoprire le regole che governano le interazioni fra l’ambiente in cui un organismo vive, i suoi geni e il suo sviluppo e a incorporare queste regole nella teoria evolutiva.

L’eco-evo-devo ha finora contribuito a sviluppare tre importani contenuti nell’ottica di una SE.

- La plasticità dello sviluppo, che è alla base di due concetti:

 _ adattamento genetico, vale a dire che i cambiamenti indotti nel fenotipo da determinate condizioni ambientali, qualora risultino adattativi per lunghi periodi di tempo, possono diventare norma genetica per la specie;

 _ costruzione della nicchia, vale a dire che l’organismo che si sviluppa può modificare il proprio ambiente sfruttando le caratteristiche di plasticità dell’habitat [1].

 _ I sistemi di eredità epigenetica, come gli epialleli formati da agenti ambientali, che sono una fonte importante di variazione per la selezione e per il processo evolutivo.

 - Le interazioni simbiotiche nel processo di sviluppo, che sottolineano l’importanza dell’evoluzione mediata dai simbionti, fino a considerare l’olobionte[2] come unità di selezione.

Nella SE i fattori ambientali sono aggiunti a quelli canonici contemplati dalla biologia evolutiva. Si tratta di fattori che precedentemente erano visti come eccezioni alle regole generali, pertanto degni solo di interesse secondario, ma ora da considerare pervasivi a tutta la natura, addirittura peculiari della vita sulla Terra.

La SE allarga gli orizzonti della SM oltre i vincoli imposti dai seguenti quattro assunti:

1. la variazione genetica degli alleli è l’unica fonte di variabilità evolutivamente rilevante – la variazione epigenetica può ugualmente essere ereditata e avere profonde conseguenze sul fenotipo, pertanto costituisce una componente importante della variazione sottoposta a selezione;

2. i genotipi individuali sono il principale bersaglio della selezione – gli organismi assomigliano piuttosto a ecosistemi, olobionti di numerosi genotipi in costante interazione; la selezione naturale agirebbe allora per favorire squadre bene affiatate piuttosto che specifici individui e tenderebbe a privilegiare come unità di selezione le relazioni;

3. l’ambiente seleziona i fenotipi ma non influenza le caratteristiche dei fenotipi – nel corso dello sviluppo, gli organismi rispondono alle condizioni ambientali alterando il fenotipo prodotto: gli agenti ambientali aiutano a generare particolari fenotipi;

4. l’ambiente è un dato di fatto e rimane invariato dall’organismo che subisce la selezione – gli organismi modellano il proprio ambiente immediato e ne sono reciprocamente modellati in modi che si adeguano alle loro caratteristiche; l’ambiente è alterato dagli organismi man mano che questi si sviluppano.

 

Eredità simbiotica

La considerazione dell’olobionte come unità di selezione si basa sul fatto che, nel corso del processo di sviluppo, le simbiosi possono risultare cruciali per diversi processi evolutivi:

- produzione di nuove varietà sottoponibili a selezione, come risultato della simbiopoiesi (reciproca influenza nello sviluppo fra ospite e simbionte), nella quale il simbionte è parte delle interazioni nello sviluppo che generano l’olobionte;

- alterazione dei genomi, impedendo o permettendo l’ampliamento delle gamme ecologiche;

- isolamento riproduttivo, favorendo il processo di speciazione;

- formazione di nuovi tipi cellulari mediante simbiogenesi, cioè l’acquisizione di nuovo materiale genetico proveniente dal simbionte nel sistema ereditario delle cellule;

- grandi transizioni evolutive, come quelle che resero possibile la comparsa della multicellularità e lo sviluppo di ecosistemi complessi.

 

Eredità epiallelica

Oltre all’eredità dei geni nucleari, di quelli mitocondriali, cloroplastici e dei simbionti, esiste l’eredità degli epialleli. Le variazioni epialleliche descritte in un ampio numero di organismi, umani inclusi, ha obbligato a ripensare i tipi di variazioni che hanno un ruolo evolutivo e anche la loro origine. Si è osservato, per esempio, che agenti ambientali possono causare alterazioni nella metilazione del dna e/o la modificazione degli istoni e che la cromatina modificata può essere trasmessa attraverso la linea germinale da una generazione alla successiva.

 

Adattamento guidato dalla plasticità

La produzione di fenotipi adattativi ereditabili può avvenire per generazione di tali fenotipi grazie alla plasticità nello sviluppo seguita dalla stabilizzazione genetica del fenotipo nel repertorio genetico per mezzo della selezione naturale. In altre parole, quello che era stato un fenotipo generato in risposta a stimoli ambientali diventerebbe un normale fenotipo a base genetica, prodotto indipendentemente dall’ambiente.

Già prima della riscoperta delle leggi di Mendel, molti scienziati erano stati colpiti dalla plasticità che contraddistingue sviluppo e comportamento di molte specie. Furono immaginati diversi modi in cui le risposte agli stimoli dell’ambiente nello sviluppo e nel comportamento potessero essere fissate geneticamente, così da rendere superfluo l’induttore ambientale per l’espressione di quei caratteri nelle generazioni successive. Questo fenomeno si sarebbe verificato se una risposta dello sviluppo a uno stimolo ambientale si fosse rivelato adattativo in tutte le situazioni che un organismo avrebbe potuto prevedibilmente incontrare. I caratteri adattativi sarebbero stati espressi attraverso i geni e le risposte sarebbero iniziate all’interno dell’organismo attraverso una interazione tra cellule, piuttosto che attraverso l’interazione tra le cellule dell’organismo e l’ambiente. In assenza, però, di una teoria sulla trasmissione dei geni a sostenere questi concetti, questa linea di pensiero rimase soltanto un’interessante speculazione.

Il concetto che uno dei morfi di un carattere fenotipico plastico indotto dall’ambiente possa diventare standard ereditario (il carattere selvatico) per una specie ha ricevuto nomi diversi, come «effetto Baldwin», «assimilazione genetica», «selezione stabilizzante», «adattamento genetico», «conduttore dell’adattabilità». In questa sede chiameremo «adattamento guidato dalla plasticità» tutti quei meccanismi grazie ai quali, attraverso la selezione, i fenotipi indotti dall’ambiente si stabilizzano nel genoma. I meccanismi proposti per spiegare l’incorporazione dei fenotipi indotti dall’ambiente nel genoma condividono numerosi punti e in particolare i due seguenti:

- inizialmente i fenotipi indotti dall’ambiente si manifestano in una popolazione;

- i fenotipi maggiormente adattativi sono favoriti dalla selezione.

