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Piccola Storia dell’Orologeria

Piccola storia dell’orologio meccanico – I parte –

di Sandro Tropiano

 

L’orologio meccanico nacque nel Medioevo europeo dalle mani di abili artigiani e per diversi secoli si sviluppò rimanendo fuori dal circuito delle università e del sapere ufficiale. La nascita dell’orologio è legata allo sviluppo della capacità di lavorare i metalli, infatti la sua nascita è contemporanea a quella del cannone, per cui non c'è da meravigliarsi se molti dei primi orologiai furono anche fabbricanti di bombarde.

 

Il lavoro e lo studio degli artigiani portò le manifatture ad altissimi livelli con la realizzazione di carillon, automi e “jaquemart”[1] che videro la luce in varie città d’Europa, come Strasbourg (1350), Orvieto (1351), Firenze (1353)[2], Lyon (1380), Courtrai (1382), Lund (1424), Bologna (metà del 1400).

Si trattò quasi sempre di orologi pubblici, ospitati in torri o campanili, il cui organo motore era costituito da pesi che, scendendo in basso per gravità, trasmettevano il moto ad un insieme di ruote dentate. Una di queste ruote, per ottenere un moto dell’insieme lento e regolare, aveva ed ha ancora oggi, un sistema che fa “scappare” un dente alla volta, detto appunto “scappamento”.

La costruzione di un orologio pubblico richiedeva il trasferimento sul posto di artigiani specializzati, manodopera, attrezzature, materiali e talvolta occorreva la costruzione di un edificio apposito per l’alloggiamento del meccanismo e dei pesanti contrappesi per la sua marcia.

A questo proposito ci è pervenuta una minuziosa documentazione della costruzione dell’orologio del palazzo di Perpignan, commissionato nel 1356 da Pietro IV d’Aragona.

Inizialmente il tempo era segnato dal rintocco di una campana, in seguito vennero installate delle “mostre” (da cui il nome francese di “montre” per l’orologio da polso) per indicare l’ora a vista. Inoltre la marcia era così poco costante da richiedere la regolazione quotidiana e spesso l’orologiaio costruttore ne diventava poi il “governatore” o “moderatore” a tempo indeterminato. Al contrario, la complessità meccanica era tale da poter riprodurre il movimento dei pianeti, del sole e della luna. L’apice di questa abilità fu probabilmente raggiunto nel 1350 da Giovanni e Jacopo de’ Dondi con la costruzione dell’astrario collocato nella biblioteca del castello dei Visconti a Pavia, poi andato distrutto ai primi del Cinquecento. L’astrario forniva i movimenti dei cinque pianeti, del sole, della luna e un calendario perpetuo. Tali movimenti, per essere rappresentati, richiedevano la creazione di raffinati ingranaggi, fra i quali alcuni, ellittici.

 

La costruzione di un orologio implicava dunque, anche a livelli non così alti, la conoscenza dei materiali e delle tecniche di lavorazione, ma soprattutto conoscenze astronomiche e matematiche. In seguito a questi sviluppi, uomini di cultura medievali, che non si occupavano in particolare di meccanica, cominciarono a mostrare un certo interesse per gli orologi, a parte i già menzionati fratelli Dondi, anche Brunelleschi di cui siamo a conoscenza dell’orologio costruito per la torre del Palazzo dei Vicari di Scarperia nel 1445, i della Volpaia[3] o i due matematici Herlin e Dasypodius che lavorarono all’orologio della cattedrale di Strasbourg. Più tardi altri intellettuali mostrarono interesse verso il lavoro manuale, come Ludovico Vives, precettore alla corte inglese, amico di Erasmo e Tommaso Moro che, nel De tradendis disciplinis (1531), esortò esplicitamente gli studiosi europei a porre seria attenzione ai problemi tecnici relativi alla costruzione delle macchine. Una analoga esigenza si trova nel De corporibus umani fabrica di Andrea Vesalio, del 1543 verso le attività manuali dei medici. Rabelais nella Vie très horririfique du grand Gargantua (1534), fra gli elementi indispensabili ad una completa educazione, indica lo studio dell’opera degli artigiani, nominando gli orologiai in modo esplicito.

