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Marco Tongiorgi

 

 

Marco Tongiorgi

Marco Tongiorgi

 

Rispondendo alle domande poste per NATURALMENTE da Brunella Danesi e Francesca Civile, Marco Tongiorgi offre una panoramica della sua lunga e fruttuosa attività di studioso e ricercatore sul campo che parte dalla studio del Monte Pisano per estendersi in buona parte dei posti più lontani interessanti e affascinanti del pianeta.

La sua lunga e intensa attività non si è interrotta con la pensione: ha continuato a lavorare nel Museo di Calci (400 anni di storia della ricerca scientifico-naturalistica dell’Ateneo pisano) sia come curatore che come sostenitore fondando e conducendo l'Associazione Amici del Museo di Calci che contribuisce alla crescita del museo stesso. 

Non ha mai trascurato l'impegno sociale che continua ancora con l'entusiasmo di sempre.

 

 


 

1. Prof. Tongiorgi, Lei è attualmente conservatore onorario del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa. È stato Professore Ordinario presso Dipartimento di Scienze della Terra - Corso di laurea in Scienze Geologiche. In tale veste si è occupato a lungo della geologia dei Monti pisani. Cosa ci può dire di questa attività?

Io sono entrato in Università come Assistente di Paleontologia, dopo aver vinto il concorso a Catania ed essere poi chiamato a Pisa dal prof. Tavani (Paleontologia). Ancora studente avevo già pubblicato un lavoro di paleobotanica, su una nuova specie di Characea fossile della miniera di Baccinello. A quel tempo un Assistente doveva esser confermato e avere il titolo di “Libero docente”, attraverso uno speciale concorso da essere obbligatoriamente superato entro 10 anni dalla prima nomina. Fu il Direttore dell’ ”Istituto di Geologia” prof. Trevisan che insistette perché mi presentassi alla “Libera Docenza” in Geologia anziché in Paleontologia. Al concorso avrei dovuto presentare una carta geologica e così cominciò la mia ricerca sui Monti Pisani.

La prima Carta geologica dei Monti Pisani ad opera di Paolo Savi risale al 1832. La massa centrale di questo ”ellisoide”veniva attribuita nell’insieme al “Verrucano” (termine coniato da Targioni-Tozzetti alla metà del ‘700), senz’altre partizioni. I successivi autori non sono andati oltre. Negli anni ’30 dell’800 Paolo Savi era un “nettunista” convertito al “plutonismo”: in ambedue gli approcci, litologia ed età si equivalevano. Dopo un secolo e mezzo, il mio approccio è stato ovviamente concettualmente diverso: in un articolo su Naturalmente ho scritto che per questo nuovo approccio bisognava andar contro il senso comune, leggere una successione stratigrafica non solo come una successione di rocce di età diversa ma, calandosi nel passato geologico, come una successione di paesaggi. A partire da questo approccio, l’uniforme “Verrucano” degli antichi poteva ora esser suddiviso in diverse facies sedimentarie-paesaggi.

 

2. Come si sono precisati i suoi interessi per la geologia?

Io ho incontrato i Monti Pisani da ragazzo: in vacanza nell’estate del 1941 e del 1942, da sfollato nel 1943 e 1944. Quello che mi era restato impresso riguardava i colori delle varie rocce: viola, verde, violaceo, ecc.).  Quando avevo ormai definito la stratigrafia del “Verrucano”, Horst Falke, il mio professore di Geologia di Mainz (l’ultimo anno di Geologia l’ho fatto in Germania) è venuto a vedere di persona il mio “Verrucano”, visto che era in atto una discussione tra Francesi, Svizzeri, Austriaci e Tedeschi su cosa fosse davvero il “Verrucano” del locus-tipicus, dato che nelle Alpi e nel bacino di Mainz il termine veniva applicato a rocce di diversa età, che avevano a comune col “Verrucano” solo il colore viola dominante. Falke, scherzando mi disse che avevo descritto una stratigrafia “in tecnicolor” (“scisti viola”, “scisti verdi”, eccetera). Mi suggerì anche di organizzare un incontro internazionale per discutere il problema, con escursioni post-congresso in Francia e in Svizzera. Gli incontri furono in realtà 2, il secondo, conclusivo, in Austria, con escursione nel bacino di Mainz, in Germania. I miei interessi per la Geologia si sono così focalizzati sulla Stratigrafia sedimentaria e sulla Sedimentologia. Ho concluso la mia carriera come Professore Ordinario di Stratigrafia.