Ne consegue che:

• Il fenotipo non è casuale. L’ambiente induce il fenotipo, che è messo alla prova dalla selezione naturale anche prima di essere determinato dai geni. Benché la mutazione sia casuale, i parametri dello sviluppo possono rendere conto di una parte della direzionalità dell’evoluzione morfologica. La plasticità nello sviluppo produce fenotipi integrati favorendo certe direzioni rispetto ad altre.

• Il fenotipo esiste già in un’ampia porzione della popolazione. Nella SM esiste il problema di spiegare la comparsa di nuovi fenotipi, perché i portatori di tali fenotipi sono «mostri» rispetto al fenotipo selvatico ed è problematico comprendere come tali mutazioni, presenti in un solo individuo o in una sola famiglia, possano espandersi all’intera popolazione. Il modello della plasticità nello sviluppo risolve il problema, perché il fenotipo è già in circolazione da molto tempo e la capacità di esprimerlo è diffusa nella popolazione.

Considereremo di seguito tre meccanismi, in parte sovrapposti, di adattamento guidato dalla plasticità. L’adattamento fenotipico riguarda il reciproco aggiustamento di parti diverse dell’organismo, così che il cambiamento di una parte determina cambiamenti in altre parti, senza tipicamente coinvolgere mutazioni genetiche. Un adattamento fenotipico può promuovere l’adattamento genetico, nel quale i fenotipi indotti dall’ambiente sono selezionati e successivamente incorporati nel repertorio genetico dello sviluppo. L’adattamento genetico si riferisce in genere a cambiamenti delle frequenze geniche che risultano dalla comparsa di fenotipi indotti dall’ambiente. Ciò che era stato indotto dall’ambiente diventa o il fenotipo comune o un fenotipo alternativo con un limite di soglia acquisito geneticamente. L’assimilazione genetica è un sottoinsieme dell’adattamento genetico in cui la selezione favorisce il fenotipo indotto dall’ambiente e la variazione genetica criptica (differenze genetiche che in genere non si manifestano come differenze fenotipiche) oppure nuove mutazioni permettono di indurre questo fenotipo attraverso interazioni tra cellule embrionali piuttosto che a causa delle influenze dell’ambiente. In questi casi, si perde la plasticità.

 

Adattamento fenotipico

MARY JANE WEST EBERHARD

Nel modello per l’evoluzione di nuovi fenotipi proposto da West-Eberhard nel 2003, l’adattamento fenotipico, vale a dire il reciproco aggiustamento delle parti dell’embrione durante lo sviluppo, riveste un ruolo centrale nel processo che porta caratteri indotti dall’ambiente a divenire patrimonio caratteristico di una specie. Questo processo si sviluppa in quattro stadi:

 

1. Plasticità nello sviluppo. Un cambiamento ambientale produce cambiamenti nello sviluppo embrionale che conducono alla comparsa di un nuovo carattere.

2. Adattamento fenotipico. L’abilità regolativa nel corso dello sviluppo si adatta al nuovo carattere.

3. Diffusione della nuova variante. Se il cambiamento iniziale è indotto dall’ambiente, il carattere variante si manifesta in ampia parte della popolazione.

4. Fissazione genetica. La variazione allelica nella popolazione permette, insieme alla selezione naturale, la fissazione genetica del carattere (assimilazione), che di conseguenza si esprime indipendentemente dall’ambiente.

Conseguenze evolutive dell’adattamento fenotipico

L’abilità degli embrioni di “improvvisare” e adattare il proprio sviluppo a nuove condizioni consente notevoli cambiamenti anatomici. Ciascuna parte di un organo deve cambiare indipendentemente. I drastici cambiamenti nella disposizione delle ossa fra agnati e pesci con mandibole, fra pesci con mandibole e anfibi, fra anfibi e rettili e fra rettili e mammiferi furono coordinati con cambiamenti nella struttura della mandibola, nella muscolatura della mandibola, nella deposizione e nella forma dei denti, nella struttura della volta cranica e dell’orecchio. Su scala meno ampia, i risultati della selezione artificiale nei cani domestici dimostrano ugualmente una correlazione dello sviluppo. Anche se il cranio delle razze canine varia dal muso appuntito dei pastori scozzesi al naso smussato dei bulldog, in ogni caso i muscoli della mandibola si coordinano con la cartilagine e l’osso della mandibola per consentire al cane i movimenti appropriati per afferrare e masticare il cibo.

L’adattamento fenotipico fra scheletro, muscolatura e comportamento può essere risultato essenziale in processi evolutivi come la conquista delle terre emerse da parte dei vertebrati acquatici.

 

Adattamento genetico

Nei modelli evolutivi guidati dalla plasticità, nuovi caratteri appaiono spesso come cambiamenti fenotipici avviati dall’ambiente e solo in seguito si fissano nei geni. Secondo queste teorie evolutive, alcuni fenotipi indotti dall’ambiente possono (casualmente) migliorare la vitalità di un organismo in determinate condizioni. Se esiste variazione ereditabile tra i membri di una popolazione per quanto riguarda l’abilità di sviluppare questi caratteri neofavoriti, allora la selezione favorirebbe quegli alleli o quelle combinazioni di alleli che meglio stabilizzano, affinano ed estendono l’espressione del nuovo carattere. Questo processo, nel quale si verifica cambiamento evolutivo in seguito alla selezione che ha agito sulla variazione riguardante la regolazione genica, prende il nome di adattamento genetico.

In tali scenari evolutivi, un carattere inizialmente prodotto in risposta a uno stimolo ambientale può in seguito o essere canalizzato (così da essere prodotto indipendentemente dall’ambiente, il fenomeno chiamato “assimilazione genetica) oppure diventare parte di un sistema polifenotipico che evolve un livello di soglia per la scelta tra la produzione di due fenotipi alternativi in dipendenza delle circostanze ambientali (ciò che si chiama “polifenismo ambientale”[3]). Quello che era stato un fenotipo indotto dall’ambiente è incorporato nel repertorio genetico di un organismo. Secondo West-Eberhard «i geni probabilmente seguono i cambiamenti evolutivi più di frequente di quanto li dirigano».

