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Comunicare la Scienza

Silvia Bencivelli, Francesco Paolo de Ceglia

Comunicare la scienza 

Carocci editore, Bussole, 2013

 

Enrico Pappalettere

 

Si tratta di un quasi-tascabile di circa 120 pagine, all’interno della collana Bussole. Come suggerisce il nome della collana, e una veloce lettura dei titoli già pubblicati conferma, i volumi che ne fanno parte si propongono come agili strumenti di orientamento in campi come il giornalismo, la pubblicità, la moda, la televisione e la radio, l’industria musicale, nonché la comunicazione e le sue caratteristiche in molteplici contesti, come l’impresa, le istituzioni, la politica, la cultura.

Il nuovo libro di S. Bencivelli e F. P. de Ceglia colma una lacuna della collana poiché si occupa in particolare della comunicazione scientifica e si rivolge a coloro che intendono cimentarsi in una delle tante forme della comunicazione della scienza, come un libro o una rivista, un programma televisivo o radiofonico, un sito web o un blog, un exhibit ecc..

Confesso di essere rimasto (piacevolmente) sorpreso dal fatto di non ritrovarmi tra le mani l’ennesimo volume sul senso della divulgazione scientifica e sui suoi limiti di fattibilità - secondo non pochi scienziati la divulgazione non è possibile né auspicabile in ragione della estrema, crescente distanza tra linguaggio comune e linguaggi e concetti scientifici. Gli Autori danno invece per scontato che si faccia divulgazione e si promuova la cultura scientifica, in tante forme diverse e in una varietà di contesti sociali e istituzionali. Il loro scopo è allora quello di illustrare con pochi tratti essenziali e uno stile asciutto, le caratteristiche principali di quello che dovrebbe essere, ad esempio, un buon libro o un buon articolo, come anche fornire una serie di indicazioni sui rischi che si devono evitare nel fare un’intervista o un articolo per la rete...

 

Questa impostazione riflette intanto un dato di realtà, e cioè il fatto che molte persone, più di quante si possa immaginare, sono coinvolte in attività tra loro diversissime ma tutte riconducibili al  denominatore comune della comunicazione di tipo scientifico: intanto scienziati e ricercatori, poi giornalisti, animatori, gestori a vario titolo di musei grandi e piccoli, blogger, scrittori, traduttori, conduttori di trasmissioni radio e televisive, documentaristi, membri di uffici stampa…

Da un altro lato dal libro traspare una visione “ottimistica” di questa realtà. Voglio dire che l’impegno nel campo della divulgazione e della diffusione della scienza, oltretutto inteso come un mestiere tra gli altri, mi è sempre apparso, almeno in Italia, minoritario e socialmente povero di ascolto. La mia esperienza in questo campo si è esaurita dentro i confini del cosiddetto volontariato culturale, ricco di generosità e creatività, ma obiettivamente misconosciuto nel suo ruolo sociale e nel suo valore. All’esterno di questo mondo - popolato di ricercatori e docenti universitari interessati nonostante tutto a comunicare contenuti e senso del proprio lavoro al mondo esterno, di insegnanti in servizio e in pensione organizzati a volte all’interno di associazioni professionali - si è sempre distinta la presenza di qualche gloriosa rivista, di qualche affermato format televisivo a contenuto scientifico, di una editoria libraria alimentata da pochi autori italiani e da una gran quantità di traduzioni. Ma nel loro insieme, sfera del volontariato e processi e prodotti culturali provvisti anche di un valore di mercato, non hanno mai dato la sensazione di costituire un mondo esteso, forte, un vero tessuto e un vero mercato. Sospetto che questa valutazione sia al fondo condivisa anche dagli Autori, come traspare da alcuni brevi passaggi, tuttavia il libro non indulge nelle classiche lamentazioni al riguardo, ma parte dal fatto che questo mondo esiste, è popolato di persone che addirittura intendono ricavare il loro reddito vitale da lavori nel campo della comunicazione scientifica, e che mediamente sono dotate di scarsissimi poteri contrattuali. Ecco allora approntato un manualetto di “pronto soccorso”!

 

Nel primo capitolo F. P. de Ceglia, docente di storia della scienza all’università di Bari e che da alcuni anni si occupa di storia della comunicazione scientifica, traccia un quadro sintetico, ma denso e non banale, delle trasformazioni che hanno caratterizzato l’impresa scientifica e la figura dello scienziato, il modo di vedersi e di essere visti dalla società più vasta, i suoi valori portanti. Parallelamente sono mutati i modi di comunicare una scienza sempre più complessa, dal puramente trasmissivo, gerarchico e inefficace Deficit model, al più democratico e incisivo Dialogue model, che comincia a porsi l’obiettivo di realizzare una “cittadinanza scientifica” dei destinatari come condizione imprescindibile di una divulgazione non fittizia. Interessante e in qualche misura sorprendente risulta la caratterizzazione del comunicatore di scienza come «traduttore e semplificatore», «combinatore e sperimentatore di linguaggi», «mediatore tra saperi ed esperienze diverse», «sostenitore critico delle ragioni della scienza o almeno della razionalità», «ricercatore denunciante», «creatore di immagini ed emozioni», «intrattenitore», «produttore di ricchezza».

Nel secondo capitolo - il primo a due mani - si tratteggia una sintetica storia dell’editoria periodica in Italia. A questo punto la trattazione cambia taglio e stile, perché Silvia Bencivelli, in forza della sua ormai collaudata esperienza di comunicatrice della scienza, prende per mano il lettore e gli spiega come si cerca una notizia, quali sono le fonti possibili, come si cura un’intervista e si tengono i contatti direttamente con gli scienziati, non lesinando consigli sulle caratteristiche che dovrebbe avere una scrittura capace di catturare la curiosità del lettore, caratteristiche spesso lontane da quelle apprese sui banchi di scuola e più vicine alla immediatezza del linguaggio parlato.

Il terzo capitolo si occupa dell’editoria libraria. Si ripete la divisione del lavoro tra i due autori: de Ceglia delinea da storico un sintetico quadro della situazione, con un occhio al passato e un altro alle tendenze attuali, scrivendo però anche un interessante paragrafo, da cui traspare la sua esperienza di autore, ricco di consigli su come gestire il rapporto col libro progettato e con le case editrici che dovrebbero produrlo; Bencivelli affronta con piglio pragmatico i vari problemi che un aspirante autore deve risolvere se vuole raggiungere il suo scopo, come quelli della promozione e della presentazione del proprio libro.

Il quarto capitolo è dedicato alla radio, come campo d’azione della comunicazione scientifica caratterizzato da una sua grammatica e da proprie regole. Ne è autrice la Bencivelli che ha una notevole esperienza diretta come conduttrice di programmi su Radio 3. Il successivo capitolo fa da pendant, occupandosi della comunicazione scientifica in televisione e dei suoi generi: tra questi un’attenzione particolare viene dedicata allo strumento del documentario.

I successivi capitoli si occupano degli uffici stampa, della comunicazione della scienza in rete (farsi un sito web e condurre una vita da blogger), della istituzione museo, che in realtà vive in forme e dimensioni assai diverse. L’Appendice - Vita da freelance - disegna infine, con lo stile sobrio e pragmatico di Silvia Bencivelli e sulla base anche in questo caso di una ricca esperienza personale, vita quotidiana ed ecologia dei giovani «comunicatori di scienza», obbligati dalla cultura del Paese e da questi anni di crisi ad aggiungersi al numeroso e frustrato «popolo delle partite IVA».