 

Fino a tutto il Quattrocento la domanda di orologi, spesso pubblici e raramente privati, rimase bassa. Forse per questo motivo non si svilupparono veri e propri centri di produzione, anche se gli artigiani tedeschi ebbero una reputazione di ottimi orologiai in Europa. Nel 1370 Carlo V chiamò un artigiano tedesco, Henry de Vic, per far costruire l’orologio nel palazzo dell’Ile de la Cité a Parigi. Il lungosenna sul quale si trovavano il palazzo e l’orologio si chiama ancora oggi Quai de l’Horloge.

 

Fra le categorie coinvolte nella costruzione di orologi, vi fu anche quella dei frati, come nel caso di un orologio costruito da un frate di Venezia per il Papa ad Avignone, quello del duomo di Uppsala (1507) o dell’orologio cittadino di Aberdeen in Scozia (1537).

Nel corso del 1500 la domanda aumentò e di conseguenza si formarono dei gruppi stabili di artigiani in varie zone d’Europa: Augsburg, Norimberga, Parigi, Blois e Lyon. In Italia, dove vi erano state punte di eccellenza durante il medioevo, nei primi secoli dell’era moderna, si fecero sentire le conseguenze della decadenza commerciale e manifatturiera. Anche Augsburg e Norimberga che avevano prosperato per tutto il Cinquecento, cominciarono a risentire delle conseguenze della Guerra dei Trent’anni e degli effetti della crisi dei paesi importatori, fra cui l’Italia.

Ad Augsburg i censimenti fatti dal 1610 al 1619 forniscono circa quaranta orologiai operanti in città, mentre nel 1645 ne rimasero soltanto sette.

Bastavano quindi poche decine di questi artigiani per costituire un centro di produzione rinomato. Ma, analogamente, bastava che quelle poche decine di artigiani si spostassero per qualche motivo, affinché il centro di produzione si spostasse insieme con loro.

 

Note

 

[1] Jaquemart: Figura in ferro, piombo o ghisa, che rappresenta un uomo armato di martello che viene messa sull’alto di una torre per segnare le ore colpendo la campana dell’orologio.

(Dizionario dell’Académie Française, 7°a edizione, 1835)

Una delle prime attestazioni di questo nome si trova nel Gargantua di Rabelais alla fine del capitolo 2 (1534). L’etimologia è incerta: dal nome latino jaccomarchiardus, dato alle guardie dei Beffroi, che portavano una giacca (in tedesco jacke) di maglia d’acciaio. Il Beffroi è una costruzione civile che include una torre, diffusa nel nord-est della Francia e nelle Fiandre. La torre si contrapponeva alle torri dei Signori e a quelle parrocchiali ed è il simbolo della libertà cittadina, aveva vari usi fra i quali, fare da vedetta contro assalti o incendi. Nel 2005 i Beffroi sono stati dichiarati dall’UNESCO, patrimonio dell’umanità.

 

[2] L’orologio della torre di Palazzo Vecchio fu opera di Niccolò di Bernardo e installato sulla torre il 25 marzo 1353, esso fu costruito in una bottega che si trovava in Via degli Albertinelli. Più tardi questa via prese il nome di Via dell’Oriuolo in ragione di questo evento. Il nipote del di Bernardo, Angelo Niccolai degli Orologi, costruì l’orologio meccanico installato nell’intercapedine interna della facciata di di Santa Maria del Fiore e il cui quadrante, affrescato da Paolo Uccello, fa bella “mostra” di sé dal 1443.

 

[3] I Della Volpaia furono una generazione di orologiai e costruttori di strumenti scientifici che ebbe come capostipite Lorenzo, architetto, orafo e matematico, amico di Leonardo da Vinci, Lorenzo aveva bottega in via degli Albertinelli. Nel 1510 costruì un orologio astronomico per conto di Lorenzo il Magnifico. Dopo alterne vicende l’orologio venne sistemato nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio. Nel XVII andò distrutto. Sulla base delle dettagliate descrizioni ad opera di uno dei figli, è stato da poco ricostruito e si trova ora nel Museo Galileo di Firenze.

 

Bibliografia

 

  1. D. S. Landes L’orologio nella storia, Mondadori 1984
  2. C. M. Cipolla Le macchine del tempo, Il Mulino 1981
  3. Paolo Rossi I filosofi e le macchine 1400-1700, Feltrinelli 1962
  4. E. Morpurgo Gli orologi, Fabbri ed. 1966