Si sta raccogliendo una crescente evidenza dell’importanza dell’adattamento genetico nell’evoluzione e c’è un crescente riconoscimento della variazione genetica criptica, che rende possibile l’adattamento genetico.

 

Assimilazione genetica

Un sottoinsieme dell’adattamento genetico, l’assimilazione genetica, reprime la plasticità e restringe la gamma di variazione da uno stato plastico a uno stato fisso. Ciò significa che gli organismi originali possiedono un fenotipo plastico che varia con l’ambiente, mentre la popolazione discendente ha un fenotipo che è stato oggetto di selezione, uno tra le possibili varianti presenti nelle generazioni precedenti. Questo processo, denominato “canalizzazione” da Waddington e noto anche come “robustezza dello sviluppo”, produce un fenotipo robusto, stabile di fronte alle perturbazioni ambientali.

Perché un carattere indotto dall’ambiente divenga genticamente fissato, occorre che la popolazione sia esposta a condizioni ambientali che inducono ripetutamente lo stesso fenotipo, che agisca una pressione selettiva tale da fare risultare il fenotipo indotto più adatto in quell’ambiente, e che esista nella popolazione sufficiente variazione genetica per stabilizzare quel particolare fenotipo. In questo modo, un fenotipo originariamente frutto di un polifensimo provocato dall’ambiente può essere geneticamente stabilizzato. Se capita che una data risposta plastica a una nuova sfida ambientale si riveli adattativa, e se questa risposta continua a essere indotta dall’ambiente, si può prevedere che l’abilità di fornire tale risposta si espanda nella popolazione. Inoltre, se il fenotipo potesse essere prodotto in modo ancora più efficiente senza induzione ambientale, direttamente attraverso uno sviluppo canalizzato geneticamente, allora il fenotipo sarebbe stabilizzato geneticamente, a condizione che la variazione per i modificatori genetici della risposta plastica già esista nella popolazione o diventi disponbile durante il processo. Se è presente una sufficiente variazione per i modificatori genetici, la loro frequenza nella popolazione aumenterà generazione dopo generazione, determinando alla fine una situazione in cui il fenotipo originario indotto dall’ambiente si rende indipendente dall’induzione ambientale, è prodotto costitutivamente ed è così geneticamente assimilato.

Assimilazione genetica e selezione naturale

L’assimilazione genetica può spiegare come alcune specie siano evolute rapidamente in particolari direzioni. Le novità prodotte da mutazioni si presentano solo in una famiglia di individui, mentre le novità indotte dall’ambiente si presentano in tutta la popolazione. Inoltre, l’ambiente che induce il nuovo fenotipo è anche lo stesso ambiente che determina la selezione. Di conseguenza, ci sarebbe selezione immediata per il carattere, che a sua volta sarebbe continuamente indotto. Con le parole di West-Eberhard, «contrariamente all’opinione comune, le novità indotte dall’ambiente possono avere un potenziale evolutivo molto maggiore di quelle indotte da mutazioni.»

L’assimilazione genetica è un meccanismo attraverso il quale caratteri indotti dall’ambiente possono diventare indotti internamente nel corso dello sviluppo embrionale attraverso l’influenza genomica. Nel corso di questo processo, la variazione genetica precedentemente nascosta (criptica) diventa importante per la stabilizzazione di un dato fenotipo o per la regolazione di una certa espressione dopo che uno stimolo ambientale supera la soglia per l’espressione di un particolare fenotipo. La selezione in presenza di questo fattore ambientale arricchisce la presenza nel serbatoio genico degli alleli criptici che determinano il carattere in questione, e successivamente questi alleli diventerebbero così frequenti che il carattere si manifesterebbe anche in assenza dello stimolo ambientale. In questo modo, un carattere fenotipico plastico può essere convertito in un carattere fissato geneticamente che è costantemente prodotto in un’ampia gamma di condizioni ambientali.

 

Costruzione della nicchia

L’adattamento fenotipico si esprime nell’induzione embrionale reciproca fra due tessuti adiacenti. Per esempio, la retina presuntiva dell’occhio dei mammiferi è un rigonfiamento cellulare proveniente dal prosencefalo, mentre la lente presuntiva è un sottoinsieme di cellule epiteliali sulla superficie dell’ectoderma del capo. Quando i due tessuti si incontrano, si stabilisce un complesso dialogo, attraverso il quale le cellule della lente presuntiva “dicono” al rigonfiamento cerebrale di diventare la retina, mentre le cellule della retina presuntiva “dicono” all’epitelio placodale del capo di diventare la lente.

Anche l’ambiente esterno può originare segnali che influenzano lo sviluppo. Poiché si è scoperto che i segnali ambientali possono essere decisivi nell’induzione embrionale, non sorprende che tali segnali ambientali possano anche essere opportunamente modificati. Ma che cosa possiamo dire della possibilità che queste interazioni nel corso dello sviluppo si estendano anche alle interazioni tra gli organismi? A questa domanda intende rispondere un settore relativamente nuovo della biologia evolutiva, chiamato costruzione della nicchia.

Costruzione della nicchia è un termine che sta a indicare la capacità degli organismi di modificare l’ambiente di vita e di agire pertanto come condirettori della propria evoluzione e di quella di altre specie.

 

Richard Lewontin

Secondo Lewontin «gli organismi sono così bene adattati al mondo perché sono stati essi stessi a costruirlo». La costruzione della nicchia può addirittura contrastare la selezione naturale nei casi in cui gli organismi adulti possono modificare gli ambienti per vincolare o sopraffare le forze selettive. Per esempio, i lombrichi scavano cunicoli che forniscono una nicchia acquosa in ambiente terricolo. Come risultato, questi animali si sono evoluti molto poco successivamente alla loro migrazione alle terre emerse, avvenuta più di 50 Ma fa.