 

3. Lei ha lavorato molto anche all’estero, in particolare in Norvegia, e in Nord Africa. Cosa ci può dire di questa esperienza?

Sui Monti Pisani c’era un problema non risolto: la datazione del basamento antico dei Monti Pisani. Avevamo solo una datazione radiometrica dell’ultima fase metamorfica tardo-ercinica, corrispondente a 275±12 MA (tardo Carbonifero: fase “asturica” dell’orogenesi ercinica). L’età della deposizione del basamento del Monte Pisano doveva quindi essere molto più antica del Carbonifero. Alla ricerca di possibili fossili in queste rocce ho tentato un approccio tramite la micro-paleobotanica (“Acritarchi”: alghe unicellulari). Ho dapprima visitato i più importanti centri europei dove esistevano i laboratori più affermati di micro-paleobotanica (Bruxelles, Liegi, Sheffield). Sulla base di queste conoscenze e con l’aiuto del CNR ho costruito a Pisa un laboratorio specializzato per l’estrazione di questi microfossili dalle rocce, dotato anche di una sala di microscopia elettronica.

Purtroppo non abbiamo ottenuto niente dal basamento dei Monti Pisani che era passato attraverso due orogenesi e diverse fasi di metamorfismo che avevano distrutto tutti i possibili resti organici. Dato il cospicuo investimento finanziario per il mio laboratorio (mi permetto di dire che era uno dei migliori in Europa), ho deciso di tornare definitivamente alla Paleontologia e mi sono dedicato allo studio degli Acritarchi in rocce poco metamorfiche.

 

I primi campioni per Acritarchi sono stati raccolti in Sardegna, nel 1982. I microfossili erano stati riscaldati abbastanza da essere carbonizzati e fratturati. Ma al metodo tradizionale di estrazione dei microfossili ho potuto applicare anche un nuovo sistema che mi era stato suggerito nel 1981, nel corso di un congresso nei Balcani, dalla collega Rositza Kalvacheva, dell’Università di Sofia (Bulgaria). Lo stesso metodo è stato applicata con successo a campioni mandatomi nel 1985 dall’Ungheria da Gyöngyi Lelkes del Museo di Mineralogia e Petrografia di Budapest. Lo stesso metodo mi sarebbe stato utile anche quando nel 1994 Maurizio Gaetani, dell’Università di Milano, che svolgeva ricerche geologiche nelle montagne del Karakorum, in Pakistan, mi chiese di datare (cosa che realizzai con successo in due lavori, di cui uno con Anna Di Milia) dei campioni con lo stesso grado metamorfico della Sardegna.

Mentre Anna continuava le ricerche in Sardegna, dove stava portando avanti il suo Dottorato di Ricerca, io sono andato alla ricerca di fossili meglio conservati, in rocce meno riscaldate, non interessate da metamorfismo (all’interno della così detta “Finestra del Petrolio”). È solo nel 1986 che ho avuto successo, quando nell’Isola di Öland nel Baltico (Svezia) insieme a Svend Stouge del Servizio Geologico di Danimarca e Groenlandia (Copenhagen), che studiava microfossili paleozoologici coevi ai miei Acritarchi, ho trovato in rocce del Paleozoico inferiore Acritarchi perfettamente conservati anche nei minimi dettagli e straordinariamente abbondanti, che avrei poi studiato per molti anni.

Intanto, nel 1985, su proposta del governo della Repubblica Popolare Cinese, era stata organizzata nella Provincia di Jilin, la vecchia Manciuria, la “Dayangcha International Conference on Cambrian-Ordovician Boundary”. La International Union of Geological Sciences (IUGS) mi ha invitato a Dayangcha, ed è là che ho conosciuto Jin Leiming, dell’Academia Sinica di Nanjing. Jin mi propose di lavorare insieme nel Paleozoico della Cina Centrale e, al termine della Conferenza, partimmo insieme per la Cina Centrale, lungo il Fiume Azzurro fino alle Province di Hunan e di Hubei. Qui raccogliemmo alcuni campioni di saggio, da verificare poi a Pisa.  

