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La Chiesa s'è desta?

 

 

 

Vaticano

 

La Chiesa s'è desta?

 

 

LETTERA ENCICLICA "LAUDATO SI’" DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULLA CURA DELLA CASA COMUNE

 

«Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fori et herba».

 

Una enciclica che ha suscitato molto interesse per i contenuti ritenuti fuori degli orizzonti abituali della Chiesa.

Grazie alla cortesia della Redazione della rivista "l'Ateo", sempre attenta, aprerta e laica nelle sue scelte, siamo in grado di offrire quattro punti di vista maturati in ambienti professionali e culturali diversi che forse riescono a dare un quadro un po' meno confuso di una situazione che potrebbe apparire come fortemente innovativa da parte di una istituzione tradizionalmente lontana dalle novità. L'ingresso della ecologia, economia, biologia in un documento come questo può dare forse più speranze di quelle che è legittimo attendere.

In ogni caso questo spazio è aperto ed accoglierà le opinioni di coloro che vorranno partecipare alla discussione. 

 

I quattro articoli di seguito riprodotti compariranno nella rivista "L'Ateo" nel n. 6/2015 che uscirà in novembre. Lo scritto di Pocar è apparso su "Critica Liberale". 

 

Il quinto articolo di questa raccolta è giunto dopo la richiesta di un parere sulla posizione della Chiesa su una tematica inconsueta per i suoi abituali interessi. Mimma Liber offre una lettura attenta entrando nel merito anche dei contenutì strettamente scientifici.

 

Purché non rimanga lettera morta ... (Fabio Fantini) Bergoglio e Boff: due svolte anbientaliste a confronto (stefano Marullo) «Laudato si’» … una enciclica “innovativa” … ma anche no (Enrico Rota)

 

Meglio tardi che mai (Valerio Pocar) Eran le cinque della sera … le cinque della sera … sull’orologio fermo (Mimma Liber)

 



 

Terra malata

Purché non rimanga lettera morta ...

 

di Fabio Fantini

 

Faccio parte di quel gruppo di persone, che sospetto numericamente non irrilevante, secondo le quali va considerata con qualche scetticismo l’ipotesi che la scelta del Papa da parte dei Cardinali riuniti in Conclave sia illuminata e guidata dallo Spirito Santo. Ritengo piuttosto che il voto dei Cardinali sia orientato da considerazioni approfondite sulla situazione storica e sulla figura che meglio potrebbe guidare la Chiesa nello specifico contesto geopolitico.

Lontano dal pensare che il Collegio cardinalizio sia formato da sprovveduti, suppongo che la scelta del Cardinale Bergoglio come Papa sia nata da due ordini di considerazioni. Da un lato il vuoto lasciato dal crollo del socialismo: dopo oltre un secolo di prudente ritirata dal campo sociale, egemonizzato da posizioni raramente amichevoli verso la Chiesa, si apre ora la possibilità per la Chiesa di occupare gli spazi che la sinistra politica non è più in grado di colmare e nei quali anzi appare in crescente difficoltà. Da un secondo lato deve avere pesato la competizione con l’islamismo, la religione che in questo frangente storico ha un’attrattiva senza pari per le masse di diseredati grazie alla capacità di proporsi come unica alternativa su scala globale all’ideologia liberista.

continua

 

 


 

 

bambini in una discarica di una favelas

Bergoglio e Boff: due svolte ambientaliste a confronto

 

di Stefano Marullo

 

Si è, come di consueto, molto parlato della cosiddetta svolta bergogliana contro l’antropocentrismo sancita con l’ultima enciclica sull’ambiente Laudato si’ (su cui scrive con il solito acume anche Enrica Rota su questo numero de L’Ateo e alle cui considerazioni si rimanda). Certa terminologia, in effetti, è abbastanza inedita in ambito cattolico nei documenti ufficiali. Ci si riferisce, in particolare, all’espressione contenuta nell’enciclica suddetta che recita: «Mossi da una spiritualità orientata alla conversione ecologica». 

continua

 

 


 

 

san Francesco e gli uccelli

«Laudato si’» … una enciclica “innovativa” … ma anche no

 

di Enrica Rota

 

C’era una volta un Papa che ne aveva combinate i tutti i colori … e che era stato talmente odioso, arrogante e prepotente con i suoi avversari da meritarsi, pare, un sonoro ceffone, infertogli ad Anagni dal poderoso guanto di ferro del suo arcinemico, certo Giacomo Sciarra Colonna …

continua

 

 

 


 

 

meglio tardi che mai

Meglio tardi che mai

 

Valerio Pocar

Laudato si’, mi’ Signore, cum tucte le tue creature

 

Come a tutti è noto, il romano pontefice Francesco I ha promulgato, il 24 maggio di quest’anno, l’enciclica Laudato si’, in merito alla quale i commenti appunto laudativi si sono sprecati, specie per ciò che riguarda la presa di posizione sulle questioni ecologiche in essa contenute.

Una lettura meno superficiale e giornalistica del testo, peraltro, induce a osservare che, proprio rispetto a tali questioni, nulla si dice che non sia ormai risaputo e patrimonio d’idee condiviso da tutti quanti abbiano mai studiato i citati argomenti o anche semplicemente vi abbiano riflettuto col loro semplice buon senso. La novità consiste, dunque, nel fatto che finalmente la Chiesa cattolica, per bocca del suo più autorevole esponente, fa proprie alcune idee rispetto alle quali aveva sempre evitato di esprimersi. continua

 

 


 

 

Eran le cinque della sera … le cinque della sera … sull’orologio fermo

Eran le cinque della sera … le cinque della sera … sull’orologio fermo

 

di Mimma Liber

 

