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Il tabacco, l'erba proibitissima

 

 

essiccazione tabacco

Il tabacco, l'erba proibitissima

 

Lontane, fumose controversie

 

Mezzo millennio di polemiche

 

di Luciano Luciani

 

Ebbene sì, lo confesso, tutte le mie giornate sono intrise dal fumo del toscano, inteso come sigaro. Una consuetudine che viene da lontano, dalla storia familiare e che mi accompagna, direi piacevolmente, da più di trent'anni. E a quanti – persone care, familiari, amici – esprimono qualche preoccupazione intorno agli effetti che tale abitudine (o, se si vuole, chiamiamolo pure vizio) potrebbe avere sulla mia salute mi permetto di obiettare rifacendomi all'autorità di una piccola pubblicazione apparsa a Napoli nel 1842: traduzione dal francese di un Trattato del caffè e del tabacco, un libello opera di  G. G. Kruger, medico di palese formazione positivista, da cui risulta che il tabacco “diminuisce i tormenti della fame e della sete”, “possiede preziose virtù per il mal di denti”, “libera dagli umori superflui”, “calma il Priapismo” e. sempre sulla stessa lunghezza d'onda, “quando vi sono persone tormentate dopo il pranzo da Venere, questo è il modo di scacciarlo, fumando tabacco”: “buono e utile anche nell'apoplessia, nel letargo e nell'epilessia per non parlare dei suoi benefici effetti lassativi”. Informazioni un po' amene e un po' eccentriche ricavate dalla sterminata bibliografia sul tabacco che potrebbe essere grossolanamente suddivisa nei libri che ne lodano le virtù e in quelli che lo denigrano. Migliaia e migliaia di pagine partigiane di una battaglia che si combatte da quasi mezzo millennio con studi, saggi, poesie, romanzi...

 

 

Origini e diffusione del tabacco

 

La pianta, come è noto, era largamente usata dai popoli indigeni americani ora nelle cerimonie religiose, ora come droga medicinale per stimolare il sonno oppure come impiastro per curare infiammazioni e contusioni. L’uso di fumare il tabacco, inizialmente riservato alle sole cerimonie religiose, divenne ben presto un' occupazione fine a se stessa, e naturalmente, i primi  a contrarre questa abitudine furono proprio i sacerdoti, così che il nuovo “vizio” rimase per un certo periodo un piacere riservato alla loro casta, anche perché il tabacco era considerato un’erba sacra. Gradualmente, però, tale usanza finì per coinvolgere anche persone estranee alla cerchia religiosa, si laicizzò, e passò ai rappresentanti di rango e censo più elevati tra la popolazione. Poi, piano piano, l’uso di fumare si democratizzò e si estese a tutti.

La specie che per noi ha maggiore importanza, la Nicotiana tabacum, Cortez la vide usare nell’isola di Tabasco e già forse nel 1518 il feroce conquistatore la inviò all’imperatore Carlo V. Tant’è che, circa alla metà del XVI secolo, Fernandez de Toledo ne introdusse la coltivazione in Spagna e Portogallo. Così che l’ambasciatore francese in Portogallo, Giovanni Nicot, faceva dono di alcuni campioni della pianta a Caterina de’ Medici, regina di Francia che ne divenne fin da subito un’entusiasta consumatrice e propagandista. La fiutava e la usava come rimedio per parecchi mali: infatti, la Regina, soggetta a frequenti emicranie, trovava un immediato sollievo nel fiutare tabacco. La Corte, naturalmente la imitò e questo comportamento divenne segno di distinzione e il tabacco divenne l’Erba della Regina.

In Italia la introdusse a Roma il cardinale Santa Croce, legato papale a Lisbona; a Firenze la portò nel 1570 Niccolò Tornabuoni, per cui il tabacco assunse ancora un altro nome: Erba Tornabuona.