 

Verso la fine degli anni ’80 una mia dottoranda (Ribecai) cominciò a lavorare, per la sua tesi, sul materiale svedese, costruendo un primo database delle specie presenti. In quegli stessi anni si era formato un gruppo informale di geologi e paleontologi che lavoravano nel Baltico (WOGOGOB: Working Group of Geologists of Baltic area). Il gruppo si riuniva normalmente ogni anno per condividere gli ultimi risultati delle ricerche e per discutere le criticità incontrate. Tre degli amici del Wogogob avrebbero avuto una parte importante nelle mie future ricerche. Il primo è David Bruton (Direttore del Museo di Geologia di Oslo) che, viste le mie ricerche in Svezia, mi chiese, nel 1997, di provare a datare su base micropaleontologica le rocce antiche del Bacino di Oslo, che erano state riscaldate dal vulcanismo permiano. I campioni vennero raccolti in diverse campagne di scavo da me e da David e allo studio partecipò, tra gli altri, anche Anna. Un altro partecipante al WOGOGOB che mi fu di grande aiuto nelle future ricerche fu Maurit Lindström.

 

In Cina i campioni raccolti nell’85 (9 anni dopo la morte di Mao Zedung) nella Provincia Hubei avevano dati buoni risultati e quindi era iniziato il loro studio sistematico. La raccolto di nuovi campioni nella sezione di Huanghuachang, 20 km a Nordovest di Ychang, dove ora c’è la Grande diga sul Fiume Azzurro, iniziò nel 1990. Ma mentre salivo alla sezione, incontrai (!) casualmente Lindström (paleoclimatologia), il più anziano ed esperto del Wogogob, che mi indicò una sezione (Daping) migliore, per continuità ed esposizione, nella stessa area, passandomi addirittura i suoi appunti di campagna con le misure di tutti gli strati della sezione. La raccolta di campioni e lo studio degli Acritarchi di Daping durerà 10 anni, con vari viaggi in Cina: 1986, Aprile 1991, Ottobre 95, April 1998). (la pubblicazione finale apparirà solo nel 2003 a nome mio, di Jin Leiming e di Anna Di Milia).

Intanto, nei primi anni ’90, fui contattato da Dominique Massa (Total), che disponeva di intere carote dei sondaggi petroliferi della Total in Algeria, Tunisia e Libia nord-occidentale (Bacino di Ghadames) e mi chiese se ero disponibile a studiarne gli Acritarchi. Naturalmente accettai e iniziai a trattare i campioni per la ricerca di microfossili. Uno studente pisano (Marco Vecoli, ora alla Saudi Arabian Oil Company in Arabia Saudita) cercava un argomento per la sua tesi di Dottorato e gli assegnai le carote dell’Algeria. I risultati delle ricerche del mio gruppo comparvero su riviste qualificate dal 1995 in poi, alcuni con il contributo, come co-authors, di Abdesselam, Benzarti e Massa, tutti della Total.

 

Nel 1994 Geoffey Payford, della Queensland University di Brisbane (Australia), mi chiese di poter passare metà del suo Anno Sabatico dell’anno successivo al mio laboratorio. Cominciò così una collaborazione che durò diversi anni. Nel 1998 avevo organizzato a Pisa il Symposium (a scadenza biennale) del CIMP (Commission Internationale de Micropaléontologie). Fu dopo quella occasione che andai per la prima volta in Australia (1999) per collaborare con Geoff alla stesura degli Atti del Symposium. Sono tornato 2 altre volte in Australia anche, nel 2001, alla ricerca di microfossili (con risultati nulli, a causa del metamorfismo delle rocce studiate).

Risultati troppo scarsi per impostare un progetto di ricerca micropaleontologica gli ho avuti anche in Equador (America Latina) dove mi ero recato nel 2000 a seguito di una ricerca multidisciplinare organizzata dal Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa. Ottimi risultati abbiamo avuto invece nel 2006 quando sono stato invitato dallo stesso Museo alla ricerca di Dinosauri in Patagonia (ma questa è un’altra storia, che ha poco a che fare con gli Acritarchi).

 

4. Come sono percepite a suo avviso le discipline geologiche dalle persone comuni?

Come ho scritto su Naturalmente, la ricerca appare sempre ostica ai non addetti ai lavori, viene in Italia perfino irrisa o negata come portatrice di valori (vedi Benedetto Croce), e non compresa nel suo essere “strutturalmente” non intuitiva. Se questo può avere una spiegazione psicologica per le scienze a base prevalentemente matematica (ostica ai più), lo stesso può dirsi però anche per le scienze prevalentemente descrittive (come la geologia stratigrafica), che per essere appunto descrittive ci si aspetta siano facilmente comprese da tutti sulla base del senso comune. Ma non è così … anche una scienza “storica” come la geologia stratigrafica non può limitarsi alla semplice rappresentazione (che si presumerebbe oggettiva e pertanto facilmente comprensibile) degli accadimenti passati. Essa resta comunque (come del resto anche l’archeologia moderna, o la paleontologia evoluzionistica, due esempi di scienze “storiche”) una scienza sperimentale, dove le ipotesi interpretative non appaiono scontate nonostante la loro coerenza con i dati sperimentali, ma devono passare al vaglio della loro potenzialità predittiva. Tutto questo non è affatto ovvio, come ho potuto rilevare, con una qualche sorpresa, durante alcune lezioni teoriche e sul terreno, che ho tenuto nel 2010, nel quadro di un corso di formazione per guide turistiche “naturalistico-ambientali” o pochi giorni orsono (marzo 2015) quando ho guidato sui Monti Pisani una classe di scuola Magistrale di Pontedera.  

