raccolte cd
timberland euro, timberland uomo 6 inch stivali, timberland uomo barca stivali, timberland uomo earthkeepers, timberland uomo euro hiker stivali, timberland uomo nellie chukka, timberland uomo rotolo top stivali, timberland uomo scarpe da spiaggia, timberland donna 6 inch stivali
Il Condor è passato!

Il Condor è passato! 

di Patrizia Panicucci


Dopo aver viaggiato per anni, dovevamo andare in Perù prima o poi. La decisione venne presa molto velocemente nell’estate del 2009 e, nel giro di pochi giorni, zaino in spalla, ci trovammo a calpestare il suolo degli antichi Incas.

In questo paese dove la gente, la natura e i siti archeologici danno un tale spettacolo di sé tanto che le macchine fotografiche sembrano partire a raffica animate da vita propria, una delle destinazioni cui c’eravamo preparati con più aspettative, era il Canon del Colca.

Molti lo ignorano, ma il Canon del Colca, insieme al suo vicino Canon del Cotahuasi, è il più profondo al mondo. E sicuramente anche molto fotogenico, pensavamo noi.

Così, attraversando steppe e praterie sconfinate, ci inoltrammo in una natura possente, in questo Paese che è quattro volte più grande dell’Italia. Guanachi, lama, alpaca ci accompagnavano nel viaggio mentre la strada s’inerpicava faticosamente seguendo i costoni delle montagne e, tutta tornanti, si faceva sempre più sconnessa e piuttosto pericolosa a mano a mano che, con la corriera, si saliva per raggiungere il Canon.

Dopo aver toccato il punto più alto del percorso, 4880 m. di altitudine, finalmente ecco che riusciamo a scorgere la grande spaccatura che si estende per una lunghezza di 100 km, fin dove lo sguardo, certamente, non può arrivare e dunque non resta che immaginarla. Di fronte a noi, però, perfette e maestose, possiamo ammirare le vette andine ancora innevate qua e là, abbaglianti. Alte, incredibilmente alte. Eh, si! Perché il Canon si estende fra vette e vulcani che oltrepassano i 6.500 metri di altezza. Facendoci largo fra cespugli spinosi, Opuntiae pungenti e cactus a candelabro, raggiungiamo a piedi una postazione dove la voragine è di una profondità che l’occhio non può misurare. Non c’è foto, se non aerea, che possa dare un’idea di questa spaccatura. Le sue pareti a picco che mettono i brividi devono scendere, in qualche punto, per ben 3191 m prima di raggiungere il Rio Colca che le ha scavate e che adesso scorre placido nella vallata e, generoso nei confronti di chi vi abita, descrive curve sinuose.

Ma se siamo giunti fin qua è anche perché sappiamo che il Canon potrebbe riservarci ben altre sorprese: ci sono buone probabilità di un incontro atteso per anni. Poiché il calore del sole sulle profonde fiancate del Canon dà luogo a frequenti correnti ascensionali, queste vengono sfruttate dal Condor per librarsi nell’aria e avvistare le prede. Ed è proprio lui l’oggetto delle nostre aspettative: il Condor della Ande.

Una volta arrivati lì, ci chiediamo subito se mai riusciremo a vederlo, questo Condor. In quest’immenso paesaggio aperto ci pare una cosa quasi impossibile anche se, in cuor nostro, è forte il desiderio che tanta fatica impiegata per raggiungere un luogo così lontano da tutto, venga in qualche modo ricompensata.

Fiduciosi, pazienti, ci disponiamo all’attesa. Lo scenario che ci circonda va goduto nel più assoluto silenzio. Travolti da tanta bellezza, c’è consentito solo di stare ad ascoltare i battiti del cuore e il respiro che si va facendo faticoso nonostante che, come criceti previdenti, teniamo nella guancia una piccola scorta di foglie di coca da masticare per combattere il soroche, il mal d’altura.

Il posto è veramente quello ideale per dare ai pensieri libero corso, dimenticare i malesseri e pensare alla nostra civiltà così assurda e contraddittoria. Quando hai la fortuna di vivere dei momenti in ambienti così, capisci che dovrebbero essere gli animali, le piante e la terra stessa a suggerti come vivere.

Lo scenario che ci circonda sa di mito e qui in Perù di miti ce ne sono tanti: uno è proprio lui, il Vultur gryphus che nel Canon del Colca ha uno dei suoi ultimi rifugi.

Qualcuno ad Arequipa ci aveva detto che una volta era diffuso in tutta la cordigliera ma che oggi è a rischio d’estinzione.