Il pontificato di Papa Francesco è apparso subito come una ventata di aria fresca in una Chiesa frastornata dagli scandali interni, e incapace di recuperare credibilità nella difficile sfida imposta da problemi inediti rispetto alla sua tradizionale catechesi pastorale. L’appellativo di “esperta in umanità” che si è sempre attribuita, se appare quanto meno arrogante ad un laico, si fonda, per un credente, sull’ipotesi di possedere una verità ultima e definitiva, garantita dalla rivelazione divina. La struttura fortemente verticistica e gerarchica della Chiesa (cattolica, è bene precisarlo) affida inoltre ai suoi vertici – ai Vescovi , ai Cardinali, e, in ultima istanza, al Papa - il compito di ridefinire volta per volta la” volontà di Dio”,  al fine di declinarla in indicazioni di comportamento per i fedeli, e non solo. D’altra parte al Papa viene riconosciuta un’autorità morale anche da parte del mondo laico, grazie alla millenaria azione della sua Chiesa, supportata da una capillare organizzazione per il controllo delle coscienze. È per questo che la sua voce è spesso determinante anche per le scelte politiche, le quali, invece, per loro natura, riguardano credenti, non credenti o diversamente credenti.    

 

continua

 

 


 

 


Purché non rimanga lettera morta ...

 

di Fabio Fantini

 

Faccio parte di quel gruppo di persone, che sospetto numericamente non irrilevante, secondo le quali va considerata con qualche scetticismo l’ipotesi che la scelta del Papa da parte dei Cardinali riuniti in Conclave sia illuminata e guidata dallo Spirito Santo. Ritengo piuttosto che il voto dei Cardinali sia orientato da considerazioni approfondite sulla situazione storica e sulla figura che meglio potrebbe guidare la Chiesa nello specifico contesto geopolitico.

Lontano dal pensare che il Collegio cardinalizio sia formato da sprovveduti, suppongo che la scelta del Cardinale Bergoglio come Papa sia nata da due ordini di considerazioni. Da un lato il vuoto lasciato dal crollo del socialismo: dopo oltre un secolo di prudente ritirata dal campo sociale, egemonizzato da posizioni raramente amichevoli verso la Chiesa, si apre ora la possibilità per la Chiesa di occupare gli spazi che la sinistra politica non è più in grado di colmare e nei quali anzi appare in crescente difficoltà. Da un secondo lato deve avere pesato la competizione con l’islamismo, la religione che in questo frangente storico ha un’attrattiva senza pari per le masse di diseredati grazie alla capacità di proporsi come unica alternativa su scala globale all’ideologia liberista.

 

Non sono in grado di capire se Bergoglio sia uno smaliziato interprete di un ruolo già programmato oppure un personaggio sincero cui è stato malvolentieri affidato il ruolo di rimodellare una Chiesa più vicina alle istanze sociali e più attenta ai rischi di catastrofi ambientali. Gli do però atto di essere, almeno a mia conoscenza, il primo Papa con una formazione culturale anche scientifica, cosa che mi ha incoraggiato a leggere l’enciclica Laudato si’.

Trascuro la noia per i richiami dottrinali, alcuni dei quali mi sono sembrati un prudente omaggio ai principii tradizionali e ai predecessori; trascuro anche il discreto fastidio causato dal frequente ricorso alla retorica. La divergenza di fondo con la mia visione del mondo sta nella dichiarata aspirazione, tipica di ogni ideologia assolutistica, di costruire una società ideale, statica perché perfetta: i poveri avranno cibo, ciascun essere vivente potrà realizzarsi secondo la propria natura, ecc. Tutto molto bello, però noi viviamo in un mondo fisico caratterizzato dal cambiamento incessante dovuto alla continua competizione per risorse limitate; sarebbe bene tenerne conto e capire che non esistono progetti di società perfette eternamente validi.

C’è anche altro, però, nell’enciclica Laudato si’. Ad esempio, nelle prime pagine del documento, compare questa frase: «Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico». Constato con piacere che il consenso scientifico è finalmente elevato ad affidabile criterio di riferimento per giudicare la validità di teorie che riguardano il funzionamento del mondo. E poi, sembrerà una sciocchezza ma mi ha colpito, «biossido di carbonio» e non «anidride carbonica», con l’uso della nomenclatura IUPAC. Inoltre, ho letto con soddisfazione i frequenti riferimenti all’evoluzione dei viventi come un fatto scontato. È vero che più avanti si scrive «L’essere umano, benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti». Intanto godiamoci questa inaspettato ingresso della termodinamica nei documenti della Chiesa, consapevoli che l’unicità (suppongo della fase finale; oppure c’è una sorta di linea germinale che affonda fino all’Archeano?) dei fenomeni evolutivi che riguardano la nostra specie è un espediente di breve respiro, l’ultima diga su cui si abbarbica la disperata difesa della eccezionalità della specie umana.

Questa enciclica contiene un trattato divulgativo di principi di ecologia, coniugati con i problemi economici e sociali. Suscita amichevole tenerezza leggere in un’enciclica papale l’invito (più che condiviso, sia ben chiaro!) a usare i mezzi di trasporto pubblici, mentre solleva qualche perplessità il rifiuto di citare esplicitamente come responsabile della crisi che l’umanità sta vivendo il modo capitalistico di produzione delle merci, per mascherarlo dietro un meno compromettente «paradigma tecnocratico». Però non si può avere tutto e allora mi accontento dell’affermazione che «non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri». (A proposito, immagino si parli di Terra e non di terra, ma ho riportato la citazione fedelmente). Si dirà che non ci voleva un Papa per scoprire l’acqua calda; il fatto però che questa affermazione, non solo totalmente condivisibile ma anche dirimente per capire da che parte si sta nelle discussioni sui problemi ambientali, figuri in un’enciclica papale è un segnale di buon auspicio.