 

La costruzione della nicchia assume un ruolo anche più importante quando si lega allo sviluppo. Gli ambienti che si sviluppano si appaiano agli organismi che si sviluppano per mezzo delle attività di costruzione della nicchia dei loro organismi. In questo contesto, la costruzione di nicchia diventa l’analogo macroscopico dell’induzione embrionale reciproca. La costruzione di nicchia estende in modo simile i dialoghi della formazione degli organi da dentro l’embrione al suo esterno. Gli schemi circuitali della formazione degli organi dentro l’embrione si uniscono agli schemi circuitali degli organismi dentro l’ecosistema.

In breve, quando l’organismo altera il proprio sviluppo in risposta a sollecitazioni ambientali in modo da risultare meglio adattato all’ambiente di vita, si parla di plasticità adattativa dello sviluppo; quando un organismo che si sviluppa induce cambiamenti nel suo ambiente fisico così da rendere l’ambiente più adatto all’organismo, allora si parla di costruzione di nicchia. Inoltre, può esservi reciprocità fra questi due insiemi di fenomeni induttivi.

 

 

Ronald Fisher John Burdon Sanderson Haldane Theodosius Dobzhansky Ernst Mayr

 

John Maynard Smith George R. Price William Donald Hamilton

Uno sguardo avanti

Fino a non molto tempo fa, la simbiosi nello sviluppo, la plasticità dello sviluppo e gli epialleli erano considerati eccezioni alla regola. Questo libro ha documentato che si tratta invece della regola. La simbiosi nello sviluppo e la plasticità dello sviluppo si sono rivelati ubiquitari. Se gli epialleli siano ugualmente diffusi è argomento in corso di studio, ma anche essi sembrano molto più diffusi di quanto non si pensasse. I dati provenienti dalla biologia ecologica dello sviluppo aggiungono sostanziali novità alla biologia evolutiva. La biologia evolutiva della SM non considerava l’organismo come un individuo multilineare, un olobionte consorzio di molte specie. Né considerava i trasposoni e la plasticità come forze capaci di generare novità evolutive. L’idea che plasticità e simbiosi possano essere decisivi per le transizioni evolutive e per gli eventi di speciazione non faceva parte dell’ortodossia. L’abilità di fare “squadra” comporta sia competizione sia cooperazione e l’organismo visto come un ecosistema è un concetto che non fa parte del pensiero dominante in biologia evolutiva.

 

La teoria evolutiva tende a svilupparsi come una perla, strato su strato. Al suo nucleo – come il grano che dà inizio alla perla – si trova la sintesi darwiniana di anatomia, biogeografia, tassonomia e paleontologia. Attorno al nucleo, il primo strato è costituito dalla sintesi di Fisher e Haldane, che allineò la biologia evolutiva con la genetica di popolazione. In cima allo strato, Dobzhansky e Mayr mostrarono che la genetica di popolazione poteva modellizzare popolazioni naturali e processi di speciazione. Lo strato più esterno della teoria evolutiva tradizionale è attualmente costituito dalle sintesi di Maynard Smith, Price, Hamilton e altri che hanno usato i modelli della genetica di popolazione per spiegare i comportamenti sociali. Ora un nuovo strato è in corso di addizione alla perla. Possiamo osservare l’incorporazione nella teoria evolutiva di idee come modularità degli amplificatori della trascrizione, geni regolatori, duplicazione dei geni, fino alla necessità di completare la teoria evolutiva attraverso una teoria genetica della costruzione del corpo. La prima onda della biologia evolutiva dello sviluppo sta diventando parte della teoria evolutiva. Ciò consente di mantenere la visione dell’evoluzione completamente genecentrica della SM, ma aggiunge un dimensione dello sviluppo di importanza decisiva. L’evoluzione può essere considerata come successione di cambiamenti ereditabili nello sviluppo. La genetica dello sviluppo si sta aggiungendo alla genetica di popolazione, mentre la genetica classica si fonde con la genetica molecolare. In effetti, come era stato previsto nei primi giorni della biologia evolutiva dello sviluppo, lo studio dell’evoluzione comincia a focalizzarsi sulla genetica di popolazione degli alleli regolatori.

Intorno all’inizo di questo secolo, però, i biologi dello sviluppo cominciarono a comprendere l’importanza del ruolo svolto dall’ambiente nello sviluppo. Simbionti, dieta, predatori, cospecifici, temperatura si rivelarono fattori decisivi nella formazione del fenotipo degli animali. Se questo è il quadro, allora un approccio all’evoluzione degli animali che tenga conto dello sviluppo deve anche contenere gli elementi recentemente considerati di plasticità dello sviluppo, di simbiogenesi, di epialleli di origine ambientale. Questa seconda onda di evo-devo, che potremmo chiamare eco-devo-evo, è attualmente al centro del dibattito.

Questo dibattito è efficacemente rappresentato nel ben noto articolo di Laland e a. del 2014 «Does evolutionary theory need a rethink?». Coloro che sono portati a fornire una risposta affermativa sottolineano la necessità di una toeria evolutiva estesa, «nella quale i processi di crescita e di sviluppo di un organismo siano riconosciuti come cause dell’evoluzione». Il partito opposto controbatte che non esiste alcuna stringente evidenza dell’importanza di approcci non genetici all’evoluzione. È interessante notare che diversi degli scienziati schierati contro la necessità di espandere la biologia evolutiva costituivano l’avanguardia che promosse l’incorporazione nella teoria evolutiva della prima onda di evo-devo (alleli regolatori, fattori paracrini). Ora questi scienziati sono convinti dell’assenza di prove che simbiosi, plasticità, adattamento genetico, epialleli, costruzione della nicchia obblighino a un sostanziale ripensamento della teoria evolutiva.

Questo libro ha tentato di fornire queste prove. E se queste prove saranno accolte nell’ambito della teoria evolutiva, dovremo prepararci a cambiare il modo in cui percepiamo la natura.

 

 

Does evolutionary theory need a rethink?


APPENDICE 2

Kevin Laland, Tobias Uller, Marc Feldman, Kim Sterelny, Gerd B. Müller, Armin Moczek, Eva Jablonka, John Odling-Smee, Gregory A. Wray, Hopi E. Hoekstra, Douglas J. Futuyma, Richard E. Lenski, Trudy F. C. Mackay, Dolph Schluter & Joan E. Strassmann.