L’attesa continua: in mezzo a questa natura immobile, non c’è stato fino a questo momento ancora un segno di qualcosa che si muova. Con gli occhi abbagliati dalla luce del sole e lo sguardo che si perde nel cielo immenso e quel giorno di un azzurro mai visto, a un tratto, da lontano, ci sembra di vedere un punto scuro salire dalle profondità della spaccatura. Mentre ci guardiamo con aria interrogativa, il punto comincia a prendere connotati più definiti trasformandosi in una linea nera orizzontale. Ma se è lui, ci pare strano che si avvicini così tanto. Eppure… Non lo crediamo possibile ma, a mano a mano che quell’immagine ci viene incontro, c’è sempre meno spazio per l’incertezza. Con quell’apertura alare non può essere che lui.  È lui.

Dunque non ci ha traditi. Ha rispettato il tacito appuntamento. Reprimendo grida di gioia e deglutendo per l’emozione lo vediamo puntare verso di noi. Si fa vicinissimo. Già vediamo spiccare il suo collare bianco e, sempre bianca, la punta del becco adunco. Non ci esce fiato dalla bocca. Avverte la nostra presenza e pare venirci incontro per farsi guardare. Abbassando gradualmente il suo volo ci sembra che a sua volta ci fissi negli occhi. Poi, con sempre maggior confidenza, comincia a volteggiare intorno a noi e noi non possiamo non interpretare questo suo comportamento come un’offerta di benvenuto.

Si allontana per poi riavvicinarsi di nuovo, sospinto da qualcosa d’invisibile, senza un batter di ali, nel più assoluto silenzio. L’emozione è fortissima e, restando immobili, vediamo con sorpresa che non teme l’incontro ravvicinato. Si stenta a credere che si possa avere sulla testa il re delle Ande, il dominatore di questi cieli. Quando passa quasi a sfiorare le nostre braccia che con uno slancio deciso abbiamo proteso in alto nell’istintivo sforzo di alzarci verso di lui, dalla sua ombra proiettata su di noi, possiamo apprezzare l’estensione delle sue ali: 3 m di larghezza, come minimo. Le ha sviluppate a tal punto che possono sopportare il peso di un corpo che supera facilmente i 12 kg, affusolato e massiccio nello stesso tempo. È incredibile che, maestoso com’è, possa volare con tanta grazia. È considerato il più grande uccello volatore al mondo, questa magnifica creatura che si nutre principalmente di carogne e che spazza via ogni animale morto, cosicché niente viene sprecato. Anche se padrone del vento e di questi silenzi, il Condor non ha potuto sottrarsi a un destino gramo: il fatto che si credesse che molte parti del suo corpo curassero una serie di disturbi, fra cui l’impotenza maschile e gli incubi notturni, l’ha reso vittima di una caccia ostinata.

Talvolta non è sufficiente che nidifichi in luoghi inaccessibili in cima alle alte montagne che dovrebbero risparmiarlo dai predatori. Lo sappiamo fin troppo bene che all’uomo non la si fa neanche con simili stratagemmi.

Ma attenzione! Non è solo! Ne stanno arrivando altri che si stagliano nel cielo limpidissimo. Il numero cresce ancora: due, tre, cinque esemplari si lasciano trasportare dalle correnti ascensionali senza sforzo apparente. La nostra fatica per raggiungere questo luogo è stata tanta (e la sentiamo tutta), ma ci meritiamo davvero lo spettacolo cui stiamo assistendo con tanto coinvolgimento emotivo?

Con i loro voli circolari, planando sull’aria calda in ascesa, si avvicinano alle pareti rocciose e noi, in tensione, continuiamo ad allungare le braccia, tanto che ci sembra quasi di sfiorarli.

 

 

 

Canon del Colca Canon del Colca Canon del Colca

Canon del Colca 
 

 

 

 

Restiamo così, rapiti in loro compagnia e in religiosa contemplazione per un paio d’ore finché con un lento volo, a uno a uno, si allontanano tutti: ridotti ormai a punti indefiniti, finiscono per scomparire nella profondità del Canon, là da dove erano arrivati. Con il passare dei minuti, la temperatura dell’aria è cambiata e loro si sono regolati di conseguenza.

Quasi a consacrare l’evento suggestivo, a questo punto si impone l’ultima foto: la scattiamo su un affioramento roccioso conosciuto come la Cruz del Condor da dove ancora meglio si apprezza la maestosità del paesaggio e lo sguardo si può spingere ancora più in basso, nell’immensa voragine.

Le nostre irraggiungibili creature -che però si sono lasciate, alla fine, raggiungere- se ne sono ormai andate dopo aver fatto giri e giri sulle nostre teste, ignorando il regalo che ci hanno fatto con tanta inconsapevole generosità.

Sappiamo che anche la vita fa tanti giri e noi, curiosi e mai appagati da queste esperienze, ormai di ritorno ad Arequipa, la città bianca, ad appena 2.350 metri di altezza, stiamo già pensando: “In quale altro angolo del pianeta avverrà il nostro prossimo incontro? E con chi?”