Non sono molto pratico delle usanze dei Cattolici nei confronti delle encicliche, ma mi chiedo quali conseguenze ci sarebbero se una metà dei Cattolici nel mondo leggesse la Laudato si’ e una metà di questa metà riflettesse a fondo su frasi come «è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti». Anche se la congruenza di comportamento con i principi della propria religione e con le raccomandazioni della massima autorità non è una caratteristica distintiva di tutti i Cattolici, forse qualche scelta politica più attenta ai problemi ambientali e sociali diventerebbe possibile.

 

Nella mia ignoranza di materialista, ritenevo che le encicliche fossero come la Settimana Enigmistica, vale a dire pubblicazioni praticamente esenti da errori formali (di stampa o di altro genere), perché riviste da uno stuolo di attentissimi correttori di bozze. E invece no, che delusione! Oltre al nome del nostro pianeta scritto con l’iniziale minuscola, pertanto regolarmente confuso con il materiale incoerente e friabile formato dalla disgregazione delle rocce, ho notato un errore di concordanza di numero tra soggetto e verbo, un paio di anacoluti (uno tratto da una citazione di un documento di vescovi, per la verità), la ripetuta presenza di una virgola tra soggetto e verbo; meno importante, compare «diossido di zolfo» poco dopo «biossido di carbonio»: è vero che entrambe le forme sono accettate nella nomenclatura chimica, ma un po’ di coerenza, che diamine!

 

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Fabio Fantini è stato insegnante di Scienze e ha collaborato alla stesura di manuali scolastici con la Casa Editrice Italo Bovolenta e a NATURALMENTE.

 


 

Bergoglio e Boff: due svolte ambientaliste a confronto

 

di Stefano Marullo

 

Si è, come di consueto, molto parlato della cosiddetta svolta bergogliana contro l’antropocentrismo sancita con l’ultima enciclica sull’ambiente Laudato si’ (su cui scrive con il solito acume anche Enrica Rota su questo numero de L’Ateo e alle cui considerazioni si rimanda). Certa terminologia, in effetti, è abbastanza inedita in ambito cattolico nei documenti ufficiali. Ci si riferisce, in particolare, all’espressione contenuta nell’enciclica suddetta che recita: «Mossi da una spiritualità orientata alla conversione ecologica».

 

Diversi mesi addietro, il cardinale Parolin, intervenendo al Summit ONU sul clima (settembre 2014) aveva usato termini che richiamavano la responsabilità delle nazioni riguardo al pianeta. Il messaggio per la 10a Giornata per la custodia del creato (1° settembre 2015) era dello stesso tenore. Un ottimo viatico in vista del vertice di Parigi delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si svolge dal 30 novembre all’11 dicembre mentre noi andiamo in stampa. Si tratta, a ben vedere, di uno scostamento di non poco conto rispetto alla tradizione cattolica prevalente laddove, a partire dai Padri della Chiesa e con il suo apice durante il cristianesimo medievale, non si mancato di sottolineare una concezione degradata della natura, una vera svalutazione del cosmo e del creato che, forte da riferimenti biblici che vanno dalla Genesi fino a san Paolo, ha voluto in tal modo esaltare il valore redentivo dell’incarnazione di Gesù Cristo.

Ma ancora non molto tempo fa, il Magistero ecclesiastico si esprimeva con toni molto diversi. Alla fine, infatti, del seminario internazionale promosso in Vaticano dal Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace sui temi ambientali, alla presenza di esponenti del mondo scientifico e della politica, svoltosi il 26 e 27 settembre 2007, il presidente cardinale Martino scriveva nelle Conclusioni:

 

«La natura è per l’uomo e l’uomo è per Dio […]. L’uomo ha una indiscussa superiorità sul creato e, in virtù del suo essere persona dotata di un’anima immortale, non può essere equiparato agli altri esseri viventi, né tantomeno considerato un elemento di disturbo dell’equilibrio ecologico naturalistico […] Nella considerazione delle problematiche connesse ai cambiamenti climatici, si deve riconoscere che la dottrina sociale della Chiesa deve fare i conti con molte odierne forme di idolatria della natura che perdono di vista l’uomo».

 

Ennesima svolta bergogliana dunque o più presumibilmente solita camaleontica mimetizzazione dei vertici della Chiesa Cattolica sempre bravi a fiutare l’aria che tira? Perché in fondo la perdurante ostilità di Romana Chiesa verso l’ecologismo, che in taluni ambienti fondamentalisti, dai teocon americani ai fanaticelli di casa nostra (Radio Maria) raggiungono toni parossistici, non nasconde forse la preoccupazione di vedere in un eccessivo interventismo delle nazioni, la messa in discussione dei soliti tabù (controllo delle nascite, contraccezione ed aborto, educazione sessuale) sui quali ancora molto timido appare il papa rivoluzionario?

Meno nota, forse, la svolta ambientalista che ha interessato uno dei più celebri protagonisti dello scontro che, negli anni Ottanta del secolo scorso, ha visto da una parte il Vaticano e dall’altra la teologia della liberazione: Leonardo Boff. La sua teologia liberazionista nel corso degli anni, e in particolare, dopo la sua riduzione allo stato laicale, ha subito un vero e proprio processo di meticciato incontrandosi sia con il pluralismo religioso sia con l’ecologismo militante. Della sua vasta produzione, il libro Ecologia – Grito da terra, grito dos pobres, del 1995 segna una tappa decisiva verso la nuova prospettiva critica che fa appello ad uno sviluppo sostenibile e per questo ha incontrato il favore dei movimenti terzomondisti e dei forum sociali (dove Boff è stato lungamente di casa e arringatore di folle).