Nature, 08 October 2014

 

Ha la teoria evolutiva bisogno di un ripensamento? Sì, urgentemente

 

 

Charles Darwin

Darwin concepì l’evoluzione per selezione naturale senza conoscere l’esistenza dei geni. Ora la teoria evolutiva ortodossa è arrivata a focalizzarsi quasi esclusivamente sull’eredità genetica e sui processi che cambiano le frequenze dei geni.

 

Tuttavia nuovi dati che si riversano da campi adiacenti cominciano a minare alle fondamenta questa posizione ristretta. Sta cominciando a cristallizzarsi una visione alternativa dell’evoluzione, che prende il nome di sintesi estesa (SE), nella quale i processi di crescita e di sviluppo degli organismi trovano lo spazio loro dovuto tra le cause dell’evoluzione. Detto in modo schematico, questa nuova sintesi sostiene che altri importanti fattori evolutivi, che non possono essere direttamente o indirettamente ridotti ai geni, debbono essere tessuti nella trama della teoria evolutiva.

Noi riteniamo che la SE getterà nuova luce sul funzionamento dei processi evolutivi. Noi sosteniamo che gli organismi si costruiscono nel processo di sviluppo, non che sono semplicemente programmati dai geni a svilupparsi in un certo modo. I sistemi viventi non si evolvono per adattarsi in ambienti preesistenti, ma cocostruiscono e coevolvono insieme ai loro ambienti, in un processo capace di cambiare la struttura degli ecosistemi.

Il numero dei biologi che richiedono un cambiamento nel modo di pensare l’evoluzione cresce rapidamente. Un forte sostegno proviene da discipline affini, in modo particolare dalla biologia dello sviluppo, ma anche dalla genomica, dall’epigenetica, dall’ecologia e dalle scienze sociali. Noi sosteniamo che la biologia evoluzionistica ha bisogno di revisione, se vuole beneficiare pienamente dell’apporto di queste altre discipline. Anche se i dati che appoggiano la nostra posizione diventano ogni giorno più forti, la sola menzione della SE evoca spesso una reazione emozionale, a volte ostile, tra i biologi evolutivi. Parecchi biologi evolutivi ortodossi studiano i processi che noi dichiariamo trascurati, ma li comprendono in un modo molto diverso. Non si tratta però di una tempesta in un’accademica tazza di tè, ma di una contesa sul nucleo fondante della disciplina.

 

Valori fondamentali

Il nucleo della teoria evolutiva corrente fu forgiato negli anni Trenta e Quaranta. Esso combinava selezione naturale, genetica e altri settori di studio in una opinione generale di come avviene l’evoluzione. Questa “Sintesi Moderna” permetteva di descrivere matematicamente come cambiano nel tempo le frequenze delle varianti genetiche in una popolazione.

Nei decenni successivi, la biologia evolutiva incorporò nuovi sviluppi coerenti con i principi della sintesi moderna. Come accadde, ad esempio, con la “teoria neutralista”, che mette l’accento sugli eventi casuali nei processi evolutivi. In ogni caso, la teoria evolutiva standard (TES) ha largamente conservato gli stessi assunti della sintesi moderna originale, che continuano a canalizzare il modo con cui le persone concepiscono l’evoluzione.

La storia che la TES racconta è semplice: nuove varianti si originano da mutazioni genetiche casuali; l’ereditarietà avviene per opera del DNA; la selezione naturale è la sola causa dell’adattamento, il processo che porta gli organismi a essere bene adattati al proprio ambiente. In questa ottica, la complessità dello sviluppo biologico – i cambiamenti che si verificano quando un organismo cresce e invecchia – riveste un ruolo minore.

Secondo noi, a questa attenzione tutta “genecentrica” fa difetto la comprensione dell’intera gamma dei processi che dirigono l’evoluzione. Pezzi mancanti sono, per esempio, l’influenza dello sviluppo sulla comparsa di variazioni (direzionalità orientata dai vincoli dello sviluppo); la capacità dell’ambiente di modellare direttamente i caratteri dell’organismo (plasticità); la capacità degli organismi di modificare gli ambienti (costruzione della nicchia); la trasmissione da una generazione alla successiva di informazioni diverse da quelle contenute nei geni (ereditarietà extragenetica). Per la TES, questi fenomeni altro non sono che conseguenze dell’evoluzione. Per la SE, sono anche cause.

Preziosi approfondimenti sulle cause dell’adattamento e sulla comparsa di nuovi caratteri vengono dal campo della biologia evolutiva dello sviluppo (evo-devo). Alcuni dei dati sperimentali che ne sono ricavati risultano problematici da assimilare per la TES. Particolarmente spinosa è l’osservazione che molte variazioni non sono casuali, perché i processi dello sviluppo generano certe forme più facilmente di altre.

Secondo noi, il concetto di orientamento dello sviluppo aiuta a spiegare come gli organismi si adattano al proprio ambiente e si diversificano in molte specie differenti. Il noto caso dei pesci ciclidi dei laghi dell’Africa Orientale, ad esempio, è spiegato dalla TES come risultato di evoluzione convergente: condizioni ambientali simili selezionano la variazione genetica casuale con risultati equivalenti. Questa spiegazione richiede straordinarie coincidenze per spiegare le multiple forme parallele evolutesi indipendentemente in ciascun lago. Un’ipotesi più parsimoniosa è che l’orientamento dello sviluppo e la selezione naurale abbiano collaborato. La selezione, piuttosto che essere libera di spaziare su ogni possibilità fisica, è guidata lungo percorsi specifici aperti dai processi di sviluppo.

Un ulteriore tipo di orientamento dello sviluppo si verifica quando gli individui rispondono al loro ambiente con cambiamenti di forma – il fenomeno chiamato plasticità. Per esempio, la forma della foglia cambia secondo il suolo, l’umidità, la composizione chimica. La TES considera questa plasticità come niente altro che ritocchi o addirittura rumore. La SE la vede come un possibile primo stadio di un processo di evoluzione adattativa. L’osservazione chiave, in questo caso, è che la plasticità non solo permette agli organismi di fare fronte a nuove condizioni ambientali, ma anche di generare caratteri bene adattati a queste nuove condizioni. Se la selezione preserva le varianti genetiche che rispondono efficacemente al cambiamento delle condizioni, allora l’adattamento avviene in gran parte con l’accumulazione di variazioni genetiche che stabilizzano un carattere dopo la sua comparsa. In altre parole, spesso è il carattere che viene per primo, i geni che lo cementano seguono, spesso a distanza di parecchie generazioni.