 

5. Ha fondato e presiede l’Associazione amici del Museo di Calci come è cambiata l’attività del museo negli ultimi anni? A suo avviso, può dare un contributo significativo a migliorare l’insegnamento scientifico nella scuola?

L’attività del Museo è molto cambiata ad opera del nuovo Direttore prof. Barbuti. Il nuovo Direttore presenta le nuove esposizioni tramite accattivanti introduzioni che prendono spunto da miti condivisi. Ad esempio la variabilità genetica, il macro e il micro cosmo biologico sono attualmente presentati a partire dall’Arca di Noè, fino ad arrivare all’osservazione al microscopio di esseri unicellulari. Il risultato è un grande aumento di visitatori di tutte le età, bambini compresi. Al museo è comune vedere giovani coppie con i loro bambini. Il contributo al miglioramento dell’insegnamento scientifico nella scuola può essere significativo soprattutto nella scuola dell’obbligo (gli anni “dei Dinosauri”e delle confuse raccolte di fossili e di minerali), dove l’affacciarsi emotivo alla conoscenza della natura e la manipolazione diretta degli oggetti naturali e degli strumenti per conoscere sono parte integrante dell’insegnamento. 

 

5. Per molti anni ha collaborato con la rivista Naturalmente; quali motivazioni l’hanno spinta?

Io ho collaborato sia con mia moglie Anna (quando insegnava nella scuola media e poi al primo anno di Liceo Scientifico) sia con mia figlia Alessandra (quando insegnava in una scuola elementare) per introdurre la metodologia scientifica con semplici percorsi sperimentali adatti alle diverse classi di età. Alcuni di questi percorsi sono stati pubblicati su Naturalmente. Ma a Naturalmente era già abbonata da tempo Anna, come insegnante di Liceo. La mia collaborazione deriva da tutto questo.

 

6. È inoltre molto impegnato ancora oggi in attività di volontariato presso il Cesvot - Centro Servizi per il Volontariato Toscana. Qual è a suo avviso l’importanza del Volontariato in Italia?

Il Volontariato ha in Italia una storia lunga. La prima Misericordia è quella di Firenze che viene fondata nel 1244. In tempi di crisi il Volontariato non solo presta ulteriore soccorso alle persone che soffrono di un qualche disagio ma contribuisce a rafforzare e mantenere coesa la struttura sociale: a problemi complessi si può rispondere solo con strumento complessi, la rete sociale della società civile si rafforza in tempi di crisi tramite il Volontariato. Nel territorio pisano, a fronte di 270 Associazioni di Volontriato nel 2001, nel 2014 si registrano 280 Associazioni.

 

7. Ci vuol dire qualcosa  dell’indefessa attività di Suo padre Ezio Tongiorgi e della sua eredità culturale?

Mio padre si interessava di tutto, dalla Botanica alla Paletnologia, dalla geologia del Quaternario alla Geochimica… Questi interessi non producevano spontaneamente competenze: l’ho visto sempre studiare il nuovo. Ha tradotto questi interessi in sempre nuovi centri di ricerca, come l’Istituto di Antropologia, il Laboratorio di Geologia Nucleare, l’Istituto Internazionale per le ricerche geotermiche del CNR, l’Istituto di Geochimica del CNR. La geotermia era una scelta non solo culturale ma anche “politica”.

Una cosa va aggiunta, una cosa che non molti conoscono. Da bambini e da ragazzi noi figli non abbiamo mai fatto vacanze; dall’inizio dell’estate andavamo (sempre in tenda) con lui, mia madre, pochi amici e alcuni paletnologi a cercare reperti paletnologici nelle grotte nell’Italia centro-meridionale: a Sperlonga, vicino a Gaeta nel 1948, ad Agnano nel 1950, a Capo Circeo nel 1951 …). Da questo è derivato un vero inprinting, un mio interesse latente, quasi subconscio per la paletnologia.

 

Molte grazie professore