È però in una serie di articoli pubblicati sulla rivista Concilium che Boff ha chiarito in modo inequivocabile il superamento non solo dell’antropocentrismo ma finanche del cristocentrismo riguardo al cosmo, alla natura, alla libertà umana, con toni inediti e, per certi versi, clamorosi. Partendo dal processo di globalizzazione come fenomeno non solo economico e finanziario ma anche come una fase nuova per la terra e l’umanità, all’insegna dell’apertura dei vari sistemi di valori, tradizioni e saperi, Boff arriva ad auspicare che anche il cristianesimo si spogli dai suoi limiti spazio-temporali non essendo «un fossile pietrificato nelle sue formulazioni dottrinali e nelle sue espressioni storiche». La dimensione cosmica di Cristo, colta attraverso alcuni passaggi delle lettere paoline ai Colossesi e agli Efesini diventa una sorta di nuovo paradigma: la creazione stessa assurge a forma di auto-manifestazione di Dio. Non più una creazione a perdere, decaduta dalla quale strappare l’uomo affinché non sia travolto dal peccato ma una interdipendenza tra creato e creatura. Sullo sfondo l’elemento che Boff chiama cristico, evocazione del Cristo cosmico che in Gesù di Nazaret raggiunge una manifestazione eccellente ma non ne esaurisce la forza e la complessità. Questo elemento, per Boff, è presente in molteplice figure storiche, ma anche «in ciascun essere, nella materia, nel mondo subatomico e nelle energie primordiali». La creazione torna a Dio perché ne è imbevuta (unta); per questo è sacra.

Delle due svolte olistiche, quella di Bergoglio appare distonica rispetto alla tradizione e da mettere al vaglio dei fatti. Quella di Boff sembra invece più coerente: la teologia della liberazione che si estende dall’uomo all’universo, a quella creazione che, in attesa della universale redenzione, ancora «geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto», come scriveva Paolo di Tarso ai Romani.

 


 

«Laudato si’» … una enciclica “innovativa” … ma anche no

 

di Enrica Rota

 

C’era una volta un Papa che ne aveva combinate i tutti i colori … e che era stato talmente odioso, arrogante e prepotente con i suoi avversari da meritarsi, pare, un sonoro ceffone, infertogli ad Anagni dal poderoso guanto di ferro del suo arcinemico, certo Giacomo Sciarra Colonna …

 

Questo Papa è rimasto famoso, oltre che per il suddetto increscioso episodio, anche per essere stato messo da Dante, senza tanti complimenti, all’inferno (Canto XIX – il famoso “Canto di Bonifacio”), per aver istituito il Giubileo e per aver scritto un’enciclica (la bolla «Unam Sanctam») che è un capolavoro di pensiero teocratico, ovvero: il potere “temporale” deve essere subordinato al potere “spirituale”, quindi tutti i sovrani devono obbedire alla chiesa, al di fuori della quale non c’è salvezza ... e pertanto è necessario, proprio ai fini della salvezza, che ogni creatura sia sottomessa al Santo Papa. Questo il “succo” della bolla «Unam Sanctam».

Ma eravamo nel lontano 1303 … il Medioevo non era ancora terminato e quindi si capisce che certi Papi continuassero a smenarla con questa storia della teocrazia e della supremazia della chiesa … Adesso i tempi sono cambiati, siamo nel XXI secolo e, sebbene i Giubilei vengano indetti tuttora (e non soltanto quelli ordinari, come ai tempi di Bonifacio VIII, ma anche quelli straordinari!), la chiesa ha ormai rinunciato alle sue pretese teocratiche e le encicliche dei Papi odierni sono ben diverse da quelle del passato … Oppure no?

Prendiamo per esempio l’enciclica più recente, la pluri-laudata «Laudato si’», datata 24 maggio 2015 e firmata “Franciscus”, che ci presenta un Papa innovativo, un Papa ecologo che si preoccupa dei problemi ambientali del pianeta, che bacchetta i potenti della terra invitandoli a risolverli, e non solo … un Papa che, sulle orme del suo omonimo San Francesco d’Assisi, riconosce e rivendica il valore dei poveri, dei diseredati, degli “ultimi” di questo mondo, e finanche degli animali, dei quali si occupa esplicitamente nell’enciclica. Ma quale novità, ma che innovazione, ma quanta differenza dai suoi predecessori! O no?

Per poter dare una risposta vediamo allora un po’ che cosa scrive Papa Francesco in questa enciclica.

Incominciamo dunque con il dover deludere, purtroppo, tutti coloro che hanno a cuore il benessere degli animali, siano essi vegetariani, vegani, aspecisti, anti-vivisezionisti o semplicemente persone dotate di sensibilità ed empatia: nell’enciclica non si parla degli animali come di esseri senzienti e capaci di soffrire esattamente come gli uomini, non si rivendica per loro nessun diritto, non ci si preoccupa di tutelarli in maniera particolare e in sostanza, a parte qualche affermazione molto generica sulla opportunità di non fare un “uso disordinato” della creazione e dunque di non fare soffrire gli animali inutilmente, si lascia più o meno all’uomo la libertà di utilizzare il mondo animale come meglio gli pare. I movimenti animalisti e aspecisti vengono rimproverati neanche tanto velatamente “di negare alla persona umana qualsiasi preminenza” dato che portano avanti “una lotta per le altre specie che non mettiamo in atto per difendere la pari dignità tra gli esseri umani” (punto 90) e il Papa anzi non tralascia di sottolineare “l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali in via di estinzione ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a distruggere un altro essere umano che non gli è gradito” – e beccatevi questa stoccatina pure voi, cari aborzionisti! (punto 91).

La visione papale del rapporto uomo-animali non si discosta neanche di un millimetro da quella solita dell’antropocentrismo cattolico, che vede una fondamentale differenza fra la specie umana e tutte le altre: si legge infatti nell’enciclica (punto 81): “L’essere umano, benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione […] La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività, l’interpretazione, l’elaborazione artistica ed altre capacità originali mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico. La novità qualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno dell’universo materiale presuppone un’azione diretta di Dio” (corsivi miei). Insomma, in poche parole, noi abbiamo l’anima e i poveri animali no. Checché ne pensasse San Francesco d’Assisi. E alla faccia della teoria dell’evoluzione.