Studi riguardanti pesci, uccelli, anfibi e insetti suggeriscono che gli adattamenti inizialmente indotti dall’ambiente possano favorire la colonizzazione di nuovi ambienti e facilitare la speciazione. Il numero di specie in una linea evolutiva non dipende solo da come la variazione genetica casuale è stata vagliata attraverso differenti setacci ambientali. Esso scaturisce anche dalle proprietà dello sviluppo, che contribuiscono alla evolvibilità di quella linea evolutiva.

In sostanza, la TES tratta l’ambiente come una condizione di sfondo, che può scatenare o modificare la selezione, ma che non è di per se stesso parte del processo evolutivo. La TES non fa distinzione fra come le tèrmiti si adattano ai nidi torriformi che costruiscono e, per esempio, come gli organismi si adattano alle eruzioni vulcaniche. Noi consideriamo questi casi come fondamentalmente differenti.

Le eruzioni vulcaniche sono eventi eccezionali, indipendenti dall’azione degli organismi. All’opposto, le tèrmiti costruiscono e regolano i propri nidi in maniera ripetibile e orientata, modellata dalla selezione passata e base della selezione futura. Allo stesso modo, mammiferi, uccelli e insetti difendono, conservano e migliorano i propri ricoveri – risposte adattative alla costruzione di ricoveri che si sono evolute più e più volte. Questa “costruzione di nicchia", come l’orientamento dello sviluppo, indica che gli organismo codirigono la loro propria evoluzione per mezzo di sistematici cambiamenti dell’ambiente, orientando in questo modo la selezione.

 

Ereditarietà oltre i geni

La TES ha a lungo considerato i meccanismi ereditari diversi dai geni come casi speciali, con la cultura umana come esempio primario. La SE riconosce esplicitamente che le somiglianze tra genitori e prole derivano in parte dal fatto che i genitori ricostruiscono per la prole i loro stessi ambienti di sviluppo. L’eredità extragenica comprende la trasmissione di marcatori epigenetici (cambiamenti chimici che alterano l’espressione del dna ma non la sequenza nucleotidica) che influenzano fertilità, longevità e resistenza alle malattie attraverso i taxa. Inoltre, l’eredità extragenica include il comportamento trasmesso per via sociale negli animali, come le tecniche di rottura delle noci negli scimpanzè o gli schemi migratori di pesci della barriera corallina. E contempla anche quelle strutture e condizioni alterate che gli organismi lasciano ai loro discendenti mediante la costruzione della nicchia – dalle dighe dei castori ai suoli trattati dai lombrichi. La ricerca dell’ultimo decennio ha stabilito che un tale tipo di eredità è così diffusa, che dovrebbe fare parte di una teoria generale.

I modelli matematici delle dinamiche evolutive che contemplano l’eredità extragenica forniscono previsioni diverse rispetto a quelli che non la considerano. I modelli inclusivi aiutano a spiegare un’ampia gamma di fenomeni sconcertanti, come la rapida colonizzazione del Nordamerica da parte del ciuffolotto americano, il potenziale adattativo di piante invasive con scarsa diversità genetica, il modo con cui si verifica l’isolamento riproduttivo. Tali retaggi possono addirittura generare schemi macroevolutivi. Per esempio, l’evidenza suggerisce che le spugne abbiano ossigenato l’oceano e in questo modo abbiano creato opportunità perché altri organismi si stabilissero sui fondali marini. Crescenti dati ricavati dai fossili indicano che modificazioni ambientali ereditate da altre specie hanno ripetutamente facilitato, qualche volta a milioni di anni di distanza, l’evoluzione di nuove specie ed ecosistemi.

 

Meglio insieme

Gli approfondimenti di cui sopra derivano da campi differenti, ma combaciano con sorprendente coerenza. Essi mostrano che la variazione non è casuale, che c’è altro oltre i geni nei processi ereditari e che esistono molte vie per il reciproco adattamento tra organismi e ambiente. Soprattutto, essi dimostrano che lo sviluppo è una causa diretta del perché e del come avvengono l’adattamento e la speciazione, e anche delle velocità e degli schemi del cambiamento evolutivo.

La TES inquadra coerentemente questi fenomeni in un modo che indebolisce il loro significato. Per esempio, l’orientamento dello sviluppo è generalmente considerato un vincolo imposto a ciò che la selezione potrebbe ottenere – un ostacolo che spiega solo l’assenza di adattamento. Per contro, la SE riconosce i processi dello sviluppo come elementi creativi, che delimitano quali forme e quali caratteristiche possono evolvere, giustificando pertanto perché gli organismi possiedono le caratteristiche che hanno.

Ricercatori in campi che vanno dalla fisiologia all’ecologia e all’antropologia si scontrano con i limitativi assunti del quadro della TES senza capire che ad altri sta succedendo la stessa cosa. Noi riteniamo che una pluralità di prospettive incoraggi nella scienza lo sviluppo di ipotesi alternative e stimoli la ricerca empirica. Non più un movimento di protesta, la SE è ora un quadro di riferimento credibile che ispira lavori utili riportando diversi ricercatori sotto un tetto teoretico comune al fine di arrivare a un cambiamento concettuale nella biologia evolutiva.

 

Ha la teoria evolutiva bisogno di un ripensamento? No, tutto bene

Nell’ottobre 1881, solo sei mesi prima della morte, Charles Darwin pubblicò il suo ultimo libro. La formazione della terra vegetale per l'azione dei lombrichi con osservazioni intorno ai loro costumi andò a ruba: le precedenti pubblicazioni avevano assicurato a Darwin una grande reputazione. Egli dedicò un intero libro a quelle umili creature in parte perché esemplificano un interessante processo di retroazione: i lombrichi sono adattati a prosperare in un ambiente che essi stessi modificano con la propria attività.