 

 

Leggi severe e persecuzioni

 

Dopo i primi entusiasmi, le perplessità e quindi la repressione. In tutti i Paesi d'Europa il tabacco conobbe leggi severe che tentarono di sradicarne l'uso perseguitando coltivatori, fumatori, fiutatori e masticatori di tabacco. In Spagna venne messa una tassa pesantissima; in Inghilterra, il figlio di Maria Stuart, Giacomo I (1603 - 1625) promise la forca a chi facesse uso di tabacco e mantenne la promessa, perché nel solo 1625 sette disobbedienti furono, appunto, impiccati. Nella più civile Svizzera nel 1664 al Decalogo fu aggiunto un undicesimo comandamento: non fumare. In Portogallo multe e carcere. In Russia i contravventori al divieto di fumo erano puniti con cinquanta nerbate sulle piante dei piedi se uomini, con trenta sulle natiche se donne. Amurat IV, sultano di Turchia, faceva tagliare il naso ai suoi sudditi colpevoli di aver fumato, mentre il Gran Sophi, sovrano di Persia, oltre al naso mutilava anche il labbro.

 

 

Anche a Roma, vita dura per il tabacco e i suoi estimatori


A Roma contro i trasgressori al divieto di tabacco era prevista la scomunica di papa Urbano VIII (1623 – 1644), lo stesso del processo a Galileo, e non pochi tratti di corda. Cum ecclesiae divinae cultui il titolo della Bolla che conteneva tale divieto a cui non mancò certo il caustico commento di Pasquino, ovvero l'anonimo poeta romano che per iscritto e di nascosto contrappuntava con la propria voce libera e beffarda  i provvedimenti ingiusti e cervellotici dei pontefici e dei loro amministratori: La tua potenza – scrisse Pasquino – vuoi far sentire anche alle foglie in balia del vento e pur tormenti il disseccato stelo. Parole che non dispiacerono a Urbano VIII che aveva un'alta concezione di sé, quasi da principe assoluto: gli sembrarono intrise, però, oltre che di umori critici, anche cariche di un oscuro sentimento profetico che lo inquietava. Promise allora una ricompensa di 500 ducati al suo autore se si fosse rivelato. Pasquino se ne guardò bene e preferì non svelarsi, ma non si fece mancare l'occasione per l'ennesima beffa alle autorità ecclesiastiche: I 500 scudi dateli a Giobbe - scrisse - perché sono parole sue! Contra folium, quod vento rapitur, ostendis potentiam tuam et stipulam siccam persequeris, Giobbe 13,25. Intolleranti, dunque, in Vaticano e pure ignoranti. Una frustata sanguinosa! 

Il divieto di tabacco fu ridimensionato dal più mite Innocenzo X Pamphili (1644 - 1655) che concesse ai romani di fumare, però solo per strada. Nei palazzi pubblici e nelle abitazioni private era proibito, pena quattro frustate o anche di più, a discrezione di monsignor Governatore. L'abitudine, poi, di masticare  e annusare tabacco era consentita in casa, in strada, nei luoghi collettivi, ma in chiesa no, assolutamente no, perché si rischiava che la casa del Signore venisse bruttata e offesa dagli sputi intrisi di tabacco dei più maleducati. Per insegnare le buone maniere ai contravventori, visto che la scomunica si era rivelata un deterrente insufficiente, si fece ricorso alla pena ben più terrificante  e dolorosa di un palo infuocato sistemato tra le natiche.

 

 

Il tabacco e la libidine

 

Settant'anni più tardi i costumi dovevano essere mutati e non poco. Infatti l'amabile cardinal Lambertini (1675- 1758), che poi dal 1740 sarebbe stato papa Benedetto XIV, nella causa per la beatificazione di san Giuseppe da Copertino, non si fece particolari problemi a difenderne la memoria del cappuccino pugliese dall'accusa di aver fatto uso di tabacco, sostenendo che tale abitudine consentiva al religioso pugliese di resistere meglio alle sollecitazioni della libidine. Un'idea, questa, già sostenuta nell'operetta tardo secentesca, De tabaci abusu,  di un religioso di Civita Castellana, don Benedetto Stella: “Perché la causa della libidine  è il calore e l'umidità, quando questa venga dal tabacco disseccata, non si sentono quei moti libidinosi così veementi; e, per ragioni tali, è bene che i sacerdoti prendano tabacco ad imitazione del gran servo di Dio Giuseppe da Copertino”.

Anche papa Pio VII, ovvero il cesenate Luigi Barnabò Chiaramonti pontefice dal 1800 al 1823, trovava qualche motivo di conforto ai difficili tempi che si trovò a vivere nell'uso del tabacco da assumere dal naso in profonde e abbondanti dosi, riportando non poche macchie che, ben evidenti sulla sua veste bianca, ne denunciavano l'umanissima debolezza.