E perciò, cari animali, per quanto riguarda la chiesa il tempo del vostro riscatto è ancora di là da venire. Sicuramente, però, non sarà così per i poveri che, come tutti sappiamo, a questo Papa che ha scelto di portare proprio il nome del “Poverello di Assisi” stanno molto a cuore. E dunque sarà proprio nella trattazione dell’argomento “povertà” che questa enciclica si dimostrerà veramente originale e innovativa. O forse no?

Fiumi di parole vengono dedicati nell’enciclica alla questione della povertà. Il Santo Padre non manca di rilevare come i poveri siano coloro che fanno maggiormente le spese dei cambiamenti climatici e dei problemi ambientali e perciò insiste sul fatto che un vero approccio ecologico teso a risolvere i problemi del pianeta non possa prescindere da un approccio sociale che tenga conto, oltre che del “grido della terra”, anche e soprattutto di quello dei poveri. Alcune sue affermazioni potrebbero sembrare addirittura molto “spinte” e quasi rivoluzionarie, come quando afferma il diritto di tutti all’uso dei beni della terra, come ad esempio l’acqua, l’accesso alla quale viene da lui definito come un diritto umano essenziale (punto 30), oppure quando, insieme ai vescovi del Paraguay, riconosce ai contadini poveri il diritto “naturale” di possedere un appezzamento di terra che permetta loro di svolgere una vita dignitosa (punto 94).

Ma il Santo Padre non si spinge molto più in là di questo. Non si sogna neanche lontanamente di mettere in discussione l’esistenza della proprietà privata, semplicemente afferma, insieme al suo predecessore Giovanni Paolo II e in perfetto accordo con la millenaria dottrina della chiesa, che “su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale, perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha loro dato” (punto 93), ovvero: voi ricchi non scordatevi di fare la carità ai poveri, voi che consumate tante risorse del pianeta consumatene un po’ di meno e lasciatene anche un po’ da consumare ai poveri. E che la concezione papale del “riscatto” dei poveri non vada al di là del caritatevole assistenzialismo paternalistico così come formulato dalla Dottrina Sociale della chiesa lo si vede molto bene subito dopo, al punto 94, dove il nostro Francesco esordisce in questo modo: “Il ricco e il povero hanno uguale dignità, perché ‘il Signore ha creato l’uno e l’altro’ (Pr 22,2)”: eccoci qua, ricchezza e povertà come categorie eterne, immutabili, volute addirittura da Dio. Nessun riscatto dalla povertà, nessuna “teologia della liberazione”, nessuna (che Dio ce ne scampi!) lotta di classe. Per i poveri, soltanto il solito contentino della carità. Perciò, come già per gli animali, anche il tempo dei poveri è di là da venire. Mooolto di là da venire: “La vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati” (punto 243).

Ma passiamo ora ai temi centrali di questa universalmente laudata enciclica, ovvero ambiente ed ecologia. Sarà sicuramente qui dove il nostro Francesco si mostra per quello che è: un Papa davvero moderno e innovativo. O magari anche no?

Vediamo. Si comincia con la solita paternale: Ahi, ahi, ahi, bambini cattivi, che non trattate bene la casa comune, cioè la creazione! Insomma, per i doni di Dio bisogna avere un po’ di rispetto! E dunque se Dio vi ha donato (o, per meglio dire, “dato in custodia”, perché in realtà il padrone è sempre Lui) la creazione, voi dovete trattarla con cura! E invece che fate? Corrotti come siete dal peccato [1], la maltrattate, la sfruttate, la inquinate, ne fate un uso irresponsabile! E guardate come avete ridotto il pianeta (e qui il Santo Padre ci illustra tutti i mali che abbiamo causato – inquinamento, effetto serra, cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, desertificazione, degrado generalizzato, ecc.), bambini cattivi cattivi che non apprezzate i doni di Dio!

Il nostro Franciscus passa poi a criticare il capitalismo selvaggio, la finanza aggressiva, il predominio della “tecnocrazia”, il consumismo sfrenato, il materialismo e la globalizzazione … tutti mali della società “post-industriale” che sono secondo lui responsabili dell’attuale degrado ambientale e che derivano fondamentalmente dal fatto che l’uomo si comporta come se fosse il padrone dell’universo dimenticandosi che il vero padrone di tutte le cose è Dio. Occorre dunque un cambiamento di rotta e il Papa propone una “ecologia integrale” che parta dal principio del “bene comune” e che veda tutti gli uomini collaborare fraternamente per la salvezza del pianeta attraverso la realizzazione di forme di vita e di sviluppo sostenibili ed eco-compatibili. Queste le linee-guida generali dell’enciclica.

Al di là del profluvio di parole papale, però, di soluzioni concrete ne vengono proposte ben poche, o meglio soltanto una: l’esercizio della “sobrietà”, la riduzione dei consumi (che magari il Papa sia segretamente un seguace di Serge Latouche – o forse addirittura di Beppe Grillo?), perché alla messa in atto di eventuali politiche di controllo delle nascite non si può neanche lontanamente pensare: questo il Santo Padre ce lo spiega molto bene, al punto 50: non si tratta di ridurre le nascite ma il consumismo, visto che a suo parere sul pianeta di risorse ce ne sarebbero abbastanza per tutti, se tutti esercitassimo una maggiore moderazione nei consumi (“va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale” – si legge al punto 50), e tra l’altro, prosegue Francesco, attualmente circa un terzo del cibo prodotto viene sprecato e basterebbe invece regalarlo ai poveri, perché “il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero” … insomma il Pontefice è categorico: il problema da affrontare non è di certo quello dell’aumento demografico. E crepi il comune buon senso!