Darwin si era informato sui lombrichi attraverso conversazioni con i giardinieri e anche grazie a semplici esperimenti che egli stesso aveva condotto. Darwin aveva una particolare genialità per distillare penetranti intuizioni sui processi evolutivi – spesso dopo avere accumulato per anni osservazioni e dati sperimentali – e attingeva ai campi più disparati, dall’agricoltura alla geologia, all’embriologia, al comportamento. Fin da allora il pensiero evolutivo ha seguito la guida di Darwin, con la sua enfasi per le prove sperimentali e per la sintesi di informazioni provenienti da altri campi.

Un profondo cambiamento nel pensiero evolutivo ebbe inizio durante gli anni Venti, quando un manipolo di statistici e di genetici iniziò silenziosamente a porre le fondamenta per una radicale trasformazione. Il loro lavoro culminò tra il 1936 e il 1947 nella “Sintesi Moderna”, che univa il concetto darwiniano di selezione naturale con il nascente settore della genetica e, in misura minore, con la paleontologia e con la sistematica. Cosa ancora più importante, questo lavoro pose i fondamenti teorici per una comprensione quantitativa e rigorosa dell’adattamento e della speciazione, due dei fondamentali processi evolutivi.

Nei decenni successivi, generazioni di biologi evolutivi hanno modificato, corretto ed esteso il quadro della sintesi moderna in un numero incalcolabile di modi. Come Darwin, essi hanno pesantemente attinto da altri campi della scienza. Quando i biologi molecolari identificarono nel dna la base materiale dell’ereditarietà e della variazione dei caratteri, la comprensione che molti cambiamenti genetici non hanno conseguenze sulla fitness portò a importanti passi in avanti nella formulazione teorica della genetica di popolazione. La scoperta del DNA “egoista” richiese discussioni sul livello cui agiva la selezione, quello dei geni anziché dei caratteri. La teoria della selzione di parentela, che descrive la selezione di caratteri che influenzano i consanguinei, rappresenta un’altra estensione.

Malgrado tutto ciò, ci sono biologi evolutivi che sostengono che da allora la teoria si è ossificata intorno ai concetti genetici. In modo più specifico, essi proclamano che quattro fenomeni sono importanti fattori evolutivi: plasticità fenotipica, costruzione della nicchia, ereditarietà inclusiva e orientamento dello sviluppo. Non potremmo essere più in accordo con loro. Noi stessi studiamo questi fenomeni.

Noi però non pensiamo che questi fenomeni meritino tanta speciale attenzione da arrivare a ottenere un proprio nome come «sintesi evolutiva estesa». Di seguito delineiamo tre ragioni per cui crediamo che questi argomenti già ricevano l’attenzione che spetta loro nella teoria evolutiva corrente.

 

Nuove parole, vecchi concetti

I processi evolutivi citati da Laland e colleghi sono già bene integrati nella biologia evolutiva, dove hanno da tempo fornito interessanti approfondimenti. Per la verità, alcuni di questi concetti risalgono fino allo stesso Darwin, come è esemplificato dalla sua analisi della retroazione che si verificò allorché i lombrichi divennero adattati alla vita nel suolo.

Oggi noi chiamiamo questo processo costruzione di nicchia, ma il nuovo nome non cambia il fatto che i biologi evoluzionisti abbiano studiato le retroazioni tra organismi e ambiente da ben più di un secolo. Adattamenti sbalorditivi come i nidi torriformi delle tèrmiti, le dighe dei castori, le esibizioni degli uccelli giardinieri sono stati per molto tempo un punto fermo degli studi evolutivi. Né meno spettacolari sono i casi che possono essere apprezzati solo a scala microscopica o molecolare, come i virus che “dirottano” le cellule ospiti per riprodursi e il «quorum sensing»[4], una sorta di pensiero di gruppo da parte dei batteri.

Un altro processo, la plasticità fenotipica, ha attratto considerevole attenzione da parte dei biologi evolutivi. Sono stati documentati innumerevoli casi in cui l’ambiente influenza la variazione dei caratteri – dalle mascelle dei pesci ciclidi che cambiano forma secondo la fonte di cibo disponibile agli insetti foglia che sono marroni quando nascono nella stagione secca e verdi quando nascono nella stagione umida. I progressi tecnologici nell’ultimo decennio hanno rivelato un incredibile grado di plasticità nell’espressione genica in risposta a diverse condizioni ambientali, aprendo una porta verso la comprensione delle sue basi materiali. Molto discusso è stato anche un libro della studiosa comportamentale Mary Jane West-Eberhard che ha esplorato come la plasticità potrebbe precedere i cambiamenti genetici durante l’adattamento.

In definitiva, nessuno dei fenomeni citati da Laland e colleghi è trascurato dalla biologia evolutiva. Come tutte le idee, comunque, essi richiedono di provare il proprio valore nel mercato della teoria rigorosa, dei risultati empirici e della discussione critica. La rilevanza che questi quattro fenomeni richiedono nel dibattito della teoria evolutiva contemporanea riflette il loro provato potere esplicativo, non una mancanza di attenzione.

 

La moderna espansione

Per di più, i quattro fenomeni che interessano Laland e colleghi sono solo quattro fra i molti che offrono promesse per futuri progressi nella biologia evolutiva. La maggior parte dei biologi evolutivi hanno una propria lista di argomenti cui desidererebbero vedere dare maggiore attenzione. Alcuni sostengono che l’epistasi – le complesse interazioni tra diverse varianti genetiche – è stata a lungo sottovalutata. Altri sosterrebbero la variazione genetica criptica (mutazioni che influenzano certi caratteri solo in specifiche condizioni genetiche o ambientali). Altri ancora metterebbero l’accento sull’importanza dell’estinzione, dell’adattamento ai cambiamenti climatici, dell’evoluzione del comportamento. E la lista continua.

Potremmo prendere una pausa e discutere se a ciascuno di questi argomenti è prestata la dovuta attenzione. Oppure potremmo rimboccarci le maniche e buttarci a lavorare per scoprire i fondamenti teorici e costruire un solido repertorio di studi empirici. Il patrocinio può portare un’idea solo fino a un certo punto.

