raccolte cd
timberland euro, timberland uomo 6 inch stivali, timberland uomo barca stivali, timberland uomo earthkeepers, timberland uomo euro hiker stivali, timberland uomo nellie chukka, timberland uomo rotolo top stivali, timberland uomo scarpe da spiaggia, timberland donna 6 inch stivali
Arcimboldo tra magico e bislacco

 

Rodolfo II visto da Arcimboldo

Arcimboldo tra magico e bislacco


di Luciano Luciani

 

Fu nel 1583 che l’imperatore Rodolfo II abbandonò in modo definitivo la corte asburgica viennese per insediarsi fino al termine della sua esistenza nel Castello di Praga. Mai nessuno conobbe il movente di tale decisione che oltre a tutto indeboliva la sua già scossa autorità nei confronti del fratello Mattia, infido e avido di potere. C’è solo da supporre che il monarca poco sicuro di sé e affetto da turbe mentali pensasse di trovare nella capitale boema un ambiente più conforme ai problemi caratteriali che lo angustiavano. Per i suoi contemporanei e per le generazioni successive Rodolfo rimase sempre un bizzarro personaggio il cui comportamento si allontanò, e non poco, dall’immagine consueta del sovrano: nessun interesse per i problemi geopolitici, militari, dinastici del tempo. Piuttosto, una fortissima propensione, spinta fino all’eccesso tanto da divenire maniacale, per il “meraviglioso”, il “magico”, il “curioso”, che spinsero il primogenito di Massimiliano II a immergersi completamente nella cultura alchemico-cabalistica così diffusa nel XVI secolo, perdendo i contatti col mondo e infittendo invece un fitta trama di relazioni con alchimisti e astrologhi. Così, mentre alla sua corte convenivano artisti, filosofi e scienziati quali Giordano Bruno, Giambattista Dalla Porta, Johannes Kepler, parallelamente vi erano accolti gli alchimisti Dee e Kelley e, addirittura, il folle Rabbino Jehuda Low, operatori di riti misteriosi celebrati sulla scorta di formule magiche. D’altra parte Rodolfo si mostrò munifico mecenate, circondandosi di artisti delle più varie discipline: dalla pittura, nell’ampia gamma delle sue espressioni tipiche e meno tipiche, all’oreficeria e alla lavorazione delle pietre preziose; dall’architettura al collezionismo, visto che la sua sconfinata ricchezza gli consentiva di accumulare un’incredibile quantità di cimeli artistici raccolti nella strepitosa Wunderkammer di Rodolfo, fitta di mirabilia, naturalia e artificialia, provenienti da paesi lontani.

In questa temperie composita e fastosa, il pittore milanese Giuseppe Arcimboldi (Milano, 1526 - Milano, 1593), detto Arcimboldo e Arzimbalda, si inserì con la massima autorità per il suo ingegno vivace, divenendo anche consigliere artistico per le collezioni imperiali. Probabilmente il monarca e l’artista, “pittore raro, e in molte altre virtù studioso, e eccellente”, riuscirono a realizzare una operosa intesa, grazie a non poche affinità filosofiche e ideali. Muove in tal senso la celeberrima rappresentazione di Rodolfo d’Asburgo nelle vesti del dio romano Vertumno, la divinità che sovraintendeva alle mutazioni stagionali: l’opera richiama il ruolo dell’imperatore come sintesi del creato ed emblema dell’uomo microcosmo, un concetto tipico della riflessione ermetica e neoplatonica rinascimentale. Piacque, dunque, al sovrano l’estro inventivo del pittore milanese che si sbizzarriva nella composizione di favolosi mezzi-busti fatti di elementi vegetali, animali, minerali in cui i singoli componenti, associati tra loro con minuziosa intuizione, si combinano per ricreare in modo illusorio l’espressione d’un volto umano; e soprattutto affascinò l’inquietante metafora filosofica insita nelle figurazioni così cariche di misteriosa inquietudine. Caratteristica costante delle tavole e dei disegni arcimboldeschi è l’ambiguità: gli oggetti e gli esseri compositi che ne derivano non risultano mai determinati con precisione, ma presentano aspetti contraddittori, perennemente in procinto di mutare e risolversi in qualcosa di diverso. Ne ha colto in maniera assai penetrante l’effetto, insieme attrattivo e repulsivo, che essi esercitano oggi sull’osservatore contemporaneo, il critico francese Roland Barthes (1915 - 1980): “Le teste di Arcimboldo sono mostruose perché rimandano tutte, quale che sia la grazia del soggetto allegorico ... a un malessere sostanziale: il brulichio. La mischia delle cose viventi ... disposte in un disordine stipato (prima di giungere alla intelligibilità della figura finale) evoca una vita tutta larvale, un pullulio di esseri vegetativi, vermi, feti, visceri al limite della vita, non ancora nati eppure già putrescenti”.

Imitato dai contemporanei, che peraltro non riusciranno mai a eguagliarne l’abilità e l’inventiva, Arcimboldo è stato riscoperto e rivalutato dai surrealisti novecenteschi che nelle sue eccentriche combinazioni individuarono quella sintesi perfetta tra realismo e trascendenza che era negli statuti del loro movimento artistico.

Oggi, in un tempo in cui il dibattito scientifico è dominato dagli “argomenti” dei “filosofi” new age, dai cultori del mistero e dagli spregiatori della razionalità scientifica, un’esperienza d’arte che si presenta così tecnicamente perfetta e insieme così sfuggente ed elusiva, non poteva che selezionare una nuova leva di estimatori entusiasti al limite della venerazione.