E del resto, il buon senso non è mai stato il punto forte della concezione cattolica della vita e i Papi non si sono mai abbassati a ragionare sensatamente sulle cose concrete ma hanno sempre volato alto, occupandosi di questioni spirituali, di assoluti, di grandi valori, di fini ultimi, di verità imprescindibili … e Francesco non costituisce di certo un’eccezione. E quindi, al di là degli aspetti “materiali” della crisi in cui versa il mondo attuale, al nostro eco-Papa interessano soprattutto quelli spirituali, le sue radici più profonde. L’attuale crisi ecologica non è altro, secondo lui, che “una manifestazione esterna della crisi etica, culturale e spirituale della modernità” (punto 119) e in ultima analisi deriva dal fatto che oggigiorno non si riconosce più l’esistenza di “verità indiscutibili”, di orizzonti assoluti di riferimento, di valori ultimi e non-negoziabili. E indoviniamo un po’ quale istituzione sarebbe portatrice di tutte queste verità, orizzonti e valori? “Nessuna salvezza fuori dalla chiesa”, diceva il nostro Papa Bonifacio, in perfetta sintonia con il suo odierno successore.

Originale e innovativa, dunque, l’enciclica «Laudato si’»? Ma no, proprio no, manco per niente, neanche un po’!

Per concludere, torniamo un attimo nel lontano 1303: tempi gloriosi in cui c’era ancora chi aveva il coraggio di schiaffeggiare i Papi. Ai nostri giorni, però, non esiste più uno Sciarra Colonna che osi – non dico schiaffeggiare, non dico dare un pugno (che forse sarebbe più nello stile di questo Papa), non dico neanche dare un buffetto al Santo Padre – ma nemmeno criticarlo a parole. Una bella tiratina di orecchie, invece, io gliela darei: per aver cercato di darcela a bere di essere un ingenuo francescano quando in realtà è uno scaltro gesuita; per fingere di essere un Papa “alternativo” e innovativo quando in realtà è esattamente come tutti i suoi predecessori; ed infine per averci annoiato con questa lunghissima (e veramente pallosa) enciclica!

 

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Note

 

[1] Che poi non si capisce a che cosa è servito che Cristo morisse sulla croce per salvarci dal peccato se il peccato ce l’abbiamo ancora addosso – ma non voglio qui entrare in complicatissime questioni teologiche!

 


 

Meglio tardi che mai

 

Valerio Pocar

Laudato si’, mi’ Signore, cum tucte le tue creature

 

Come a tutti è noto, il romano pontefice Francesco I ha promulgato, il 24 maggio di quest’anno, l’enciclica Laudato si’, in merito alla quale i commenti appunto laudativi si sono sprecati, specie per ciò che riguarda la presa di posizione sulle questioni ecologiche in essa contenute.

Una lettura meno superficiale e giornalistica del testo, peraltro, induce a osservare che, proprio rispetto a tali questioni, nulla si dice che non sia ormai risaputo e patrimonio d’idee condiviso da tutti quanti abbiano mai studiato i citati argomenti o anche semplicemente vi abbiano riflettuto col loro semplice buon senso. La novità consiste, dunque, nel fatto che finalmente la Chiesa cattolica, per bocca del suo più autorevole esponente, fa proprie alcune idee rispetto alle quali aveva sempre evitato di esprimersi.

 

Ancora una volta, insomma, si tratta di un prudente adeguamento a ciò che tutti dicono e sanno e nessuno più revoca in dubbio. Meglio tardi che mai, si potrebbe dire, ma è una presa di posizione da valutare positivamente, proprio perché può contribuire a legittimare scelte generalmente condivise a parole, ma troppo spesso contraddette nei fatti per motivazioni politiche e soprattutto economiche.

Anche a non voler porre l’accento sui profili etici della questione, non ci si rende dunque conto che la zoofagia è una delle principali cause del dissesto ecologico (emissioni di gas serra degli allevamenti, riduzione della biodiversità, eccesso di consumi idrici, deforestazione e via elencando) e della fame nel mondo, per via dello spreco di risorse alimentari. Sul punto, peraltro, l’insegnamento della Chiesa cattolica non appare più arretrato di quello proposto da altre fonti che dovrebbero avere la miglior considerazione del problema. Penso, ad esempio, alla cosiddetta Carta di Milano, che rappresenta il documento progettuale frutto dell’elaborazione culturale di Expo2015 in materia di cibo, con la finalità di migliorare la quantità e la qualità dell’alimentazione umana. In tale documento, infatti, si colgono solo vaghi accenni al benessere degli animali, che rileva comunque solo al fine di un miglioramento della qualità del prodotto animale, mentre manca una reale consapevolezza della gravità delle conseguenze di tale tipo di consumi nonché della necessità di un mutamento radicale degli stili alimentari umani.

Le ragioni politiche, economiche e soprattutto commerciali di siffatta scelta sono semplicemente intuitive. Tuttavia, se questa inconsapevolezza, che non sfiora neppure i profili etici della questione, già appare deludente in un documento “laico”, la medesima inconsapevolezza e la disattenzione verso i profili etici risultano sconcertanti in un documento proveniente da un’autorità religiosa, che dovremmo supporre sommamente attenta all’etica delle scelte.

Sconcerto, ma non sorpresa. L’enciclica, infatti, si sofferma a lungo (§ 115 e seguenti) sulla critica all’«antropocentrismo deviato», che, more solito, sarebbe il frutto perverso del relativismo. Sicché un retto antropocentrismo sarebbe da accogliersi per legittimare la disattenzione morale nei confronti degli animali non umani.