Ciò che Laland e colleghi definiscono «teoria evolutiva standard» è una caricatura che considera il campo statico e monolitico. Essi vedono i biologi evolutivi odierni restii a considerare idee che sfidano la convenzione.

Noi vediamo un mondo molto differente. Ci consideriamo fortunati a vivere e lavorare nel periodo più eccitante, più aperto a tutti e di progresso più rapido che la ricerca nel campo dell’evoluzione ha conosciuto dai tempi della sintesi moderna. Ben lontana dall’essere attaccata al passato, l’odierna teoria evolutiva è vibrante di creatività e in rapida crescita nel proprio ambito.

Oggi i biologi evolutivi traggono ispirazione da campi diversi come la genomica, la medicina, l’ecologia, l’intelligenza artificiale e la robotica. Noi pensiamo che Darwin approverebbe.

 

I geni sono centrali

Infine, la diluizione di quella che Laland e colleghi deridono come una visione “genecentrica” depotenzierebbe la componente della teoria evolutiva dotata di maggiore potere predittivo, più ampiamente applicabile e maggiormente validata dall’esperienza. I cambiamenti del materiale ereditario sono una parte essenziale dell’adattamento e della speciazione. La precisa base genetica di una enorme quantità di adattamenti è stata documentata nei dettagli, spaziando dalla resistenza agli antibiotici nei batteri alle colorazioni mimetiche nei topi cervini, alla tolleranza al lattosio negli umani.

Anche se i cambiamenti genetici sono necessari per l’adattamento, processi non-genetici possono a volte giocare un ruolo nell’evoluzione degli organismi. Laland e colleghi affermano giustamente che la plasticità fenotipica, per esempio, può contribuire all’adattabilità di un individuo. Una piantina potrebbe curvarsi verso la direzione da cui proviene la luce e crescere fino a diventare una pianta di forma diversa dai suoi fratelli. Molti studi hanno dimostrato che questo tipo di plasticità è benefico e che può rapidamente evolvere, se si presenta variazione genetica nella risposta. Questo ruolo della plasticità nel cambiamento evolutivo è così bene documentata che non c’è alcun bisogno di un patrocinio speciale.

 

Conrad Waddintong

Molto meno chiaro è se la plasticità possa “guidare” la variazione genetica durante l’adattamento. Più di mezzo secolo fa, il biologo dello sviluppo Conrad Waddington descrisse un processo che chiamò assimilazione genetica. Si tratta di nuove mutazioni che possono a volte convertire un carattere plastico in uno che si sviluppa anche in assenza della specifica condizione ambientale che originariamente lo induceva. Pochi casi sono stati documentati al di fuori dei laboratori, comunque. Se ciò derivi da mancanza di seria attenzione oppure rifletta una genuina rarità in natura potrà essere deciso solo da studi ulteriori.

 

La mancanza di prove rende anche difficile valutare il ruolo dell’orientamento dello sviluppo nell’evoluzione (o mancanza di evoluzione) di caratteri adattativi. I processi dello sviluppo, basati su caratteristiche del genoma che possono essere specifiche di un particolare gruppo di organismi, possono certamente influenzare il ventaglio di caratteri su cui la selezione naturale può agire. In ogni caso, ciò che conta fondamentalmente non è l’ampiezza della variazione dei caratteri e neanche la sua precisa causa materiale. Ciò che conta sono le differenze ereditabili nei caratteri, in particolare quelle che conferiscono un qualche vantaggio selettivo. Similmente, sono scarse le prove del ruolo delle modificazioni epigenetiche ereditate (parte di ciò che si definisce “ereditarietà inclusiva”) nell’adattamento: non conosciamo alcun caso in cui un nuovo carattere con dimostrata base rigorosamente epigenetica abbia divorziato dalla sequenza genica. Su entrambi gli argomenti, ulteriori ricerche saranno preziose.

Tutti e quattro i fenomeni che Laland e colleghi caldeggiano sono “aggiunte” ai processi fondamentali responsabili del cambiamento evolutivo: selezione naturale, deriva genetica, mutazioni, ricombinazione e flusso di geni. Nessuna di queste aggiunte è essenziale per l’evoluzione, ma ciascuna di esse può alterare il processo, in determinate circostanze. Per questa ragione sono eminentemente meritevoli di studio.

Invitiamo Laland e colleghi a unirsi a noi in una più ampia estensione, invece di immaginare divisioni che non esistono. Noi apprezziamo le loro idee in quanto parte importante di ciò che la teoria evolutiva potrebbe diventare in futuro. Anche noi desideriamo una sintesi evolutiva estesa, ma per noi queste parole si scrivono con iniziali minuscole, perché questo è il modo in cui il nostro campo ha sempre progredito.

Il modo migliore di esaltare la rilevanza di fenomeni sinceramente interessanti come plasticità fenotipica, ereditarietà inclusiva, costruzione della nicchia e orientamento dello sviluppo (e molti, molti altri) è di rafforzare le prove sperimentali che ne documentano l’importanza.

Prima di affermare che i lombrichi «hanno avuto nella storia del mondo un ruolo più importante di quanto molte persone supporrebbero», Darwin raccolse dati per oltre quaranta anni. Anche allora, egli pubblicò solo per il timore che presto «si sarebbe unito a loro».



[1] N. d. T. – Specificherei ulteriormente come segue: un organismo riceve una doppia eredità dai propri antenati: i geni e un ambiente modificato, che influenza il successo delle diversi varianti geniche

[2] Un olobionte è costituito dall'insieme di organismi in simbiosi fra di loro; il nostro organismo, per esempio, è un olobionte di molte migliaia di specie batteriche, ciascuna presente con milioni o miliardi di cellule, e di un individuo della specie umana.

[3] Il polifenismo è la presenza, in una stessa popolazione, di differenti fenotipi che non sono dovuti a diversità genotipica.

[4] Il quorum sensing è un sistema di stimoli e risposte correlato alla densità della popolazione. Molte specie di batteri usano il qs per coordinare l’espressione dei geni con la densità della loro popolazione locale. I batteri usano il qs per coordinare certi comportamenti come la formazione di biofilm, la virulenza, la resistenza agli antibiotici, che sono basati sulla densità locale della popolazione batterica.