 

Da "Critica liberale", 29, settembre 2015

 

 


 

 

Eran le cinque della sera … le cinque della sera … sull’orologio fermo

 

di Mimma Liber

 

Il pontificato di Papa Francesco è apparso subito come una ventata di aria fresca in una Chiesa frastornata dagli scandali interni, e incapace di recuperare credibilità nella difficile sfida imposta da problemi inediti rispetto alla sua tradizionale catechesi pastorale. L’appellativo di “esperta in umanità” che si è sempre attribuita, se appare quanto meno arrogante ad un laico, si fonda, per un credente, sull’ipotesi di possedere una verità ultima e definitiva, garantita dalla rivelazione divina. La struttura fortemente verticistica e gerarchica della Chiesa (cattolica, è bene precisarlo) affida inoltre ai suoi vertici – ai Vescovi , ai Cardinali, e, in ultima istanza, al Papa - il compito di ridefinire volta per volta la” volontà di Dio”,  al fine di declinarla in indicazioni di comportamento per i fedeli, e non solo. D’altra parte al Papa viene riconosciuta un’autorità morale anche da parte del mondo laico, grazie alla millenaria azione della sua Chiesa, supportata da una capillare organizzazione per il controllo delle coscienze. È per questo che la sua voce è spesso determinante anche per le scelte politiche, le quali, invece, per loro natura, riguardano credenti, non credenti o diversamente credenti.    

Non stupisce affatto, dunque, che il Papa abbia sorpreso tutti quando ha rotto, e sin da subito, la tradizione che ammantava di sacralità il ruolo papale con segni, simboli e riti da principe della chiesa, e si è presentato come amico, come compagno di strada, come pastore che innanzitutto “sente” l’odore delle pecore” prima di quello dell’incenso. Che sia dunque giunto il tempo di una svolta epocale nei rapporti fra Chiesa e mondo? A sottolineare la volontà di rottura sta la divisione che Francesco ha provocato - anzitutto nella sua Chiesa, (soprattutto nella gerarchia, e, in particolare in quella élite auto centrata, che stenta a fare a meno del potere) mentre il mondo laico, con i suoi esponenti più in vista, a parte gli “atei-devoti – vede in questo Papa l’annuncio di una rivoluzione da tempo attesa.

In questo contesto sembra davvero sorprendente l’enciclica “Laudato sì “, in cui il Papa rende esplicito quello che si potrebbe chiamare il suo particolare carisma, già anticipato dalla scelta del nome Francesco, unico nella storia dei Papi: un’attenzione preferenziale per i poveri, per gli ultimi e i diseredati, ai quali la rapacità del mondo globalizzato toglie i mezzi di sopravvivenza, sfruttando in modo irresponsabile la Terra, che è un bene di tutti. Da qui, da una preoccupazione squisitamente pastorale, Francesco allarga la sua riflessione fino ad assumere il tema ecologico, e a renderlo oggetto di una analisi molto estesa ed argomentata.

Nel primo capitolo richiama alla consapevolezza di quello che sta accadendo alla nostra casa comune, e descrive, in sottotemi articolati, l’inquinamento e i cambiamenti climatici, la questione dell’acqua, la perdita di biodiversità, il deterioramento della qualità della vita umana e la conseguente degradazione sociale, spinta fino all’iniquità planetaria, che riserva solo a pochi il privilegio di godere dello sfruttamento indiscriminato delle risorse della Terra. Il tutto a scapito di miliardi di persone che ne sono deprivate, o che sono sfruttate come schiavi nella folle corsa ad uno sviluppo incontrollato.

L’analisi dei dati di realtà denunciati dal Papa è quella che è venuta maturando nella comunità scientifica, della quale l’enciclica assume sia il linguaggio sia l’approccio metodologico, che viene esplicitamente dichiarato: l’uomo, gli altri esseri viventi, la terra e l’ambiente sono strettamente integrati , come i nodi e le maglie di una rete: occorre perciò una visione nel contempo analitica ed olistico-globale, cui non sfugga la complessità dell’intero sistema. Il termine complessità compare più volte, anche in altri capitoli, quando Francesco arriva ad enunciare il concetto di “ecologia integrale”, nell’intento di analizzare le cause del perduto equilibrio nelle relazioni fra il sistema ambiente, il sistema economico e il sistema sociale.

Sul piano delle proposte, l’enciclica sottolinea la necessità di rivedere criticamente i concetti di natura, di sviluppo, di crescita continua, di profitto - propri dell’economia capitalistica dominante - per mettere al centro l’uomo nella sua dimensione individuale così come in quella sociale. Le risorse della terra e la loro trasformazione prodotta dal lavoro , dice Papa Francesco, devono essere finalizzate alla realizzazione di una buona vita per tutti. Occorre pertanto tener conto dei principi etici di responsabilità, di cura, di difesa dell’ambiente, di uguaglianza e di solidarietà fra gli esseri umani. Il tutto in nome del fatto che la Creazione è opera di Dio, che l’ha donata all’Uomo col compito di custodirla, rispettarla e portarla a compimento. Si sente qui l’eco della teologia di Teilhard de Chardin, il “gesuita proibito”, che, da paleontologo credente, formula una spiritualità tutta particolare: la materia, definita “stoffa dell’Universo” viene finalmente valorizzata, e l’evoluzione darwiniana si inquadra in un progetto divino che si compirà alla fine dei tempi. Cristo, punto omega dell’evoluzione, realizzerà pienamente l’intento creativo e salvifico di Dio per l’uomo e per il cosmo. Dio, quindi, come causa finale.

Ma, nell’enciclica, ci sono anche gli echi della teologia della liberazione elaborata dell’ex frate Leonardo Boff, e da Jon Sobrino, finora ai margini dell’ortodossia dominante, così come quelli dei movimenti religiosi sensibili ai temi ecologici. Francesco cita i documenti ecclesiali formulati da varie Conferenze episcopali: quella Boliviana, quella Latino-Americana, quella dei Caraibi, quella dei Vescovi del Brasile, del Canada o del Giappone, per ricordarne solo alcune. Visioni, valori e principi confluiti anche in un prezioso documento, la Carta della Terra, formulato nel 2001, e frutto di un’ampia consultazione fra tradizioni religiose e spirituali e centri di ricerca scientifica, a livello mondiale. Promossa e sostenuta da Gorbaciov, Rockfeller e dal sottosegretario delle Nazioni Unite Strong, verrà poi assunta ufficialmente dall’Unesco nel 2003 come prezioso materiale per diffondere la sensibilità alla cura responsabile della Madre Terra.

C’è dunque un retroterra culturale nel quale è maturata l’enciclica di papa Francesco, e soprattutto un retroterra esperienziale, che, non a caso, ha portato Bergoglio in Vaticano a partire dalla “ fine del mondo”. Di quel mondo dove la sua proposta religiosa si è confrontata con la realtà del sottosviluppo, dell’emarginazione, della povertà e della sofferenza. E si è anche alimentata  delle forme e dei linguaggi semplici della religiosità dei popoli indigeni, ed ha così maturato una “rivoluzione” pastorale, prima ancora che dottrinale.

Se con questa enciclica, infatti, la Chiesa – finalmente! - si fa carico della cura dell’uomo e della terra, e non solo delle anime, sul piano teologico, invece, la visione cosmologica resta ben ancorata alla dottrina della Creazione. I rimandi bibliografici con i quali il Papa sostiene la sua visione spirituale si allineano ai principi cari a Giovanni Paolo II e a Ratzinger, che, com’è noto, vedono nella Modernità solo materialismo, riduzionismo e relativismo. Nessuna rivoluzione, quindi, sul piano dottrinale.

È interessante anche notare come Francesco tenti di conciliare evoluzionismo e creazionismo, ricorrendo al modello di Dio come causa efficiente, cioè come autore fin dall’inizio di tutto ciò che esiste, e contemporaneamente alla concezione di un Deus Creator et Evolutor. Dio interverrebbe dunque nella creazione con una presenza continua che assicura la permanenza e lo sviluppo di ogni essere ... ed è la continuazione dell’azione creatrice, citando S. Agostino. (cap. II, par.79). Altrove Francesco sembra rifarsi a Giovanni Paolo II ricorrendo al “saltazionismo”: Dio guida la sua opera nel momento di un “salto ontologico”qualitativo, per esempio nella creazione dell’uomo nel quale immette l’anima. Dice, infatti, l’enciclica (cap.II, par.81) L’essere umano, benchè supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti . La novità qualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno di un universo materiale presuppone un’azione diretta di Dio”. Il Papa, dunque, pur non negando l’evoluzione, la piega alla dottrina tradizionale, dove materia e spirito sono distinti e dove parlare di proprietà emergenti significa scivolare in un pericoloso materialismo riduzionista! Qui, la parola del Papa annaspa nelle contraddizioni: parla di sistemi complessi, in cui il tutto è più della somma delle parti, ma non sospetta, o lo rifiuta, che questo “più” possa rimandare all’emergere di nuove proprietà della materia nel processo di autoorganizzazione della vita. È certo inutile sottolineare che nessuna delle interpretazioni descritte per conciliare fede e ragione, finalità e caso, è compatibile con la teoria dell’evoluzione darwiniana: la fede accetta e usa la scienza - con molto ritardo, come sempre - e solo se non mette in discussione i dogmi della dottrina. È proprio a causa della concezione teista da una parte e naturalista dall’altra, dunque, che il dialogo conoscitivo fra fede e scienza improvvisamente si arena.

Va riconosciuto tuttavia al Papa di aver preso posizione sull’urgenza di muoversi verso un modello di ecologia integrale, rispetto al quale il mondo laico è invitato a confrontarsi in termini operativi. Ma l’impianto teologico confligge ancora sui problemi che interessano gli orientamenti sessuali, la procreazione responsabile o i modelli di famiglia. Sui cosiddetti “valori non negoziabili” pesano come un macigno l’ipotesi dogmatica sulla natura della vita e sull’autonomia della coscienza.

L’enciclica “Laudato sì” si chiude infine con un accorato appello perché si promuova un grande processo educativo, finalizzato a formare coscienze responsabili all’interno di nuove relazioni fra uomo, ambiente e società. Relazioni che, a tutte le dimensioni, - produttiva, economica, politica e di ricerca - abbiano come fine primario una vita degna per tutti.

Leonardo Boff ( Adista, n. 34 , 2014 ) descrive così, sintetizzandola, la Grande Trasformazione:

  • dal paradigma - impero, in vigore da secoli, al paradigma Comunità della Terra;
  • da una società industrialista, che depreda i beni naturali, ad una società rispettosa del “buen vivir” di tutti;
  • da un’era tecnozoica che ha devastato gran parte della biosfera a un’era ecozoica in cui tutte le attività cooperano alla salvaguardia della vita;
  • dalla logica della competizione, in cui vince il più forte, alla logica della cooperazione, sostenuta dai valori di solidarietà, rispetto e compassione;
  • da una società antropocentrica, separata dalla Natura, ad una società biocentrata, che richiede che si riconosca l’interdipendenza, la sinergia e la cooperazione.

Se nel popolo dei credenti si è levata la voce autorevole di Francesco, che invita ad una profonda conversione in nome di Dio, la società laica è chiamata a raccogliere la Sfida: è pronta a rimettere in discussione - a partire dall’economia e dai processi produttivi legati al modello liberista - il mito dello sviluppo, la corsa alla ricchezza, l’idea di società finora dominante, per ipotizzare un futuro di convivenza etsi Deus non daretur? Il tempo sta correndo troppo in fretta e - temo - ci trova impreparati: è come se – la battuta la inventò lo scrittore satirico Gino Patroni, per ricordare con giocoso affetto Garcia Lorca - le lancette segnalassero l’ora di grandi eventi su un orologio fermo.